In Europa Giorgia Meloni ha scelto di isolarsi

I voti di Fratelli d’Italia contro la riconferma di Ursula von der Leyen sono stati irrilevanti, e hanno anzi favorito i Verdi a scapito di ECR

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen alla riunione del G7 in Puglia, a giugno (Michael Kappeler/dpa)
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen alla riunione del G7 in Puglia, a giugno (Michael Kappeler/dpa)

Giovedì gli europarlamentari di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, hanno votato contro la conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea. È una questione di cui si discuteva da tempo, anche a causa dell’avvicinamento che c’era stato negli ultimi mesi tra von der Leyen e Meloni e del tentativo della stessa Meloni di presentarsi come una leader affidabile e moderata, con lo scopo di ottenere incarichi rilevanti nell’Unione Europea per i propri colleghi di partito.

Non ci è riuscita, perché votando contro von der Leyen Fratelli d’Italia si è simbolicamente messo dalla parte dei partiti e dei leader più euroscettici che non vengono presi mai in considerazione nei principali negoziati al Parlamento e nelle altre istituzioni. Ne beneficeranno soprattutto i Verdi (europei), i cui voti a favore di von der Leyen sono invece risultati con tutta probabilità determinanti per la sua riconferma.

Fratelli d’Italia aveva ottenuto un ottimo risultato alle elezioni europee dello scorso 9 giugno, come ci si aspettava: era stato il primo partito in Italia con circa il 29 per cento dei voti ed era riuscito a far eleggere 24 europarlamentari, il quadruplo dei sei eletti cinque anni prima. Meloni era anche stata l’unica leader dei principali paesi europei a uscire rafforzata dal voto: in Germania i Socialisti del cancelliere Olaf Scholz avevano ottenuto un risultato estremamente deludente, e in Francia il presidente Emmanuel Macron era andato così male da decidere di sciogliere il parlamento e convocare nuove elezioni legislative. Oltre che a livello internazionale, Meloni aveva rafforzato la sua posizione anche all’interno della coalizione di governo, risultando di gran lunga il partito più votato.

Forte di questo posizionamento, e in generale del buon risultato ottenuto dai partiti di destra ed estrema destra alle elezioni, dopo il voto Meloni aveva partecipato alle negoziazioni tra i leader degli stati membri sperando di riuscire a ottenere una posizione prestigiosa per un esponente del suo gruppo, i Conservatori e Riformisti Europei (ECR, di cui Fratelli d’Italia è il principale partito). Sembrava insomma che Fratelli d’Italia dovesse essere molto influente nelle negoziazioni, ma non è stato così.

Giorgia Meloni con il primo ministro ungherese Viktor Orbán a Bruxelles (AP Photo/Geert Vanden Wijngaert)

Le trattative si sono subito rivelate molto complicate per Meloni: il problema principale è che ECR è un gruppo di estrema destra, anche se nell’ultimo periodo ha condiviso alcune posizioni più vicine a quelle dei partiti conservatori tradizionali, per esempio il sostegno all’Ucraina sull’invasione russa. Il gruppo fa parte della stessa area politica di altre formazioni molto controverse, tra cui i nuovi gruppi Patrioti per l’Europa (in cui ci sono tra gli altri la Lega e il Rassemblement National) e Europe of Sovereign Nations (ESN), guidato dal partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland. I partiti tradizionali e di maggioranza, ossia il Partito Popolare Europeo (PPE, di centrodestra), i Socialisti e Democratici (S&D, centrosinistra) e i liberali di Renew Europe si sono sempre detti fermamente contrari a qualsiasi accordo o collaborazione con i gruppi di estrema destra, compreso ECR.

Von der Leyen sembrava però pensarla diversamente: già durante la “campagna elettorale” per il ruolo di presidente della Commissione aveva aperto alla possibilità di collaborare con ECR, in modo da cercare di garantirsi anche i loro voti. Durante le negoziazioni per decidere le nomine Meloni aveva inoltre provato a presentarsi come una partner moderata e un punto di congiunzione tra il mondo conservatore e l’estrema destra, ma senza riuscirci: ECR è stato sostanzialmente escluso dalle discussioni, e alla fine Meloni non era riuscita a ottenere nessuna posizione di rilievo. Capendo che le sue possibilità di contare qualcosa stavano sfumando, al Consiglio Europeo (l’organo che riunisce i capi di stato e di governo dei 27 paesi membri) Meloni si era astenuta sulla nomina di von der Leyen alla presidenza della Commissione.

Nonostante la netta opposizione dei partiti della maggioranza europea, e l’astensione sulla sua riconferma, nelle ultime settimane von der Leyen ha continuato a parlare con Meloni per cercare di assicurarsi i voti di ECR e mettersi così al riparo da europarlamentari che avrebbero potuto votare contro di lei pur appartenendo a partiti che avevano detto di essere disposti a sostenerla (i “franchi tiratori”, che ci sono quasi sempre quando una votazione è segreta). Intanto guardava anche a sinistra, e soprattutto ai Verdi, che nel 2019 non l’avevano votata ma che ora avevano fatto capire di essere pronti a cambiare idea ad alcune condizioni, per esempio il rispetto degli obiettivi stabiliti dal Green Deal.

Man mano che il sostegno dei Verdi diventava più certo, quello di ECR diventava meno importante. Von der Leyen ha quindi preferito concentrarsi sui primi, e alla fine i voti dei Verdi sono stati determinanti per la sua rielezione, mentre quelli contrari di Fratelli d’Italia non hanno avuto alcun impatto: i Verdi hanno di fatto preso il posto che avrebbe potuto occupare ECR.

Dopo la votazione Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, due dei principali esponenti di ECR e di Fratelli d’Italia in Europa, hanno detto che proprio il voto favorevole dei Verdi è stato uno dei principali motivi che hanno convinto il gruppo a opporsi. «Difficilmente potevate pensare che Fratelli d’Italia si sommasse a una maggioranza che comprende i Socialisti e i Verdi», ha detto Fidanza.

Giovedì Fratelli d’Italia avrebbe potuto comunque votare a favore di von der Leyen al Parlamento Europeo, in modo da rafforzare il profilo moderato e pragmatico che aveva cercato di costruirsi durante le negoziazioni, ma ha invece deciso di rimanere all’opposizione. In un breve video pubblicato su X, Meloni ha detto che Fratelli d’Italia è rimasto «coerente» con le sue scelte, aggiungendo che la decisione non comprometterà «in alcun modo il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia» nella Commissione e nelle istituzioni nel corso della legislatura.

Il voto contrario di Fratelli d’Italia sta creando qualche divisione anche all’interno della maggioranza di governo in Italia: è possibile infatti che Meloni abbia deciso di non sostenere von der Leyen anche per non lasciare al leader della Lega, Matteo Salvini, la possibilità di presentarsi come l’unico a non averla votata, e quindi beneficiare del sostegno di un elettorato più antieuropeista. In generale stare all’opposizione è solitamente più proficuo per non perdere consensi: Meloni potrà così contestare più facilmente eventuali scelte impopolari che verranno fatte nelle istituzioni europee. Forza Italia ha invece votato a favore.

ECR è comunque riuscito a far eleggere due tra i 14 vicepresidenti del Parlamento Europeo, Antonella Sberna di Fratelli d’Italia e Roberts Zile di Alleanza Nazionale, un partito lettone di estrema destra: sebbene non sia un ruolo particolarmente influente, indica comunque che i partiti tradizionali e di maggioranza non hanno chiuso del tutto la porta a ECR, ma sono comunque disposti a dialogare con il gruppo su alcuni provvedimenti specifici. Meloni sta intanto continuando a negoziare per ottenere un posto rilevante tra i commissari europei, che hanno compiti paragonabili a quelli dei ministri. Secondo diversi giornali vorrebbe far nominare il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto come commissario al Bilancio, ma non è certo che ci riuscirà.

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