Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 5 Maggio 2024

Traffic in libreria

“Traffic”, il libro di Ben Smith pubblicato in Italia da Altrecose (il brand editoriale del Post con Iperborea) esce mercoledì, e si può già ordinare qui. Racconta di come internet e i media digitali – e il mondo, forse -sono diventati quello che sono oggi, illudendosi di diventare altro, attraverso le storie dei protagonisti di questi due decenni, Smith compreso.

” C’è una battuta nell’opera teatrale Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard che mi è tornata in mente quella volta che il mio editor mi ha fatto notare che forse Jonah e io, pensandoci come protagonisti della storia, stavamo in realtà vivendo la storia di qualcun altro. «Il nostro errore è stato salire su una nave», osserva Guildenstern nel finale. «Certo, possiamo muoverci, cambiare direzione. Ma ogni nostro movimento è contenuto in un movimento più vasto che ci spinge avanti inesorabilmente, come il vento e la corrente». Vent’anni prima Jonah aveva scommesso con il suo amico Cameron Marlow che poteva controllare Internet, e forse più di chiunque altro, a parte Mark Zuckerberg e Donald Trump, ha cercato e a volte è riuscito a governare il nuovo mezzo. Ma il mezzo non poteva contenere il messaggio. In pratica, «Internet» è diventato la società stessa; le forze che sono arrivate a dominarlo – il populismo di destra e di sinistra, soprattutto – sono forze sociali, non digitali. I geni che hanno avuto successo in quest’epoca non hanno dominato queste forze: ne sono diventati i contenitori, come Trump, oppure come Zuckerberg, hanno offerto loro un canale. Jonah ha cercato di plasmarle, ma quasi sempre anche un genio non può fare molto di più che assistere all’arrivo di queste forze e farsi trascinare”.


domenica 5 Maggio 2024

Quello che abbiamo imparato fin qui

In collaborazione con la Fondazione Peccioliper, il Post curerà anche quest’anno un workshop gratuito di una settimana per giovani studenti a Peccioli, in Toscana: dall’8 al 14 luglio, maggiori informazioni sono qui.


domenica 5 Maggio 2024

Col Telegraph siamo daccapo

Lo sviluppo di questa settimana sulla vendita del quotidiano britannico Daily Telegraph è uno sviluppo conseguente: il fondo Redbird ha ritirato il suo progetto di acquisto dopo l’intervento del governo che limita la partecipazione di stati stranieri nelle aziende giornalistiche (la maggioranza di Redbird è del governo degli Emirati Arabi Uniti).


domenica 5 Maggio 2024

Il dannato futuro dei giornali a Torino

Giovedì inizia il Salone del libro a Torino, con un ricchissimo programma che contiene anche diversi incontri molto interessanti per i lettori di questa newsletter, nella sezione curata da Francesco Costa del Post: Jill Abramson (ex direttrice del New York Times), Ben Smith (direttore di Semafor e autore di ” Traffic“), Daniele Raineri (inviato di Repubblica), e la rassegna stampa di Costa e Luca Sofri, “I giornali spiegati bene”. Dalla presentazione sulla Stampa:

“C’è anche Jill Abramson, prima donna a dirigere il “New York Times”, tra gli ospiti della sezione “Informazione”: è curata da Francesco Costa e indaga il presente e il futuro del giornalismo. Sabato 11 alle 15,45 in Sala Azzurra, Abramson racconterà i cambiamenti vissuti dal quotidiano americano, fondato nel 1851 e che lei ha diretto tra il 2011 e il 2014: è l’occasione per interrogarsi sul futuro della carta stampata.

Le altre voci coinvolte da Costa sono quelle di Daniele Raineri, inviato di guerra che parla venerdì 10 alle 15 in Sala Oro del mestiere del reporter e dei conflitti in corso, di Ben Smith, uno dei giornalisti più influenti negli Stati Uniti, fondatore di Semafor e di start-up digitali per l’informazione che, sempre venerdì 10 ma alle 18,15 in Sala Azzurra, racconta la «guerra dei clic», e di Luca Sofri, direttore del Post, che domenica 12 conduce un’edizione speciale della “Rassegna stampa live” del Post (appuntamento alle 11 in Auditorium)”.


domenica 5 Maggio 2024

Dopo Remnick

Oggi su Charlie ci sono grovigli di testate che parlano di altre testate: qui siamo ancora su Semafor e sul New Yorker, ma per un articolo del primo dedicato al secondo, e in particolare alle ipotesi di successione del direttore. Il New Yorker è uno dei più illustri settimanali del mondo (l’anno prossimo compie un secolo), di proprietà dell’editore Condé Nast (che possiede anche VogueVanity FairWiredGQ, tra gli altri: e le loro edizioni internazionali). Negli Stati Uniti è considerata il magazine di riferimento per un esteso ceto sociale e culturale progressista, con una competizione però sempre maggiore da parte del mensile Atlantic (di proprietà di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs), competizione che oggi si manifesta soprattutto sul web, a prescindere quindi dalle diverse periodicità delle due testate cartacee.
Dal 1998 il direttore del New Yorker è David Remnick, una celebrità eccezionalmente stimata nel mondo intellettuale e giornalistico americano: perché dirige il New Yorker da ventisei anni (quando iniziò il giornale neanche aveva un sito), perché lo fa con grande autorevolezza e personalità, perché fu nominato che arrivava da una carriera giornalistica da reporter e non da passaggi manageriali o di guida di redazioni.
Adesso Semafor ha raccontato che nei prossimi tre o quattro anni è realistico che Remnick lasci la direzione, e rimpiazzarlo sarà molto complicato: «È difficile immaginare il New Yorker senza Remnick».


domenica 5 Maggio 2024

Di qualità

Lo scorso 27 aprile il commentatore del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia aveva pubblicato sul giornale un articolo critico del valore accademico delle lauree offerte dalle “università telematiche”.
L’indomani il Corriere ha ospitato sempre in prima pagina una risposta di Luciano Violante, ex presidente della Camera e oggi presidente del gruppo Multiversity, che possiede l’università telematica Pegaso, tra le altre. Il suo articolo era dedicato a dimostrare che quelle del gruppo Multiversity sono “università telematiche di qualità”, da distinguere dalle altre.
Pegaso è partner del Corriere della Sera nei progetti di formazione “RCS Academy“.


domenica 5 Maggio 2024

Ancora qualche “public editor” in giro

Il public editor è un ruolo tradizionale creato in alcune redazioni nordamericane, anche se ormai da tempo sono rimaste pochissime quelle che lo hanno conservato: è di fatto un “rappresentante dei lettori” presso il giornale, un giornalista che si fa interprete e mediatore di reazioni o critiche nei confronti delle scelte del giornale. Ha una sua indipendenza dalla redazione e dalla direzione, aiuta a mantenere alti i rigori giornalistici e ad aumentare la trasparenza tra lettori e redazione (scrivendo articoli che spiegano scelte, errori e omissioni del giornale). È un ruolo che in Italia è stato adottato con la giornalista Anna Masera alla Stampa, ma che dal 2021 non esiste più neanche lì: negli ultimi anni i «public editor hanno iniziato a scomparire» anche negli Stati Uniti, per esempio, nel 2017 è stata chiusa la posizione al New York Times e l’anno dopo anche quella della rete televisiva ESPNC’è ancora invece alla rete radiofonica NPR, di cui abbiamo parlato di recente, o al Toronto Star in Canada. Se da una parte il ruolo può attenuare le insoddisfazioni e la sfiducia dei lettori nei confronti dei giornali, dall’altra molte testate non vogliono offrire alle critiche eventualmente fondate un’occasione di essere avallate e condivise ufficialmente.

Ma martedì è stato nominato un nuovo public editor al Dallas Morning News, quotidiano che ha 138 anni, è il principale giornale di Dallas e tra i più importanti giornali locali degli Stati Uniti: Stephen Buckley, reporter e redattore con un’estesa carriera accademica, che oggi, fra le altre cose, insegna pratica giornalistica alla Duke University. Nel comunicato l’editore ha detto che la fiducia nei media è crollata e «questo è profondamente preoccupante per la redazione del Dallas Morning News perché ci rendiamo conto che quando le persone non si fidano delle istituzioni pubbliche e dei media (che hanno lo scopo di chiedere conto dell’operato delle istituzioni pubbliche), qualcosa deve cambiare. Quindi, cosa si fa quando manca la fiducia in una relazione? Si affronta il problema». Buckley lavorerà al di fuori della struttura della redazione e riferirà direttamente all’editore, continuerà a insegnare e terrà una rubrica fissa mensile sul giornale.

Poynter, istituto americano dedicato allo studio del giornalismo, ha scritto che «il Dallas Morning News merita un grande apprezzamento per questa scelta. È costosa e apre il giornale a domande e critiche. Ma c’è anche qualcosa da guadagnarci: affidabilità, responsabilità e, nel migliore dei casi, fiducia dei lettori».


domenica 5 Maggio 2024

Autobavagli

Il sito di reportage giornalistici IrpiMedia ha pubblicato un’ indagine sulle ragioni e le pratiche con cui i siti di news decidono di rimuovere articoli e pagine dai loro archivi online.

“«Come dimostrano alcuni provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, Google tende a resistere di più alle richieste di deindicizzazione – commenta l’avvocato Giovanni Battista Gallus -. È più facile che sia una testata a rendere irraggiungibile un articolo» rispetto al motore di ricerca. Lo si deduce, spiega l’avvocato, dal fatto che il Garante in diversi provvedimenti «dichiara esplicitamente il non luogo a procedere perché l’articolo è già stato deindicizzato prima che la persona faccia reclamo all’Autorità».
Significa quindi che un testata, quando ne ha ricevuto richiesta da una persona interessata, ha deciso di rendere irraggiungibile ai motori di ricerca un articolo prima di avere un (eventuale, non necessario) parere di merito dall’Autorità preposta. «A volte è stato addirittura rimosso dall’archivio storico», conclude Gallus.
Per quanto la mediazione con chi si sente parte lesa sia un atteggiamento positivo delle testate, va sottolineato che la deindicizzazione non è un gesto neutrale né privo di conseguenze: rendere più difficile a un utente la ricerca di un contenuto equivale a renderlo irrilevante. Tanto peggio quando questo non viene solo omesso dai risultati dei motori di ricerca, ma anche dall’archivio storico di una testata”.


domenica 5 Maggio 2024

La ciàt

Alla fine della settimana prima di questa era stata ripresa da alcuni articoli in Italia una storia relativa a una chat su Whatsapp creata per il 25 aprile dall’ex direttore della Stampa (oggi editorialista di Repubblica ) Massimo Giannini, e che aveva raccolto desideri di opposizione politica da diversi partecipanti famosi. Alcune testate giornalistiche avevano rivelato e preso in giro le comunicazioni che la chat aveva ospitato (Linkiesta due volte, il Foglio), altre più di destra le avevano offerte ai propri lettori o si erano indignate con meno senso dell’umorismo: Il ministro Salvini ne aveva persino fatto uno dei suoi frequenti casi di vittimismo. La chat era diventata intanto protagonista di alcune puntate del programma televisivo Otto e mezzo.
Tanto è diventata argomento di polemiche e sorrisi soprattutto tra i giornalisti che sabato ha scelto di scriverne persino il giornale stesso di Giannini, Repubblica, con un articolo di Stefano Cappellini capace di non sottrarsi a sua volta a qualche battuta e di farci sopra qualche considerazione di maggior spessore.

“Sarebbe facile dire che in meno di 48 ore la chat 25 aprile ha riprodotto in cattività alcuni dei difetti naturali della sinistra, frazionismo, benaltrismo, velleitarismo, più una inevitabile spruzzata di vanità e di logorrea che con i suoi discorsi seri e inopportuni fa sprecare tutte le occasioni (qui il comico Dario Vergassola ha piazzato una delle battute meglio riuscite: “Siamo più di 900 partecipanti, a mille partono le scissioni”). Da antologia ceccarelliana il momento in cui, pochi minuti dopo un intervento di Fausto Bertinotti, Romano Prodi ha abbandonato il gruppo. Ma la verità è che la chat di Giannini racconta un fatto importante: quanto solo e disperato si senta il popolo della sinistra italiana senza distinzioni di ceto, censo, professione, genere e grado di radicalismo o moderazione. Tanto solo e disperato da aggrapparsi a una chat di auguri come a una scialuppa, una zattera della Medusa. Persone che hanno voglia di fare qualcosa perché sentono che nessuno dei partiti chiamati a farlo glielo chiede e, se anche glielo chiedesse, non avrebbe l’autorevolezza o la credibilità per toccare le corde che un semplice messaggio d’auguri ha saputo smuovere. Enrico Mentana ha abbandonato presto il gruppo sostenendo che il suo mestiere è un altro, posizione più che rispettabile, e ha aggiunto che a fare l’opposizione ci sono già sei partiti. Vero, ma il problema è proprio questo: questi partiti, per ragioni molte diverse, non riescono a fare il loro mestiere, non lo sanno fare, in qualche caso non lo vogliono fare. Dunque, se non fosse che la domanda potrebbe eccitare la componente leninista, la domanda è: che fare?”.


domenica 5 Maggio 2024

Al Guardian non bene

Il quotidiano britannico Daily Telegraph ha riferito che il suo concorrente Guardian incentiverà l’uscita volontaria di un numero non precisato di dipendenti. Il Guardian è da qualche mese in una fase che ha già mostrato sintomi di difficoltà, dopo alcuni anni di crescite e successi.


domenica 5 Maggio 2024

Tenetevi i vostri soldi

Mediapart è un sito d’inchiesta francese spesso celebrato negli anni passati dai giornalisti dei giornali tradizionali, perché è un caso piuttosto raro di nuovo progetto digitale costruito da giornalisti professionisti e con esperienze novecentesche che hanno trovato il coraggio di provare un esperimento di autonomia e che sono riusciti a farlo funzionare (il più noto tra i fondatori, nel 2008, fu Edwy Plenel, che era stato direttore del quotidiano Le Monde): e che ha fatto della predicazione di fiducia e trasparenza coi lettori uno dei fattori più efficaci per costruirle, fiducia e trasparenza. Quindi la scorsa domenica il sito ha pubblicato un articolo battagliero in cui si spiega che «nel marzo 2024, Mediapart avrebbe dovuto ricevere una somma consistente in cambio dell’utilizzo da parte di Google dei nostri articoli, e quindi delle nostre informazioni esclusive, sul suo motore di ricerca. Ma in mancanza di trasparenza [da parte di Google], abbiamo impedito che il bonifico arrivasse sui nostri conti»

«Dato il legame di fiducia con i nostri abbonati, che garantiscono la quasi totalità delle nostre entrate (98%), e il fatto che pubblichiamo i nostri conti ogni anno, ci sembrava inconcepibile incassare anche il più piccolo centesimo, per quanto legittimo»: Mediapart contesta che gli accordi per i compensi da Google – obbligati dalla legge francese – prevedano un obbligo di riservatezza sulle cifre concordate, impedendo di comunicarle ai lettori e di poterle usare come standard per delle trattative condivise tra le varie testate. La legge francese è quella, tra i paesi europei, ad aver applicato con maggiore severità una direttiva europea sui diritti d’autore, cercando di riequilibrare il rapporto tra le piattaforme digitali e i media, favorendo quest’ultimi: a marzo l’antitrust francese aveva multato Google per 250 milioni per non aver rispettato alcuni accordi con gli editori dei giornali.

In tutto il mondo gli editori di giornali stanno chiedendo compensi alle grandi piattaforme digitali per l’uso dei loro contenuti: le richieste hanno qualche fragilità e spesso accordi vengono raggiunti, ma principalmente tra le piattaforme e gli editori maggiori e con più forza contrattuale, a scapito dei siti di news più piccoli o più indipendenti. Mediapart aggiunge: «a differenza dei media che hanno optato per un approccio “ognuno per sé” firmando accordi individuali» contestando, per esempio, la scelta di Le Monde di fare propri accordi con OpenAI, azienda nota per aver sviluppato lo strumento di intelligenza artificiale generativa ChatGPT, «crediamo che solo un fronte unito di operatori del settore sarà in grado di influenzare le multinazionali che, senza una legislazione, continuerebbero a saccheggiare i nostri articoli», e che «di fronte agli attuali eccessi monopolistici, che colpiscono soprattutto le strutture più piccole e indipendenti, la regolamentazione non può più essere rimandata».
I compensi che Mediapart ha deciso quindi di rifiutare non saranno restituiti ma resteranno in possesso di un organismo creato per gestire le contrattazioni collettivamente.


domenica 5 Maggio 2024

E perché se ne parla

Ogni anno il giudizio del “World press freedom index” viene comunicato con grande enfasi sui giornali italiani, ogni anno utilizzandolo con partigianeria per difendere le parti politiche a cui ciascun giornale si tiene più vicino (riconoscendole come quelle più apprezzate dai propri lettori) o per attaccare quelle che è solito contestare. Quindi questa settimana all’indice 2024 è stato dato molto spazio tra i giornali critici con la presente maggioranza (Repubblica ne ha fatto la notizia di apertura della prima pagina), perché un modo sbrigativo di leggerlo poteva essere “l’Italia ha perso cinque posizioni (dalla 41ma alla 46ma) nella classifica in conseguenza degli interventi del governo sull’informazione”. Ma a guardare bene i dati e i commenti relativi si possono leggere cose più approfondite e che raccontano storie meno superficiali:
1) le posizioni si possono perdere o guadagnare anche per meriti e demeriti di altri paesi, ed è quindi più opportuno giudicare la variazione dell’indice assoluto attribuito dall’indice, come ricordava lo stesso incipit dell’articolo di Repubblica. L’Italia ha quindi perso 2,25 punti su 100, e anche mantenendo lo stesso punteggio dell’anno passato avrebbe perso due posizioni.
2) soltanto due anni fa la posizione dell’Italia era 58ma, con 1,64 punti in meno. Se davvero queste variazioni potessero essere messe in relazione con scelte dei governi in carica ciascun anno, significherebbe attribuire al governo Draghi maggiori limitazioni della libertà di stampa di quelle attuali col governo Meloni. Ma l’Italia è stata in posizioni peggiori della attuale anche in tutti gli anni dal 2008 al 2018.
3) il breve testo di analisi di ciascun paese per l’Italia cita cita come primi tra i problemi le minacce della mafia e di gruppi estremisti (fattori invece assai trascurati nelle titolazioni dei giorni scorsi sui quotidiani italiani) e spiega che “per la gran parte i giornalisti italiani godono di un clima di libertà. Ma a volte cedono a un’autocensura, per assecondare la linea editoriale della loro azienda giornalistica o per evitare una denuncia per diffamazione o altre azioni legali”. Sono piuttosto queste le ragioni maggiori di preoccupazione e che spiegano come mai l’Italia occupi una posizione più bassa tra i paesi europei con cui abitualmente si confronta.
4) l’Ungheria, alla cui valutazione alcuni titoli hanno avvicinato l’Italia, è invece 67ma, con 7 punti in meno dell’Italia.
Detto tutto questo, ricordiamo che si tratta di un giudizio di “Reporter senza frontiere”, basato sulle valutazioni di una serie di corrispondenti in ciascun paese e su un lungo questionario fitto di variabili passato attraverso complesse formule matematiche: variazioni annuali di pochi punti o di decimi di punti percentuali stanno del tutto dentro le variabili aleatorie del procedimento.


domenica 5 Maggio 2024

Cos’è il “World press freedom index”

“Reporter senza frontiere” è il nome italiano di un’organizzazione non profit internazionale (nacque in Francia nel 1985, col nome originale di “Reporters sans frontières”) che si occupa – col contributo soprattutto di istituzioni governative e di fondazioni private – di difendere e proteggere i giornalisti e il loro lavoro in tutto il mondo. La sua maggiore occasione di notorietà pubblica è un’efficace intuizione di comunicazione creata nel 2002: il “World press freedom index”, una classifica aggiornata annualmente dei paesi del mondo sulla base di una serie di parametri che, sintetizzati, vogliono misurare la libertà di stampa in ciascun paese. Trattandosi di una classifica è da una parte molto appetibile per i mezzi di informazione, e dall’altra molto schematica e a rischio di interpretazioni sbrigativa. In più, è compilata a partire dai giudizi di un’organizzazione privata – per quanto encomiabile nel suo lavoro – e da valutatori particolarmente sensibili ai rischi per la libertà di stampa e quindi tendenti a enfatizzare questi rischi e ogni allarme relativo (nel testo che accompagna la classifica 2024 per l’Italia si fa riferimento alla possibile vendita dell’agenzia AGI a un parlamentare della maggioranza, che non è ancora avvenuta; e alla “legge bavaglio” che non ha ancora avuto applicazione, trattandosi di una delega al governo a cui non c’è stato ancora seguito: e il rapporto usa peraltro lo stesso nomignolo spregiativo e propagandistico coniato dai suoi critici, e senza che quelle norme fossero mai state criticate quando già esistevano negli anni passati).
Un altro limite di come la classifica viene spesso comunicata e interpretata è che le principali minacce alla libertà di stampa che influiscono sul giudizio per molti paesi (Italia compresa) sono quelle provenienti dalle organizzazioni criminali e dalle mafie, e non dalle pressioni politiche e dei governi. Il Post aveva raccontato la classifica nel 2017 (i parametri di valutazione sono cambiati nel frattempo).


domenica 5 Maggio 2024

La fine del traffico

Brian Morrissey, ex direttore del sito di media e pubblicità Digiday che ci capita di citare su Charlie da quando ha un’ottima newsletter che si chiama The Rebooting, ha intervistato nel suo podcast la direttrice del Wall Street Journal Emma Tucker. Tra le diverse cose interessanti della conversazione la principale e più esemplare di un grosso cambiamento in corso è quella che riguarda lo spostamento di priorità dalla crescita delle “pagine viste” o dei “visitatori unici” al coinvolgimento dei lettori che produca una maggior fedeltà e una maggiore propensione all’abbonamento. Spiega Morrissey:

“L’era del traffico è finita. Nessuno si vanta più dei suoi visitatori unici certificati da Comscore: la nuova stella polare è l’engagement. In particolare per i modelli ad abbonamento, che sono il naturale sviluppo delle strategie concentrate sul pubblico. Con gli abbonamenti il terrore è il churn (ovvero la quota di abbonamenti che non vengono rinnovati, ndt). Trovo rivelatore che Emma non citi i numeri di traffico ma sottolinei piuttosto che il churn del Wall Street Journal quest’anno sia calato del 6%. Il Journal ha una bacheca di dati che misurano criteri come le visite, le conversioni in abbonamenti, le quote di lettrici e di lettori giovani:«Alla redazione chiedo di concentrarsi sull’engagement, non sul traffico, non sui clic. Quanto tempo passano le persone sul nostro giornalismo? Quanto spesso tornano?».

È interessante come la tendenza si stia manifestando in ambiti anche non giornalistici: Netflix ha da poco annunciato che non diffonderà più dati sul numero dei propri abbonati, per la stessa ragione. Nella sua lettera trimestrale agli azionisti Netflix ha scritto che l’engagement – il tempo passato sulla piattaforma – “è il miglior sintomo della soddisfazione dei clienti” e che oggi la metrica più adatta per valutare i propri risultati sono i risultati economici di questo engagement che non sono più proporzionali al numero degli abbonamenti, ma derivano per esempio dalle forme di abbonamento più costose o dai ricavi pubblicitari o dalla promozione per passaparola generata dagli utenti più assidui.


domenica 5 Maggio 2024

Tornando a casa

Il settimanale New Yorker ha pubblicato sul suo sito un articolo intitolato “La vendetta della home page”. La sintesi è una tendenza che è stata percepita da qualche tempo nei siti di news: ovvero che le home page sarebbero tornate a essere un accesso rilevante per i lettori, dopo che per anni il loro ruolo – delle home page – era stato reso assai marginale dalla prevalenza dei social network e di Google nel portare traffico sui siti. Una decina d’anni fa le nostre abitudini di navigazione si erano concentrate su queste piattaforme anche rispetto alla fruizione dei contenuti di informazione: e il traffico aveva preso sempre più a raggiungere singole pagine senza più passare dalle home page. Adesso che Facebook e Google stanno disinvestendo dalle news, che Twitter è sempre più una cosa diversa dal “social delle news” che era stato, e che Instagram e TikTok continuano a non essere veicoli di traffico all’esterno delle rispettive piattaforme, una quota di utenti delle news ha ripreso a raggiungere i giornali online attraverso le loro homepage, cliccando sui bookmark relativi o digitando le loro URL.

Il New Yorker cita i casi del sito di news Semafor, che si sta muovendo in questa direzione, e di un antico e amato sito di link ad articoli di varia cultura, Arts & Letters Daily . In entrambi i casi, in modi diversi, sembra resistere il potenziale di un’offerta di aggregazione da parte delle home page, in cui i lettori possano trovare selezionati e confezionati articoli e link di vario genere: un po’ la cosa che erano abituati a trovare sui social network anche rispetto alle news.
Il sito di sport Defector dichiara che il 75% dei propri abbonati raggiunge il sito attraverso la homepage.
Al Post le visite sulla homepage sono in crescita dal 2021, e sono passate da una media del 20% a circa il 40% delle visite totali.


domenica 5 Maggio 2024

Charlie, and it’s ok

Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha tenuto un discorso alla “Society of editors”, un’importante associazione di giornalisti del suo paese. Sunak ha detto tutte le cose retoriche e rispettose che un primo ministro può dire in quel contesto, celebrando l’importanza e il valore del lavoro giornalistico, ma le ha dette bene. E, visto da qui e di questi tempi, non ha esibito risentimenti e polemiche né presentato le sue insoddisfazioni: o meglio, ha spiegato che capita che le abbia, e che va bene così, a ognuno il suo ruolo.

Quello che si vede in Italia – ma non solo in Italia – è il ricorso al vittimismo e alla contrapposizione come strumento di propaganda da parte di entrambi gli ambiti: i giornali sostengono ogni giorno di essere sotto attacco da qualche parte politica, i politici sostengono ogni giorno di essere sotto attacco da parte di qualche giornale e dei suoi interessi. Ed entrambi protestano, ed entrambi ottengono così di compattare le file dei propri sostenitori: a scopo di diffusione di copie o di raccolta di voti. I percorsi di politica e giornalismo sono paralleli da molto tempo, ormai.

Invece Sunak ha detto in quest’occasione la cosa più ragionevole, quello che dovrebbe essere: “And in conclusion politicians and media will always clash. It’s a law of nature… And [I] won’t always like what you write or the questions that you ask. I won’t always agree with what you say and the way that you represent the Government’s actions. But that’s okay”.
I giornali criticano i politici, i politici si scocciano: but that’s ok. Senza gettarsi a terra ogni giorno gridando “arbitro!”.

Fine di questo prologo.


domenica 28 Aprile 2024

Ogni quattro anni

Il nuovo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post, è già disponibile per i suoi abbonati e sarà in libreria l’8 maggio: è dedicato a spiegare contesti, funzionamenti, informazioni intorno alle elezioni presidenziali statunitensi di novembre, ed è in questa occasione preceduto da un’introduzione di Francesco Costa.


domenica 28 Aprile 2024

Sulle ultime al New York Times

La settimana scorsa un errore di formattazione ha reso illeggibile per alcuni lettori della newsletter il testo sull’indagine interna al New York Times, che riproduciamo qui, con molte scuse.

Ci sono aggiornamenti al New York Times su una faccenda di cui avevamo scritto: il sito The Intercept aveva raccontato che il New York Times non avrebbe pubblicato una puntata del suo podcast The Daily (ascoltatissimo e molto seguito) per dubbi sulla credibilità e accuratezza delle fonti, a proposito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre; il New York Times aveva risposto sostenendo che si fosse trattato di normali revisioni giornalistiche, ma aveva avviato delle indagini interne per capire chi avesse dato a The Intercept le informazioni relative. Questo nel contesto sia di una nuova linea imposta dalla direzione che cerca di evitare che le discussioni interne al giornale siano diffuse al di fuori della redazione, e sia di critiche e pressioni a proposito della copertura di quello che succede a Gaza e in Israele.

Diversi siti di news hanno riportato che lunedì il direttore del New York Times Joe Kahn ha scritto in un canale Slack (il programma di chat usato da molte aziende) del giornale che «non abbiamo raggiunto una conclusione definitiva su come si sia verificata questa significativa fuga di notizie. Abbiamo identificato delle lacune nel modo in cui viene gestito il nostro materiale giornalistico e abbiamo preso provvedimenti per risolvere questi problemi». La direttrice delle indagini interne del New York Times, Charlotte Behrendt, ha intervistato una ventina di persone nel corso di molte settimane. L’indagine è stata criticata dal sindacato dei giornalisti, che ha presentato un reclamo «per molestie e discriminazioni nei confronti» di un gruppo di collaboratori del New York Times di origine araba e mediorientale: i dirigenti del giornale hanno risposto che le accuse sarebbero infondate.


domenica 28 Aprile 2024

Titolismi

Questa settimana è stata Alessia Marcuzzi, popolare conduttrice televisiva, a protestare per la scelta di titolazione di una sua intervista pubblicata sul Corriere della Sera. Il giornale ha successivamente modificato il titolo nella versione online dell’intervista.
Venerdì della settimana precedente l’allenatore della Roma Daniele De Rossi aveva protestato per come le sue parole erano state riportate su alcuni giornali.
Un mese fa, nella sua rubrica quotidiana su Repubblica, Michele Serra aveva suggerito di dare interviste ai giornali soltanto per iscritto, per evitare sorprese: soluzione che però non protegge dai rischi delle titolazioni fuorvianti.


domenica 28 Aprile 2024

Con Biden ma scontenti

Il sito americano Politico ha raccontato giovedì in un articolo come i rapporti tra lo staff del presidente Biden e il New York Times – il maggiore quotidiano del paese, stabilmente su posizioni liberal – non siano per niente buoni, con diffidenze e insoddisfazioni reciproche. L’articolo è stato molto discusso nei giorni scorsi, e il New York Times ha ritenuto di commentarlo – senza citarlo -, negando presunte ingerenze dell’editore sulla questione e confermando il proprio disappunto per la limitata disponibilità di Biden a confrontarsi con i giornalisti in generale.


domenica 28 Aprile 2024

GEDI è tutta di Exor

Il gruppo editoriale GEDI – quello che possiede StampaRepubblicaHuffPost Radio Deejay – diverrà a breve completamente di proprietà di Exor, la grande società internazionale che ne deteneva già la maggioranza delle azioni e che ha tra le sue molte proprietà soprattutto l’azienda automobilistica Stellantis (e per cui GEDI è un interesse economico molto marginale). “Esercitando un’opzione” prevista dagli accordi, Exor acquisterà le quote dei soci di minoranza (le società CIR degli eredi De Benedetti, e Mercurio di Carlo Perrone: ex editori rispettivamente di Repubblica Secolo XIX ) entro il primo semestre del 2024.


domenica 28 Aprile 2024

Comunisti in Giappone

Il settimanale britannico Economist ha raccontato come a rivelare un grosso scandalo di evasione fiscale nella politica giapponese ci sia il giornale del partito comunista del Giappone, lo Shimbun Akahata. L’articolo è stato tradotto in Italia dal settimanale Internazionale.

“La cosa forse sorprendente è che all’origine dello scandalo c’è lo Shimbun Akahata (Giornale bandiera rossa), il quotidiano del Partito comunista giapponese (Jcp). Un giornale di nicchia che oggi è letto da 850mila abbonati, in calo rispetto ai 3,5 milioni del 1980. È stato Akahata il primo a occuparsi delle discrepanze nei finanziamenti del 2022. “Non mi aspettavo tanto clamore”, dice Kamiyu Sasagawa, il giornalista di 33 anni autore dello scoop. Sasagawa ha esaminato i documenti governativi e collaborato con Hiroshi Kamiwaki, un docente di legge dell’università Gakuin di Kobe, che ha presentato la denuncia al pubblico ministero”.


domenica 28 Aprile 2024

Non dimentica

Carlo Verdelli, direttore del settimanale Oggi, ha voluto ricordare su Twitter l’anniversario del giorno in cui fu brutalmente licenziato dalla direzione del quotidiano Repubblica, il 23 aprile 2020, per decisione della nuova proprietà del quotidiano.


domenica 28 Aprile 2024

Giornalisti in pericolo

La rivista statunitense Paste, una delle più note nel mondo tra quelle che si occupano di musica (ma anche di cultura e spettacolo in generale: da diversi anni esiste solo in versione digitale) ha spiegato di avere scelto di non firmare una recensione del nuovo disco della cantante Taylor Swift, per garantire la sicurezza dell’autore dopo le minacce ricevute a suo tempo per la recensione di un precedente disco di Swift.


domenica 28 Aprile 2024

Eco-eco

Un altro piccolo esempio di quello che dicevamo domenica scorsa sulla sopravvalutazione, nei giornali italiani, di quello che scrive la stampa straniera sulle cose italiane: il New York Times ha pubblicato un articolo dei suoi corrispondenti a Roma su alcune recenti scelte del governo Meloni, soprattutto quelle limitanti l’applicazione del diritto all’aborto. Un buon articolo di riassunto, interessante per i lettori non italiani: simile a molti articoli sui giornali italiani a proposito della politica in altri paesi. Ma che non conteneva niente di diverso da quello che si è potuto leggere in molti articoli italiani (e che si apriva con un commento di un collaboratore del quotidiano Domani, per esempio). Ma sulla Stampa di giovedì l’articolo stesso è stato considerato una notizia, degna di un articolo sull’articolo.


domenica 28 Aprile 2024

Catch and kill

Durante il processo di queste settimane contro Donald Trump, a New York, è stata ascoltata la testimonianza di David Pecker, ex editore di un famigerato settimanale statunitense, il National Enquirer: assai seguito e noto soprattutto per l’aggressività scandalistica nei confronti delle celebrities. Ma il giornale è stato anche uno strumento al servizio di Trump, negli anni della sua presidenza, come ha raccontato Pecker. Il Post ha spiegato la pratica del “catch and kill”, adottata dai giornali di questo genere in tutto il mondo.

“Secondo la recente testimonianza di Pecker, che in questi giorni ha raccontato quanto accaduto al tribunale di Manhattan durante il primo processo penale contro Trump, la riunione alla Trump Tower serviva a capire «cosa lui e le sue riviste potessero fare per aiutare con la campagna elettorale». Ne uscì un accordo in base a cui Pecker si impegnava a usare l’Enquirer per essere «le orecchie e gli occhi di Trump». Nella pratica, questo voleva dire pubblicare articoli negativi sui suoi sfidanti e positivi su di lui, ma anche avvisarlo nel caso avesse sentito circolare storie che avrebbero potuto metterlo in difficoltà. Pecker era un editore ideale da coinvolgere in questo piano anche perché era già noto per la sua tendenza a ricorrere a una pratica giornalistica considerata molto controversa: quella di pagare una fonte per avere l’esclusiva su una storia, farle firmare un accordo vincolante di non divulgazione e poi non pubblicarla, evitando così la diffusione di notizie potenzialmente dannose per una specifica persona in cambio di qualcosa”.


domenica 28 Aprile 2024

Tutto è green, niente è green

Una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato una multa di 5 milioni di euro che l’Autorità garante della concorrenza (Agcm) aveva deciso nei confronti dell’azienda di prodotti petroliferi ed energia ENI. La sentenza è rilevante per il sistema dell’informazione italiana perché riguarda la libertà di comunicazione promozionale di ENI, che è uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari dei giornali, dei siti di news, dei programmi radio e tv. Secondo Agcm era ingannevole una pubblicità di ENI che dichiarava “green” un carburante diesel dal significativo potere inquinante. Secondo il Consiglio di stato invece il termine può essere usato, e come ha commentato la stessa ENI “è finalmente riconosciuto che non può dubitarsi, in linea di principio, della legittimità dell’impiego di claim ‘green’ anche in relazione a prodotti (come nel caso di specie un carburante diesel) che sono (e restano) in certa misura inquinanti ma che presentano, rispetto ad altri, un minore impatto sull’ambiente”.

Detto che ovviamente tutti i prodotti inquinanti presentano “rispetto ad altri” un minore impatto sull’ambiente (salvo uno solo, per logica), la sentenza libera aziende di ogni genere verso pratiche di “greenwashing” che possono usare il termine “green” indiscriminatamente: e indirettamente ne beneficiano i giornali che ospiteranno comunicazioni a pagamento senza regolamentazioni in questo senso.


domenica 28 Aprile 2024

Cosa c’è in tv

In mezzo alla crisi generale delle riviste e alla trasformazione del nostro rapporto coi media, in Italia tra i settimanali a maggiore diffusione ci sono ancora quelli che offrono su carta i programmi della tv. Il Post li ha descritti e distinti.

“Per capire che tipo di competizione possa esserci in un mercato così florido in termini di lettori e anche così stabile nei suoi temi, bisogna partire dal concetto di “palinsesto”. Per quanto possa sembrare anacronistico, la prima ragione di acquisto di un settimanale televisivo rimane ancora la consultazione del calendario della programmazione televisiva, scomparso dalla gran parte dei quotidiani nazionali, e da molti dei locali (Repubblica ne ha di recente deciso la prossima cancellazione: i programmi resteranno sul settimanale il Venerdì). Nel caso di TV Sorrisi e Canzoni, la testata più antica (1952) e illustre, questa parte occupa oltre metà del settimanale”.


domenica 28 Aprile 2024

Per tutta risposta

La vistosa frequenza con cui l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport viene citato e raffigurato sulle pagine dei due quotidiani è conosciuta da tempo presso i lettori, e l’abbiamo anche citata spesso su Charlie. Negli ultimi due anni l’abitudine ha peraltro contagiato anche il quotidiano concorrente, Repubblica, anche se l’editore John Elkann ha meno versatilità di Urbano Cairo, che compare sul Corriere a volte come proprietario della squadra di calcio del Torino, a volte come imprenditore, a volte come patrocinatore di eventi, a volte come commentatore di fatti di attualità. Questa settimana poi i due quotidiani milanesi lo hanno ospitato in una nuova veste (letteralmente), quella di padre della sposa, in articoli illustrati dedicati al matrimonio di Cristina Cairo, “primogenita di Urbano” (che compariva lo stesso giorno anche in un’altra pagina del Corriere, fotografato a un evento e citato nel sommario di un diverso articolo).

La novità ha fatto traboccare anche qualche perplessità all’interno della redazione del Corriere della Sera, e il Comitato di redazione ha comunicato mercoledì ai giornalisti di avere inoltrato queste perplessità al direttore Luciano Fontana, esprimendo il timore che il giornale riceva critiche definite “gratuite”.

“Care colleghe e cari colleghi,
anche in seguito alle segnalazioni di molti di voi abbiamo scritto al direttore chiedendogli di intervenire sulla sovraesposizione mediatica dell’editore Urbano Cairo sulle pagine del Corriere della Sera. Riteniamo che tale frequente presenza possa nuocere all’immagine del giornale ed esporlo a critiche gratuite.
Il Cdr”

Giovedì il Corriere della Sera ha pubblicato una nuova foto dell’editore.


domenica 28 Aprile 2024

Le voci che circolano

James Ball, giornalista e scrittore britannico, ha sintetizzato in un articolo sul settimanale britannico New European (di cui parlammo qui) un meccanismo tipico del giornalismo che si occupa di politica e che può valere anche fuori dal Regno Unito.

“La maledizione del giornalismo su Westminster è che se un giornalista vuole verificare una voce, finisce per diffonderla: l’atto in sé di chiedere a un assistente o a un parlamentare se abbia sentito niente a proposito della notizia X farà sì che quella persona di sicuro scriverà a qualche amico chiedendo informazioni sulla notizia X.
Lasciamo ripetere questo processo un po’ di volte e al giornalista tornerà la notizia X da qualcun altro, ignaro che la fonte indiretta sia lo stesso giornalista. E oplà, la notizia è verificata”.


domenica 28 Aprile 2024

Esce in Italia il libro di Ben Smith

I lettori di Charlie sono probabilmente quelli a cui è più superfluo spiegare chi è Ben Smith, il cui ruolo nel giornalismo statunitense è stato spesso citato in questa newsletter. Quindi sono i primi che capiranno il valore e l’interesse del suo libro, Traffic, di cui Altrecose (il nuovo brand editoriale del Post e Iperborea) ha acquistato i diritti e che ha tradotto in italiano. Traffic uscirà l’8 maggio, e Ben Smith sarà in Italia ospite del Salone del libro, per presentarlo il 10 maggio a Torino insieme a Francesco Costa, vicedirettore del Post (che è autore della prefazione al libro).
Traffic racconta le storie dei creatori dei più importanti progetti giornalistici digitali dell’inizio del millennio (Huffington PostGawkerBuzzFeed, tra gli altri) e di come hanno determinato le trasformazioni nell’informazione, nel rapporto con i social network, nell’economia dei clic e nella “viralità” che stiamo vivendo tuttora.


domenica 28 Aprile 2024

Si vede dal Mattino

Il nuovo direttore del maggiore e storico quotidiano di Napoli, il Mattinosarà Roberto Napoletano, e la scelta è stata piuttosto notevole per due ragioni: la prima è che all’inizio della sua lunga carriera Napoletano – che ha 62 anni – era stato a lungo al Mattino negli anni Ottanta; la seconda è che Napoletano era stato protagonista di un percorso che lo aveva portato a un ruolo di grande potere da direttore del quotidiano Sole 24 Ore, che aveva perso piuttosto rovinosamente in seguito a uno scontro con la redazione e con l’azienda legato soprattutto alle accuse di cattiva gestione delle vendite del giornale e di falsificazione dei dati relativi. Accuse con strascichi giudiziari in cui Napoletano era stato dapprima condannato e poi assolto in forma definitiva.
Nel frattempo Napoletano era diventato direttore del Quotidiano del Sud. Il Mattino è di proprietà del gruppo Caltagirone, che possiede anche il Messaggero di Roma e il Gazzettino di Venezia (ma anche Leggo, il Corriere Adriatico e il Nuovo Quotidiano di Puglia) e ha come business principale quello immobiliare e delle costruzioni.


domenica 28 Aprile 2024

NPR sempre nei guai

Negli Stati Uniti la rete radiofonica (e testata online) NPR continua a essere protagonista di critiche, attacchi, e agitazioni interne. Avevamo iniziato a raccontare due settimane fa di come un articolo di un giornalista di NPR, Uri Berliner, pubblicato su un altro sito avesse accusato la rete di avere perso la fiducia e l’attenzione di molta parte degli americani spostando molto a sinistra la composizione della sua redazione e dando priorità a scelte sui diritti e sulla diversità che – benché apprezzabili e benintenzionati, secondo lo stesso Berliner – hanno sbilanciato l’impostazione editoriale e allontanato parte del pubblico.
Dopo le proteste dall’interno della redazione, e una sospensione nei suoi confronti, Berliner si è dimesso. Ma nel frattempo la sua critica ha mobilitato attacchi e condivisioni: in parte strumentali e partigiani (tra cui quelli di Donald Trump), da parte dei nemici di destra di NPR, ma in parte argomentati. E alle obiezioni di Berliner si sono aggiunte quelle contro la nuova presidente di NPR, Katherine Maher, di cui sono state esibite posizioni passate apertamente partigiane e di sinistra, che secondo i suoi critici le impedirebbero di guidare in maniera equilibrata un’offerta di informazione stimata e di servizio pubblico come quella di NPR. A conferma delle tesi di Berliner, poi, i recenti risultati di pubblico ed economici sono molto deludenti: secondo un articolo del New York Times gli ascoltatori settimanali sarebbero passati da 60 milioni nel 2019 a 42 milioni nel 2023.


domenica 28 Aprile 2024

Google rinvia ancora, sui cookies

La dismissione da parte di Google dei “cookie di terze parti” nel suo browser Chrome è stata nuovamente rimandata. La questione agita il mondo della pubblicità digitale (e quindi anche dei media online) da qualche anno: ed è lo sviluppo più rilevante di una generale recente tendenza di alcune piattaforme a privilegiare la privacy dei loro utenti (soprattutto a privilegiarla dalle ingerenze altrui: meno da parte delle piattaforme stesse). Quindi Google, in estrema sintesi, aveva annunciato all’inizio del 2020 che sarebbe diventato più difficile per i siti visitati conoscere le storie di navigazione degli utenti e identificarli attraverso i cosiddetti “cookies”.
Ma il passaggio a questa nuova condizione sta determinando da allora panico e subbuglio nelle economie digitali, e nuove critiche contro Google rispetto alla sua posizione dominante nel mercato della pubblicità: e adesso Google ha deciso di prendere ancora tempo e non concludere l’operazione nel 2024, come previsto precedentemente.

“We recognize that there are ongoing challenges related to reconciling divergent feedback from the industry, regulators and developers, and will continue to engage closely with the entire ecosystem”.


domenica 28 Aprile 2024

Charlie, poteri all’altezza

Capita, anche per legittime ragioni commerciali, che nei giornali italiani venga a volte enfatizzato il valore reale di attacchi o minacce ricevute da altri “poteri” (i mezzi di informazione, si ricorderà, lo sono a loro volta: il quarto, per definizione): solitamente i pericoli veri per i giornalisti sono quelli che si raccontano meno, quelli che riguardano chi si occupa di mafie e criminalità, e gli allarmi “siamo attaccati” in prima pagina sono soprattutto un modo per consolidare l’appartenenza e il sostegno dei lettori, che assai raramente si traducono in conseguenze. Il quarto potere è quasi sempre prevalente sugli altri tre, con l’eccezione di quello giudiziario: con cui peraltro quello giornalistico riesce spesso a venire a patti, anche per questa ragione.

E gli interventi della “politica” (ovvero di persone che fanno politica, che sono persone) nei confronti dei giornali hanno il diritto di essere considerati legittimi come quelli di chiunque altro se, tautologicamente, avvengono secondo la legge e senza reali abusi di potere (malgrado quello che si racconta, è norma anche in altri paesi democratici e civili che i giornalisti siano destinatari di inchieste, processi e anche condanne). Ma la legittimità non li sottrae al giudizio né alle aspettative che dovremmo continuare ad avere nei confronti delle “persone che fanno politica”. E l’audizione del direttore di Domani Emiliano Fittipaldi da parte della commissione antimafia intorno a una vicenda piuttosto complicata e delicata – già mal raccontata da diversi giornali, ha spiegato lo stesso Fittipaldi – si è invece tradotta in diversi momenti in una disarmante aggressione di piccoli protagonismi dai toni teppisti, oltre che ignoranti del ruolo del giornalismo e del funzionamento dei giornali. E Fittipaldi è stato paziente ed efficace nel provare a spiegare ai parlamentari presenti, per esempio, che “anche quando voi parlate con i giornalisti siete delle fonti, che diffondono notizie per proprio interesse, e per ragioni di propaganda”. Il primato della politica e delle istituzioni bisogna pure meritarselo con un po’ di competenza, di obiettività e di spirito di servizio.

Fine di questo prologo.


domenica 21 Aprile 2024

Post Voices

Sabato 13 aprile si è tenuta a Torino la giornata sui podcast del Post, “Voices” con una grande partecipazione: un investimento sul coinvolgimento e sulla soddisfazione di abbonati, lettori e ascoltatori del Post stesso.


domenica 21 Aprile 2024

Presto e bene

Il Post ha compiuto quattordici anni venerdì e ha approfittato per spiegare a chi lo legge qual è il suo rapporto con l’informazione immediata e tempestiva.

“non abbiamo nessun orgoglio di lentezza, e non è vero che “non vogliamo arrivare primi”: vogliamo arrivare primi o tra i primi – e non di rado arriviamo tra i primi – perché riconosciamo che essere informati tempestivamente sulle cose abbia un’importanza. Ma se quelle cose non sono vere, la fiducia di chi legge si perde, e questo è già successo rispetto a molta parte dell’informazione giornalistica generale”.


domenica 21 Aprile 2024

Tutto torna al suo posto

Claudio Velardi, che partecipò alla fondazione e alla guida del Riformista alla sua nascita nel 2002, è tornato al giornale nella sua attuale versione (ci fu un lungo periodo di chiusura in mezzo) nel ruolo di direttore, dopo la precoce uscita di Alessandro Barbano che andrà a dirigere il Messaggero.


domenica 21 Aprile 2024

Precipitano le cose a NPR

Martedì il sito della rete radiofonica statunitense NPR ha scritto che la radio ha «formalmente punito Uri Berliner» con una «sospensione di cinque giorni senza stipendio» in conseguenza dell’articolo critico che Berliner aveva scritto contro la radio stessa. La sospensione era iniziata venerdì 12 aprile ma non era stata resa nota in precedenza: mercoledì Berliner ha dato le dimissioni, criticando la gestione dell’amministratrice delegata Katherine Maher. In questi giorni Maher è stata anche molto attaccata per delle opinioni assai critiche su Donald Trump che aveva espresso in passato.
Berliner aveva iniziato a lavorare per NPR nel 1999 e una decina di giorni fa aveva scritto su un altro sito «che il network ha “perso la fiducia dell’America” per aver affrontato le notizie con una mentalità rigidamente progressista». Secondo Berliner la ricerca di maggiore diversità nella redazione (ricerca che in questi anni ha coinvolto molti giornali statunitensi) avrebbe prodotto un’omologazione di idee, perlopiù distanti da quelle conservatrici e del partito Repubblicano (che allo stesso tempo si è spostato verso posizioni più estreme e reazionarie): ne avevamo scritto più approfonditamente nello scorso numero di Charlie.

NPR ha scritto che l’articolo di Berliner «ha fatto arrabbiare molti dei suoi colleghi, e ha indotto i leader di NPR ad annunciare revisioni interne mensili sulla copertura del network». La stessa NPR ha pubblicato una serie di articoli sugli sviluppi della storia, articoli di grande completezza e autonomia e scritti con trasparenza da un collega che lavorava con Berliner: l’ultimo si conclude con una «nota informativa: questa storia è stata riportata e scritta da David Folkenflik, corrispondente di NPR per i media, e redatta da Emily Kopp, vicedirettrice per il settore degli affari, e Gerry Holmes, direttore editoriale. In base al protocollo di NPR per l’informazione su se stessa, nessun funzionario aziendale o dirigente di NPR ha revisionato questa storia prima che fosse pubblicata».


domenica 21 Aprile 2024

«Il pagamento dovrà essere sempre anticipato»

Il Corriere della Sera ha pubblicato questa settimana, come da obblighi di legge, una pagina di tariffari pubblicitari per le inserzioni legate alla campagna elettorale delle Europee sulle testate del gruppo RCS. Il testo sostiene che non siano previsti sconti, pratica altrimenti assai consueta rispetto ai prezzi di listino nelle trattative sulla pubblicità. Il costo indicato di una pagina nell’edizione nazionale del quotidiano cartaceo è di 38mila euro.
La stessa cosa ha fatto Repubblica sabato, indicando un identico prezzo per una pagina nell’edizione nazionale e tra i 12 e i 27 euro per mille visualizzazioni sui siti di Repubblica HuffPost.


domenica 21 Aprile 2024

Brevi di cronaca US

Un po’ di notizie in breve sui media americani, che oggi la newsletter è molto lunga.
Il direttore e l’amministratore delegato del New York Post, popolare tabloid newyorkese, hanno comunicato in una accorata lettera ai dipendenti ricca di espressioni come “riallineare” che ci saranno dei licenziamenti nella redazione.
Il sito Refinery29, uno dei più noti e seguiti tra quelli nati in questo millennio per raggiungere soprattutto un pubblico di giovani donne, è stato acquistato da una società che si chiama Sundial, lasciando così il gruppo Vice Media e i suoi grossi guai degli ultimi anni.
L’editore Barry Diller ha scelto di investire su nuove prospettive e crescite di Daily Beast, una delle più antiche riviste online statunitensi, ormai con una storia assai varia e ricca ma in crisi commerciale da molto tempo e che l’anno scorso era stata messa in vendita. Diller ha affidato il giornale a due importanti dirigenti del mondo dei media americani, uno proveniente da ABC Disney e l’altra dal gruppo Hearst.


domenica 21 Aprile 2024

«Sono esausto»

Il corrispondente dell’agenzia Ansa Sami al Ajrami, del cui lavoro da Gaza per il quotidiano Repubblica avevamo scritto su Charlie un mese fa, ha annunciato ai suoi lettori in un articolo pubblicato giovedì di avere lasciato Gaza.


domenica 21 Aprile 2024

Nulla di fatto al New York Times

Ci sono aggiornamenti al New York Times su una faccenda di cui avevamo scritto: il sito The Intercept aveva raccontato che il New York Times non avrebbe pubblicato una puntata del suo podcast The Daily (ascoltatissimo e molto seguito) per dubbi sulla credibilità e accuratezza delle fonti, a proposito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre; il New York Times aveva risposto sostenendo che si fosse trattato di normali revisioni giornalistiche, ma aveva avviato delle indagini interne per capire chi avesse dato a The Intercept le informazioni relative. Questo nel contesto sia di una nuova linea imposta dalla direzione che cerca di evitare che le discussioni interne al giornale siano diffuse al di fuori della redazione, e sia di critiche e pressioni a proposito della copertura di quello che succede a Gaza e in Israele.

Diversi siti di news hanno riportato che lunedì il direttore del New York Times Joe Kahn ha scritto in un canale Slack (il programma di chat usato da molte aziende) del giornale che «non abbiamo raggiunto una conclusione definitiva su come si sia verificata questa significativa fuga di notizie. Abbiamo identificato delle lacune nel modo in cui viene gestito il nostro materiale giornalistico e abbiamo preso provvedimenti per risolvere questi problemi». La direttrice delle indagini interne del New York Times, Charlotte Behrendt, ha intervistato una ventina di persone nel corso di molte settimane. L’indagine è stata criticata dal sindacato dei giornalisti, che ha presentato un reclamo «per molestie e discriminazioni nei confronti» di un gruppo di collaboratori del New York Times di origine araba e mediorientale: i dirigenti del giornale hanno risposto che le accuse sarebbero infondate.


domenica 21 Aprile 2024

La guerra di GEDI

Questa settimana il Comitato di redazione di Repubblica ha protestato col direttore e con l’editore per un’iniziativa ritenuta da diversi giornalisti piuttosto discutibile sotto l’aspetto di etica giornalistica e di etica in generale. GEDI, la società editrice di Repubblica, ha infatti organizzato un incontro online sponsorizzato dalla società PwC Italia in cui il direttore Maurizio Molinari e un giornalista dello HuffPost (appartenente allo stesso gruppo editoriale) hanno intervistato il ministro della Difesa Guido Crosetto per parlare di investimenti in armi e difesa militare, insieme a Franco Gussalli Beretta della azienda di armi Beretta. L’incontro avrebbe dovuto essere trasmesso “sulla Homepage di la Repubblica, La Stampa, Huffpost e GNN” ma dopo le proteste del CdR la diffusione è stata cancellata e l‘articolo originale è stato emendato da alcuni passaggi più enfatici sull’importanza delle spese militari e dai nomi dei partecipanti.

Il sito Professione Reporter riporta che il CdR “ha fatto presente sia all’azienda che alla direzione il profondo disagio di fronte a un evento di questo tipo. Sia per un chiaro pericolo di commistione tra giornalismo e interessi commerciali (‘l’investimento nel comparto della difesa non solo rappresenta una priorità per la sicurezza, ma ha anche un impatto significativo sulla transizione green e digitale’, è scritto nella presentazione dell’incontro sul nostro sito: si tratta di giornalismo o pubblicità?), sia per ragioni legate all’identità del nostro giornale, cioè un quotidiano della sinistra legato ai valori della nostra Costituzione, una carta fondativa che ‘ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti’”.

“L’azienda – ci è stato detto – non era al corrente di questa iniziativa e ha convenuto con noi che si è trattato di un errore, di una leggerezza della concessionaria di pubblicità. Nel farlo, è stato posto il tema della necessità di un maggior controllo editoriale. Per tutte le ragioni sopra esposte chiediamo la rimozione del redazionale in questione, indistinguibile dai contenuti di natura pubblicitaria”.
L’articolo di promozione dell’incontro è rimasto online, con alcune rimozioni. Della polemica ha scritto anche il Fatto, giovedì (il Fatto aveva anche riferito domenica degli insoddisfacenti bilanci del 2023 di GEDI).


domenica 21 Aprile 2024

Di chi è Euronews

Un’ inchiesta collettiva condotta da tre giornali europei ha rivelato che il governo ungherese ha avuto un ruolo rilevante nell’acquisizione della rete televisiva europea Euronews Già nel 2021, quando il fondo di investimento portoghese Alpac Capital aveva acquistato la tv, esisteva il sospetto che Alpac Capital avesse estesi rapporti con l’Ungheria e con persone vicine al primo ministro Viktor Orbán, che negli ultimi anni ha assai indebolito il giornalismo indipendente in Ungheria, costruendo un’efficace macchina di propaganda.
L’inchiesta è stata realizzata dal quotidiano francese Le Monde, il giornale a maggiore diffusione in Francia, dal sito di giornalismo investigativo ungherese Direkt36 e dal settimanale portoghese Expresso: i tre giornali sono riusciti a ricostruire che una «somma significativa dell’operazione da 150 milioni di euro [con cui è stata acquistata Euronews] è stata finanziata dallo Stato ungherese e da soggetti legati al governo».

Euronews nacque nel 1993 da un consorzio di tv europee (tra cui la RAI), ispirandosi al successo dell’epoca della rete statunitense “all news” CNN : ma, dopo una serie di variazioni societarie negli anni successivi, la sua maggioranza era stata acquisita nel 2015 da un ricco imprenditore delle telecomunicazioni egiziano. Oggi si può guardare via satellite o dal suo sito web (o da YouTube) e dichiara circa 145 milioni di spettatori al mese trasmettendo in 17 lingue. Negli ultimi due anni, dal passaggio di proprietà, la sede è passata dalla città francese di Lione alla capitale belga Bruxelles, e sono stati licenziati circa 200 dipendenti su un totale di 478. Da quello che emerge dall’inchiesta circa 45 milioni di euro utili per l’acquisto di Euronews sono arrivati da un fondo ungherese, gestito da una società che in precedenza era controllata dal Ministero delle finanze, a cui si aggiungono «almeno 12,5 milioni di euro versati da una società di comunicazione appartenente a uno stretto collaboratore di Orbán». Altri documenti raccolti nell’indagine suggeriscono che l’acquisizione avesse tra gli obiettivi di «mitigarne l’ideologia di sinistra e la faziosità».

Altre fonti che hanno familiarità con il funzionamento di Euronews però hanno dichiarato a Direkt36 Le Monde di non aver finora visto ingerenze sui contenuti della tv. Una fonte ha spiegato che sarebbe difficile cambiare nettamente la linea editoriale, perché «sarebbe uno scandalo, il canale perderebbe credibilità, gli inserzionisti se ne andrebbero». In questo momento il 44% delle entrate economiche provengono da contratti con l’Unione Europea: sarebbe difficile che le sovvenzioni restassero inalterate se cambiasse drasticamente la linea editoriale o diventasse molto critica con la UE come lo è stato spesso il governo ungherese. La Commissione europea ha detto a Le Monde che un accordo pluriennale (che lo scorso anno valeva 12 milioni di euro) con la rete scadrà a luglio e non sarà prorogato; verrà indetta una nuova gara d’appalto pubblica a cui Euronews potrà partecipare. Tra i documenti ottenuti da Direkt36 alcuni sembrano indicare insoddisfazione per la gestione economica della rete tv e che Euronews starebbe andando «peggio del previsto a causa delle mutate condizioni del mercato (rallentamento economico dell’UE, aumento dell’inflazione, aumento dei tassi di interesse, aumento dei costi salariali, ecc)».


domenica 21 Aprile 2024

Ogni cosa è Angelucci

Secondo un articolo sul Fatto di venerdì la famiglia Angelucci starebbe parlando con Maurizio Belpietro della possibilità di acquistare il quotidiano La Verità, di cui Belpietro è direttore ed editore. Antonio Angelucci, imprenditore con una ricchezza ottenuta nella sanità privata e oggi deputato della Lega, è già editore degli altri maggiori quotidiani di destra GiornaleLibero Tempo, e sta discutendo l’acquisto dell’agenzia AGI con la società ENI che la possiede. L’articolo del Fatto – che fa riferimento solo a incontri tra Belpietro e gli Angelucci – dice che l’eventuale acquisto della Verità non riguarderebbe le testate periodiche che Belpietro ha negli scorsi anni acquisito da Mondadori ( PanoramaDonna Moderna e altre).


domenica 21 Aprile 2024

Abbonarsi o no

Il settore di ricerca e consulenza del Financial Times, “FT Strategies”, ha pubblicato un’analisi sulle abitudini di consumo e le preferenze di informazione italiane, “Navigating italian news”, creata interpellando lo scorso dicembre 2.043 persone con un interesse a essere informate. L’obiettivo principale dell’indagine era di capire la disponibilità dei lettori a spendere per dei contenuti giornalistici a pagamento: un dato generale è che questa disponibilità quasi sempre non prevede di pagare per più di un abbonamento. Altre informazioni sono nel documento che si può scaricare qui.


domenica 21 Aprile 2024

Perugia per tutti

Oggi si conclude a Perugia il Festival del Giornalismo, il più importante convegno pubblico sul tema in Italia, e tra i più importanti e seguiti nel mondo: che ha da sempre un’attenzione alle novità e agli sviluppi contemporanei nel giornalismo assai rara rispetto al dibattito italiano. E infatti la più ricca quota di ospiti è composta da giornalisti, esperti e commentatori internazionali o provenienti da esperienze giornalistiche non tradizionali.
(questo ha generato negli ultimi anni qualche risentimento in alcune testate italiane che si sono sentite trascurate: giovedì il Fatto si era lamentato di non essere stato “invitato”, malgrado il festival non inviti specifiche testate e offra a chiunque di partecipare, incentivando proposte per incontri e speech)


domenica 21 Aprile 2024

Another one bites the dust

Chiuderà Post.news, di cui avevamo parlato al momento della sua creazione, un anno e mezzo fa: una via di mezzo tra un social network e una piattaforma per la distribuzione di contenuti giornalistici basata su micropagamenti per singoli articoli. Progetto su cui ciclicamente tornano delle curiosità che ciclicamente falliscono, quello dei micropagamenti.

“Per ora commenti sono soprattutto scettici : il sistema dei micropagamenti non conviene agli editori rispetto agli abbonamenti, per ragioni intuitive. Gli abbonamenti garantiscono entrate maggiori, garantite a lungo e con continuità, ed è persino dimostrato che molti abbonati ai siti di news continuano a pagare anche a fronte di attività scarse o nulle sui siti in questione. Per essere attraenti per gli editori i micropagamenti non dovrebbero essere troppo micro (pena il rischio Spotify: dove solo quote enormi di streaming offrono compensi validi ai musicisti), ma allora diventerebbero meno interessanti per i lettori che li chiedono, e che tendono a immaginare cifre intorno alle poche decine di centesimi per un articolo”.


domenica 21 Aprile 2024

Il candidato faccia delle ipotesi

Si è tenuta martedì la “139° sessione di esami” per l’ammissione all’ordine dei giornalisti italiano: ovvero la prova scritta, a cui seguirà quella orale per i candidati che saranno ammessi (nella precedente sessione, a ottobre, erano stati 201 su 235: e 195 i promossi dopo gli orali di gennaio). Ai candidati sono state proposte 15 “tracce”, scelte e scritte dalla commissione esaminatrice, su cui scrivere un articolo.

(sulla Stampa Mattia Feltri ha commentato giovedì la scrittura delle tracce da parte dei giornalisti commissari d’esame)