Il disco con i canti delle balene che fece gli interessi delle balene

Nel 1970, quando i suoni naturali non erano ancora un genere, un biologo statunitense raccolse le registrazioni dei canti delle megattere e li fece conoscere al mondo

Una megattera emerge dall'acqua
Una megattera al largo della costa di Niteroi a Rio de Janeiro, in Brasile, il 20 giugno 2024 (AP Photo/Silvia Izquierdo)

I canti delle balene, una delle più complesse forme di comunicazione e socializzazione nel regno animale, sono un argomento noto da molto tempo prima di diventare una delle scene più ricordate e citate di Alla ricerca di Nemo, il film della Pixar vincitore del premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2004. E lo sono anche da prima di essere l’argomento, insieme ad altri suoni e al ruolo che hanno nelle società umane e animali, del podcast del Post “Sonar”, realizzato da Nicolò Porcelluzzi e disponibile dal 9 luglio.

Se i canti dei cetacei in generale sono non soltanto conosciuti e studiati da decenni ma anche parte della cultura popolare, è perché in quella cultura ci entrarono dopo che un biologo statunitense, Roger Payne, alla fine degli anni Sessanta, ebbe l’idea di fare un disco utilizzando soltanto quei canti, che ebbe un impatto enorme nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di fermare la caccia alle balene.

Songs of the Humpback Whale uscì nell’agosto del 1970, in un momento storico influenzato dalla “controcultura” giovanile del decennio precedente e da un certo fascino per gli psichedelici, le nuove esperienze e i suoni sconosciuti. Ma quelli naturali non erano ancora un genere musicale definito come lo sarebbero stati in seguito, e questo contribuì probabilmente a rendere il disco di Payne un’idea ancora più bizzarra e suggestiva. Vendette oltre 125mila copie, diventando il disco di suoni naturali di maggior successo di sempre, e diffuse nel pubblico una profonda consapevolezza della varietà e complessità dei modi in cui comunicano gli animali più grandi al mondo.

I canti dei cetacei erano suoni noti ma di origine sconosciuta fin dall’inizio degli anni Cinquanta, dopo che nel 1952 una nave della marina statunitense ne aveva registrati alcuni al largo delle isole Hawaii tramite un idrofono, un particolare tipo di microfono utilizzato per raccogliere suoni e rumori che si propagano da sorgenti subacquee. Prima ancora che fossero registrati e attribuiti alle balene e ad altri cetacei quei particolari suoni prolungati erano stati descritti anche da naviganti che, nei momenti di silenzio, li avevano sentiti a bordo delle loro barche a vela o a remi, il cui scafo di legno fungeva da cassa di risonanza mentre le balene ci passavano sotto o vicino.

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Payne aveva trascorso i primi anni della sua carriera professionale studiando falene, gufi e pipistrelli, e in particolare l’ecolocalizzazione, la capacità dei pipistrelli e di altre specie animali di percepire i riflessi delle onde sonore che emettono e che rimbalzano sull’ambiente circostante. Ne sono dotati anche gli odontoceti, il sottordine di cetacei di cui fanno parte delfini, capodogli e orche.

Interessato ad approfondire la ricerca sulle megattere, Payne e un suo collega ricercatore, Scott McVay, si erano messi in contatto con un ingegnere della marina statunitense, Frank Watlington. Nel 1967, mentre monitorava il traffico di sottomarini nell’oceano Atlantico, Watlington aveva registrato al largo dell’arcipelago delle Bermuda alcuni strani suoni, che seguivano schemi regolari e duravano fino a trenta minuti. Passò a Payne e McVay una copia delle registrazioni di quei suoni, che lui aveva già correttamente attribuito ai cetacei, e un biglietto con un messaggio: «Salvate le balene».

«Quello che ascoltai mi lasciò a bocca aperta», disse in seguito Payne. I suoni erano talmente vari da somigliare in alcuni casi a lamenti funebri eseguiti con uno shofar (il corno utilizzato durante alcune funzioni religiose ebraiche), in altri agli strilli acuti di un maialino. Li trovò ipnotizzanti e li ascoltò centinaia di volte, scrisse il New Yorker nel 2022, e alla fine si rese conto che ciò che stava ascoltando aveva una struttura.

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Utilizzando uno spettrografo acustico, un particolare dispositivo che converte le onde sonore in spettrogrammi, Payne convertì i suoni prodotti dalle megattere in annotazioni che confermarono le sue impressioni iniziali. I canti seguivano sempre un ordine: “A, B, C, D, E”, e mai “A, B, D, C, E”, secondo la notazione di Payne. Dopo aver ascoltato centinaia di ore di registrazioni lui e McVay attribuirono i suoni raccolti da Watlington a individui maschi di megattera durante la stagione degli accoppiamenti.

In un articolo pubblicato sulla rivista Science nel 1971, un anno dopo l’uscita del disco, scrissero che le megattere producono suoni vari, vivaci e ininterrotti, che possono durare fino a 30 minuti e sono strutturati secondo lunghe sequenze fisse che si ripetono con notevole precisione ogni pochi minuti. Li definirono «canti», come per gli uccelli, proprio perché «una delle caratteristiche dei canti degli uccelli è che sono schemi fissi di suoni che si ripetono». Ma mentre quelli degli uccelli durano pochi secondi, i canti delle megattere durano minuti e sono ripetuti senza pause o interruzioni significative nel ritmo del canto. Quelli da loro studiati erano prodotti contemporaneamente da più maschi, e ogni canto subiva lievi variazioni di stagione in stagione: alcune parti venivano eliminate, altre aggiunte.

L’idea di produrre un disco utilizzando i canti era venuta a Payne e a sua moglie Katy Boynton Payne, biologa anche lei, mentre lavorava con McVay all’articolo. Rispetto a una pubblicazione scientifica lo considerava un modo per attirare un più esteso interesse pubblico verso la protezione delle megattere e degli altri cetacei dalla caccia per fini commerciali e dal rischio di estinzione. Alla fine della produzione, in cui Payne mise insieme canti registrati in diverse occasioni, il disco durava poco più di mezz’ora: la prima traccia, “Solo Whale”, è una registrazione originale di Watlington.

Songs of the Humpback Whale rimase per diverse settimane nella Billboard 200, la più importante classifica musicale statunitense. Fu un successo imprevisto e abbastanza impressionante, come scrisse un cronista citato dal New Yorker, per un disco fatto «senza musicisti, senza testi, senza ritmi ballabili e in realtà senza nemmeno cantanti (le megattere non possiedono corde vocali; emettono suoni spingendo fuori l’aria attraverso le cavità nasali)».

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Nel libro del 2022 I suoni segreti della natura, la scrittrice e ricercatrice canadese Karen Bakker definì l’uscita del disco prodotto da Payne nel 1970 «un evento storico, che ha cambiato il modo in cui gli esseri umani percepiscono il mondo animale». Il dibattito che ne seguì stimolò il sostegno pubblico per la messa al bando della caccia alle balene, influenzando una prima proposta di moratoria fatta durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano a Stoccolma nel 1972.

Il disco ebbe una grande influenza nella lunga campagna di sensibilizzazione che portò a una successiva moratoria, approvata soltanto il 23 luglio 1982 dalla International Whaling Commission (IWC, “Commissione internazionale per la caccia alle balene”) dopo che la caccia ai cetacei ne aveva estinto quasi l’intera popolazione. Per secoli la caccia aveva fornito materie prime fondamentali per molte società nelle zone costiere, e per altre l’olio di balena estratto dal grasso era stata fonte di combustibile per le lampade, prima che si diffondesse l’uso del petrolio e dei suoi derivati.

Nel 1982 l’IWC approvò una risoluzione in cui dichiarava che entro il 1986 la quota di balene da uccidere ogni anno sarebbe stata pari a zero per tutti i paesi per dieci anni. Alcuni paesi riuscirono a trovare delle scappatoie, e altri come l’Islanda uscirono dall’IWC per continuare a praticare la caccia ai cetacei. Le uccisioni di balene furono in larghissima parte fermate, e da allora molte specie che erano vicine all’estinzione si sono riprese. A praticare la caccia alle balene, nonostante le grandi critiche a livello internazionale, sono rimaste la Norvegia, il Giappone e l’Islanda, che però negli ultimi anni l’ha molto ridotta e da tempo valuta di abbandonarla del tutto.

Nel corso degli anni il disco ispirò diversi musicisti e varie altre iniziative. Judy Collins utilizzò alcuni canti delle megattere nel suo disco del 1970 Whales & Nightingales, e Pete Seeger scrisse nello stesso anno la canzone “Song of the World’s Last Whale”. Il compositore statunitense Alan Hovhaness combinò canti e musica orchestrale per scrivere la sonata “And God Created Great Whales”, mentre il contrabbassista Charlie Haden imitò i canti dei cetacei utilizzando l’archetto in “Song for the Whales”, pezzo contenuto nel disco Old and New Dreams (1979) dell’omonima band di free jazz. Alcune parti dei canti delle megattere, infine, sono in questo momento oltre i confini del Sistema Solare, incise nel Golden Record, il disco per grammofono contenente suoni e immagini della Terra, inviato dalla NASA nel 1977 a bordo delle sonde Voyager 1 e 2.

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All’epoca in cui il disco uscì «sembrava qualcosa di esotico e distante, di incomprensibile, come se la natura volesse dirci qualcosa attraverso i suoni strani e complessi che emettevano le balene», scrisse sul quotidiano El País il giornalista e scrittore Guillermo Altares. Descrivendo i canti delle megattere come «gemiti lacrimosi», «brontolii profondi» e «graffiature ritmiche», la rivista musicale The Wire scrisse nel 2014 che Songs of the Humpback Whale «racchiude l’intera gamma di emozioni nella canzone più lunga mai eseguita da qualsiasi animale». Scrisse che «le persone sono spesso commosse fino alle lacrime alla prima esposizione a tale intensità», e che alcune «non riescono a credere che possa mai provenire da un luogo silenzioso come il mare».

Payne, morto nel 2023 a 88 anni per un cancro, disse al Guardian nel 2020 che ascoltava ancora spesso il disco, e che l’ascolto lo «colpiva profondamente» ogni volta. «Quale sentimento suggeriscono le balene alla tua mente? A me umiltà. Gli uragani giganteschi generano umiltà, e lo stesso fanno i tornado, ma niente che io abbia mai incontrato ci riesce meglio di una balena. E l’esperienza dell’umiltà è qualcosa di cui abbiamo molto più bisogno», disse Payne.

La rivista Time pubblicò un ultimo articolo di Payne, cinque giorni prima della sua morte, in cui scrisse:

Mentre il mio tempo sta per scadere, sono percorso dalla speranza che gli esseri umani in tutto il mondo siano abbastanza intelligenti e abbastanza adattabili da mettere la salvezza di altre specie al suo posto: in cima alla lista dei nostri compiti più importanti. Credo che la scienza possa aiutarci a sopravvivere alla nostra follia. Cinquant’anni fa le persone si innamorarono del canto delle megattere e si unirono per favorire un movimento di conservazione globale. È tempo per noi di ascoltare ancora una volta le balene e, questa volta, di farlo con ogni briciolo di empatia e ingegnosità che riusciamo a raccogliere in modo da poterle comprendere.

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