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  • Venerdì 12 luglio 2024

L’indagine interna sul «fallimento» dell’esercito israeliano nell’attacco di Hamas del 7 ottobre

Ha confermato l'incapacità di proteggere i residenti del kibbutz di Be’eri, dove furono uccisi circa cento civili israeliani: secondo il ministro della Difesa bisogna chiarire anche le responsabilità di Benjamin Netanyahu

Soldati dell'IDF sui carri armati nel kibbutz di Be'eri, Israele, ​​17 ottobre 2023 (Alexi J. Rosenfeld/Getty Images)
Soldati dell'IDF sui carri armati nel kibbutz di Be'eri, Israele, ​​17 ottobre 2023 (Alexi J. Rosenfeld/Getty Images)
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Giovedì l’esercito israeliano ha diffuso i risultati di un’indagine interna sulle proprie carenze durante l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, quando i miliziani del gruppo superarono con facilità le difese israeliane e dalla Striscia di Gaza entrarono nel paese, uccidendo quasi 1.200 persone. L’attacco ha dato inizio a una violenta guerra nella Striscia, nella quale finora sono morte decine di migliaia di civili palestinesi.

Dopo la diffusione del rapporto, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha chiesto che venga istituita una commissione d’inchiesta indipendente che indaghi anche sugli errori commessi dal governo e dalle autorità: «Dovrà esaminare me, [ossia] il ministro della Difesa, e il primo ministro», ha detto, riferendosi quindi direttamente a Benjamin Netanyahu, con cui da tempo i rapporti sono molto tesi. Da mesi le forze d’opposizione della Knesset, il parlamento israeliano, chiedono la costituzione di un organismo d’inchiesta di questo tipo: finora le loro richieste sono però state ostacolate da Netanyahu, secondo cui un’indagine sulle eventuali responsabilità del governo non può aver luogo mentre la guerra è in corso.

L’indagine interna ha esaminato gli errori commessi dall’esercito nella difesa del kibbutz di Be’eri, che si trova a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza ed è abitato da circa un migliaio di persone. Be’eri fu una delle prime località a essere raggiunte dai miliziani di Hamas, che lì uccisero più di 100 civili israeliani e ne presero almeno trenta in ostaggio. Nel report l’esercito israeliano ha ammesso di aver «fallito» nella sua missione di proteggere i residenti di Be’eri, e di essersi mostrato impreparato all’infiltrazione dei miliziani di Hamas.

Nel rapporto si legge anche che, durante le prime sette ore dell’attacco, i residenti del kibbutz hanno dovuto sostanzialmente difendersi da soli, e che la «mancanza di comando e controllo, coordinamento e ordine tra le diverse forze e unità» è stata una delle ragioni della riuscita del massacro.

Una parte dell’indagine si è soffermata sulla condotta di Barak Hiram, il generale dell’esercito che il 7 ottobre ordinò di aprire il fuoco con un carro armato contro un’abitazione di Be’eri in cui un gruppo di miliziani di Hamas teneva in ostaggio almeno 13 civili israeliani. Nei giorni successivi all’attacco la decisione era stata fortemente criticata da una parte dell’opinione pubblica israeliana, che reputò la condotta di Hiram irresponsabile.

Gli autori dell’indagine hanno scritto che, in quel caso, Hiram agì in maniera «professionale» e in una circostanza «complessa e difficile», e che in base alle loro valutazioni nessuno dei civili israeliani che si trovavano all’interno della casa fu ucciso dai colpi del carro armato. Hiram avrebbe ordinato di sparare solo dopo aver sentito «degli spari provenire dalla casa», e dopo che i miliziani di Hamas avevano annunciato di «volere uccidere sé stessi e gli ostaggi». L’indagine ha stabilito che probabilmente le persone tenute in ostaggio nella casa furono uccise dai miliziani di Hamas e non per via dell’ordine di Hiram, anche se non è chiaro come i redattori siano arrivati ​​a questa conclusione.

Prima del 7 ottobre Hiram avrebbe dovuto assumere il controllo della divisione di Gaza, un corpo speciale dell’esercito che opera nella Striscia di Gaza e nelle aree circostanti. La sua nomina era però stata posticipata in attesa dei risultati dell’inchiesta: dovrebbe assumere il comando della divisione entro la fine della settimana.

Anche se l’indagine è stata diffusa soltanto mercoledì, già nei giorni successivi all’attacco alcune inchieste avevano dimostrato che l’intervento dei soldati israeliani dopo l’attacco di Hamas fu tardivo e inadeguato. Molte delle oltre 20 comunità israeliane attaccate da Hamas a partire dalle prime ore del mattino furono costrette ad aspettare più di sette ore – e in alcuni casi fino a venti – per un intervento dell’esercito o di una qualche forza di sicurezza.

La principale ragione del ritardo fu la scarsa presenza di soldati nel territorio israeliano vicino alla Striscia di Gaza: la gran parte dell’esercito era stata spostata da tempo in Cisgiordania a protezione degli insediamenti dei coloni per volontà politica del primo ministro Netanyahu. I militari dovettero quindi spostarsi da postazioni lontane, e in alcuni casi i tempi furono ulteriormente allungati per problemi di comunicazione. Quando arrivarono nelle comunità attaccate, la situazione si era già complicata perché i miliziani avevano fatto in tempo a organizzarsi e soprattutto a prendere molte persone in ostaggio.

L’impreparazione dell’esercito e dell’intelligence israeliani fu considerata piuttosto sorprendente: il sistema di intelligence del paese era considerato tra i migliori del Medio Oriente, e in passato il governo israeliano era stato in grado di sorvegliare con una certa efficacia i movimenti di Hamas e delle altre forze che ne minacciavano la sicurezza, avviando operazioni preventive mirate e cruente. Nel caso degli attacchi del 7 ottobre, invece, non riuscì a intercettare alcuna informazione sulla consistente preparazione necessaria per l’attacco.