Una settimana per salvare il PD
La trattativa in corso all’interno del PD in questi giorni è un momento chiave per la storia del più grande partito della sinistra italiana. A differenza di quanto scrivono spesso i giornali, il rischio per il PD non è una scissione, ma quello di subire una nuova lacerazione nel suo corpo già ferito. Oggi è fuori moda ricordarlo, ma una sana democrazia ha bisogno di partiti solidi che la sostengano: un partito sofferente e diviso non è un buon attore democratico.
In Italia il problema è ancora più sentito, visto che il PD è l’unico grande partito che somiglia a quelli delle democrazie occidentali: in grado di formare una classe dirigente, con una vasta base di sostegno sul territorio e regolato da processi democratici. È un argomento che, mi rendo conto, non scalda il cuore del pubblico. Come ha detto Renzi ospite del talk show Politics un paio di settimane fa, agli italiani interessa più “la pastorizia” del dibattito interno al Partito Democratico.
Il modo migliore, credo, per apprezzare quanto invece questo dibattito sia importante, è quello di guardare a dei casi pratici. Quello che personalmente conosco meglio è quello di Sesto Fiorentino, un comune dove lo scorso giugno il principale partito di centrosinistra ha perso le elezioni per la prima volta in più di un secolo.
A Sesto il Partito Socialista e i suoi eredi (PCI, PDS, DS e PD) hanno iniziato a governare nel 1899, quando in comune venne eletto il secondo sindaco socialista nella storia d’Italia. La città è stata per decenni un comune modello: solido e ben amministrato, dove i sindaci di sinistra ottenevano alle elezioni fino a due terzi dei voti. Ma con l’arrivo di Matteo Renzi alla segreteria del PD, il partito cittadino si è trovato diviso tra i sostenitori del nuovo corso e la vecchia guardia.
Incapaci di accordarsi su un candidato sindaco, i sestesi chiesero a Renzi l’invio di un “console straniero”, una persona di sua fiducia, originaria di Sesto, ma che non aveva mai fatto politica in città. Renzi scelse Sara Biagiotti, sua storica collaboratrice che, insieme a Maria Elena Boschi e Simona Bonafé, lo aveva accompagnato nel suo primo tour in camper per le primarie del 2012. La scelta però non placò le divisioni interne. Dopo la vittoria alle elezioni del 2014, le due anime del partito ricominciarono a scontrarsi e nel 2015 una parte del partito prese la decisione senza precedenti di far cadere il sindaco. I “traditori” furono espulsi dal PD, si candidarono con Sinistra Italia e lo scorso giugno vinsero elezioni, sconfiggendo il principale partito di centrosinistra per la prima volta nella storia elettorale della città.
La storia di Sesto, in piccolo, dimostra quello che si è visto in tutta Italia con le ripetute sconfitte del PD alle ultime amministrative, quelle del 2015 e quelle del 2016: lo scontro al vertici del partito si riflette sul territorio, dove produce divisioni e causa una perdita di consenso. Dove i voti non si sono spostati verso una forza politica formata da transfughi od oppositori a sinistra del PD, gli elettori semplicemente disertano le urne. È accaduto in Liguria, a Roma e in parte anche a Torino. Ma c’è anche un altro effetto della crisi dei partiti che la storia di Sesto fa emergere.
Alle elezioni della scorsa estate, quelle perse dal PD per la prima volta, il tema centrale della campagna elettorale è stato l’inceneritore, un progetto il cui iter di approvazione è stato oramai quasi concluso. Sinistra Italiana e gli ex PD hanno promesso di fare di tutto per fermarlo, mentre il candidato del PD sosteneva che oramai era troppo tardi. Il tema ha scaldato gli animi a tal punto che nell’ultimo dibattito tra candidati prima del voto al secondo turno la polizia ha schierato due camionette di agenti intorno alla Casa del Popolo dove si svolgeva l’incontro. Anche se non c’è stato bisogno di alcun intervento, i toni del dibattito sono stati in diversi momenti molto tesi.
L’aspetto più curioso è che fino a queste elezioni l’inceneritore non era mai stato contestato in maniera significativa. Il lungo progetto di approvazione si è svolto negli ultimi anni di egemonia cittadina del PD. Era un progetto politico, appoggiato dalla giunta dell’epoca in cambio di una chiara concessione da parte dell’amministrazione provinciale: la costruzione di un grande parco nell’unica area verde rimasta nel territorio comunale. Con i dibattiti nelle Case del Popolo e le pazienti spiegazioni dei leader di partito nei bar e per le vie delle strade, il progetto non aveva incontrato sostanzialmente nessuna resistenza.
Ma con la crisi del partito e la fine della sua egemonia, in città si è aperto uno spazio per offrire una visione differente. Le “mamme contro l’inceneritore”, un gruppo di opinione molto aggressivo, hanno iniziato a mobilitare l’opinione pubblica, usando spesso argomentazioni non proprio scientifiche. In questo spazio si sono infilati gli avversari del PD, che hanno trasformato la protesta delle mamme nella loro battaglia. Questo ha causato alcuni imbarazzi ai consiglieri fuoriusciti dal PD, che quell’inceneritore lo avevano approvato, ma nella loro transizione sono stati aiutati dallo stesso Renzi che, di fatto, si è rimangiato la sua promessa di concedere un parco e al suo posto, oggi, spinge per l’ingrandimento dell’aeroporto di Firenze.
La lezione di Sesto mostra che le divisioni del partito, oltre a causare sconfitte sul territorio, producono la perdita della possibilità di irregimentare il discorso pubblico, di mediare il dibattito, di fungere da camera di compensazione. La crisi del partito si inserisce nella più vasta crisi di tutti i gruppi di intermediazione, dalla stampa, alle università. Nel vuoto lasciato da questi attori si infilano narrazioni populiste che fanno appello alla pancia e al lato irrazionale degli elettori. Dove prima c’era un clima pacifico, un governo del consenso, anche con le sue degenerazioni, oggi le urla volano sotto le nubi nere degli inceneritori, delle invasioni di profughi e delle catastrofi incombenti.
Negli ultimi giorni, le trattative interne al PD per ricomporre la divisione sembrano procedere piuttosto bene, ma l’accordo finale dovrà essere raggiunto entro la prossima settimana. L’avvicinamento della minoranza sembra essere in gran parte merito di Gianni Cuperlo, che ha speso moltissime energie per cercare un accordo quando oramai le speranze di raggiungerne uno sembravano perdute. L’apertura della maggioranza sembra in qualche misura dettata dai risultati dei sondaggi che, nonostante il recupero mostrato negli ultimi giorni dal fronte del “Sì”, mostrano che la vittoria potrebbe arrivare grazie a un paio di punti percentuale, forse proprio quelli che potrebbe riportare un accordo nel PD.
Come il caso di Sesto dimostra, la crisi del partito precede e continuerà, qualunque sia l’esito delle trattative, ma non c’è dubbio che un corpo malato non trarrà giovamento dal ricevere l’ennesimo calcio. I prossimi mesi saranno in ogni caso molto molto interessanti per il futuro del PD e del suo segretario. Renzi ha dimostrato di essere abile a raccogliere consenso nei grandi appuntamenti epocali: le Europee del 2014, quando sembrava che il Movimento 5 Stelle fosse a un passo del sorpasso; il referendum, in cui, in poche settimane, è riuscito a invertire il trend dei sondaggi che per tutta l’estate davano il “No” in crescita. Sarà interessante scoprire se, con un partito avvolto in una crisi che sembra essere senza fine, Renzi riuscirà a governare il paese, oltre che a vincere le elezioni.