La produzione industriale italiana è ai minimi dalla pandemia

I dati ISTAT indicano un calo per il diciottesimo mese consecutivo, soprattutto per le auto e l'abbigliamento

(Leonhard Simon/Getty Images)
(Leonhard Simon/Getty Images)
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Martedì l’ISTAT, l’istituto italiano di statistica, ha pubblicato i dati mensili di luglio sulla produzione industriale italiana, che indica il livello di attività dell’industria nazionale: continua ad andare molto male, e per il diciottesimo mese consecutivo è risultata in calo rispetto ai livelli dell’anno precedente. È diminuita del 3,3 per cento rispetto a luglio del 2023, e dello 0,9 per cento rispetto al mese precedente, cioè giugno del 2024.

La produzione industriale è un dato su cui c’è sempre molta attenzione, perché dall’andamento dell’industria dipende ogni anno circa un quinto di tutto il Prodotto Interno Lordo italiano: dallo scorso anno risente di un importante calo generalizzato dei consumi e delle esportazioni, particolarmente accentuato per l’abbigliamento e il settore delle auto; un’altra ragione sono i prezzi dell’energia più alti che in passato, che rendono assai costose le produzioni delle industrie più energivore. I cali non riguardano solo l’industria italiana: ci sono segnali di una crisi ancora più seria anche nel resto dei paesi europei, soprattutto in Germania.

A luglio l’indice della produzione industriale italiana è stato pari a 94,5: ha come base di riferimento il livello medio del 2021, fissato a 100. Significa che la produzione industriale è attualmente del 5,5 per cento più bassa rispetto ad allora, quando era ancora in vigore parte delle restrizioni della pandemia da coronavirus. Oggi non ci sono più, eppure nelle industrie italiane si produce comunque meno rispetto ad allora.

Per capire meglio le prospettive del settore a questo dato solitamente si affianca anche un altro indice, il cosiddetto indice PMI: non è un dato quantitativo e si basa sulle indagini che le aziende che lo elaborano fanno presso le industrie, intervistando i responsabili degli acquisti di materie prime e semilavorati necessari per la produzione. Queste persone hanno un’idea piuttosto attendibile delle prospettive di produzione delle imprese perché devono ordinare tutto quanto è necessario ai processi: se il fabbisogno di materiali aumenta, vuol dire che le prospettive di produzione sono buone; se avviene il contrario, vuol dire che le stime per la produzione futura sono in calo, così come anche le prospettive per l’economia.

Queste indagini vengono poi condensate nell’indice PMI, che tra gli analisti è usato per capire un po’ che aria tira tra le industrie e come sono le condizioni di mercato. Per convenzione, se è sopra 50 l’economia si prevede in espansione; se è sotto tale soglia, le prospettive sono di recessione.

Per il settore manifatturiero l’indice è sotto la soglia dei 50 punti da tempo, tranne una crescita improvvisa dello scorso marzo a 53 punti: ad agosto è stato pari a 49,4, in costante aumento da maggio. Significa che le prospettive sono in miglioramento, sebbene la situazione resti ancora negativa. L’indice italiano è poi superiore alla media dei paesi dell’eurozona, dove ad agosto è stato di 45,8, stazionario rispetto al mese precedente.

Le cose vanno molto peggio in Germania, dove l’indice è stato costantemente sotto la media negli ultimi mesi, e solo recentemente è tornato ad aumentare: ad agosto è stato pari a 45,4 punti. L’economia tedesca è in crisi da tempo, soprattutto a causa di una forte crisi dell’industria, ancora più grave rispetto a quella italiana: ha risentito molto di più dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’abbandono forzato del gas a buon mercato proveniente dalla Russia, da cui la Germania era assai dipendente. A peggiorare le cose rientrano anche tutti i problemi dei commerci internazionali, dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ai rallentamenti nelle navi nel mar Rosso, che stanno penalizzando un’economia molto orientata alle esportazioni come quella tedesca.

I problemi della Germania, che un anno fa hanno portato il settimanale The Economist a definirla «il malato d’Europa», si riflettono a cascata sulle economie del resto dell’Unione Europea, e in particolare su quella italiana, particolarmente integrata con la Germania a livello industriale.

Tornando all’Italia, non tutti i settori industriali stanno però calando della stessa misura: risultano particolarmente penalizzati il settore dell’abbigliamento e quello delle auto, la cui produzione rispetto a un anno fa è calata rispettivamente del 18 e del 35 per cento.

L’abbigliamento sta risentendo di una crisi generalizzata dei consumi, che però è particolarmente accentuata nel comparto del lusso, il quale dà lavoro a moltissime industrie italiane: dalla piccola pelletteria alle calzature, dalla produzione delle singole componenti, come bottoni e cerniere, all’assemblaggio dei capi finiti. L’interesse dei consumatori verso gli articoli di alta e altissima gamma sta calando, per due motivi principali: da un lato c’è l’andamento incerto dell’economia globale e dei mercati più importanti per il settore, come quello cinese; dall’altro è in corso un ampio cambiamento culturale che sta influenzando negativamente le scelte di consumo verso quei prodotti ritenuti eccessivamente cari.

Il settore delle auto sta attraversando un periodo ancora più difficile. Gli ordini di auto nuove sono in calo in tutta l’Unione Europea e l’Italia risulta molto penalizzata per due motivi. Da un lato risente della forte crisi tedesca: gran parte del successo dell’industria italiana dell’auto deriva dal mercato della componentistica, tra i migliori d’Europa e che riforniva soprattutto l’industria tedesca dell’auto; il comparto tedesco ora è molto in crisi, col risultato che gli ordini verso l’Italia sono assai calati.

Dall’altro lato il settore è penalizzato anche dalle scelte industriali di Stellantis, il gruppo automobilistico nato nel 2021 dalla fusione tra l’azienda francese PSA (ex Peugeot-Citröen) e quella italo statunitense FCA (a sua volta nata dalla fusione tra Fiat e Chrysler): è criticata da tempo dal governo per la progressiva riduzione delle auto prodotte negli stabilimenti italiani nonostante gli aiuti pubblici di cui continua a beneficiare, sotto forma di incentivi al settore delle auto e di cassa integrazione per i dipendenti. All’inizio dell’anno Stellantis si era impegnata ad aumentare la produzione negli stabilimenti italiani, con l’obiettivo di arrivare a un milione di veicoli all’anno: al momento è abbastanza irrealistico che ci riesca. Nel 2023 aveva prodotto in Italia 752mila veicoli, di cui 521mila auto, e secondo le stime preliminari nel 2024 la produzione calerà almeno del 30 per cento.

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