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  • Lunedì 24 giugno 2024

Che posto è il Daghestan

Una piccola repubblica con la più grande varietà etnica e linguistica di tutta la Federazione russa, molta povertà e un radicato movimento islamista

Un frame del video diffuso sul canale Telegram del governatore del Daghestan, Sergey Melikov, che mostra parte della sinagoga coinvolta negli attacchi della città di Derbent, 24 giugno 2024 (EPA via ANSA)
Un frame del video diffuso sul canale Telegram del governatore del Daghestan, Sergey Melikov, che mostra parte della sinagoga coinvolta negli attacchi della città di Derbent, 24 giugno 2024 (EPA via ANSA)
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Domenica sera un gruppo di uomini armati ha attaccato sinagoghe, chiese ortodosse e una postazione della polizia stradale in due città nel Daghestan, una repubblica nel sud-ovest della Federazione russa. Almeno 20 persone sono state uccise negli attacchi, che per il momento non sono stati rivendicati da nessuna organizzazione. Il termine “repubblica della Federazione russa” indica regioni spesso abitate da minoranze etniche, con un maggior tasso di autonomia rispetto ai “territori” e alle “oblast”, che sono altri tipi di divisione amministrativa.

Il Daghestan è una regione del Caucaso, il nome con cui si indica l’ampio istmo che collega l’Europa all’Asia, tra il mar Nero e il mar Caspio (oltre che l’omonima catena montuosa). Il Daghestan affaccia proprio sul mar Caspio e confina a sud con l’Azerbaigian, a ovest con la Georgia, a Nord con la Cecenia e la Calmucchia (una piccola repubblica molto povera della Federazione russa). La capitale del Daghestan è Makhackala, un porto storicamente importante e conteso. Politicamente la regione del Daghestan è sotto il controllo dell’impero russo dall’inizio dell’Ottocento, è entrata poi nell’Unione Sovietica nel 1921 e, dopo la sua dissoluzione, è diventata una delle repubbliche della Federazione russa.

La caratteristica più peculiare del Daghestan è la sua diversità dal punto di vista etnico e linguistico: in un’area di circa 50mila chilometri quadrati (poco più del doppio della Lombardia) oggi vivono circa 3,2 milioni di persone appartenenti ad almeno 30 gruppi etnici diversi, e si parlano decine di lingue, anche se quella ufficiale è il russo. Anche geograficamente il Daghestan è una regione molto varia: è fatta perlopiù di montagne, e le sue coste sono ricche di petrolio e gas naturale. Nonostante questo, la popolazione del Daghestan è poverissima: è la quartultima più povera tra tutte le regioni della Federazione russa, con un PIL pro capite che nel 2022 era di 3 mila euro (quello generale della Russia è di poco più di 9 mila euro, quello delle regioni di Mosca e San Pietroburgo supera i 20 mila euro).

Il simbolo del Daghestan in uno dei luoghi turistici della regione, la gola di Sulak (Maksim Konstantinov/SOPA Images via ZUMA Press Wire via ANSA)

Per varie ragioni (tra cui le tensioni tra i vari gruppi etnici, il radicamento della corruzione e della criminalità organizzata e un movimento militante islamista molto attivo) la storia del Daghestan negli anni dopo la dissoluzione dell’URSS è stata caratterizzata da scontri e violenze, principalmente legati all’integralismo religioso e all’indipendentismo. Con le dovute differenze, la sua storia è spesso accostata a quella della confinante Cecenia, una regione a maggioranza musulmana che ha combattuto due sanguinose guerre per l’indipendenza dalla Russia durante gli anni Novanta.

Anche in Daghestan il 90 per cento delle persone è di fede musulmana, per la maggior parte di orientamento sunnita. E anche qui, come è avvenuto in Cecenia, a partire dagli anni Ottanta si sono diffuse le correnti più ortodosse dell’Islam (come la corrente wahabita) e si sono rafforzati i movimenti islamisti radicali. Nel 1999 il conflitto per l’indipendenza cecena sconfinò anche in Daghestan, ma anche qui l’esercito russo ebbe la meglio sui movimenti indipendentisti e riportò le due regioni sotto il controllo della Federazione.

Nel paese tuttavia sono rimasti attivi vari gruppi jihadisti. L’International Crisis Group (ICG, un centro studi che si occupa di risoluzione dei conflitti) scrive che in anni recenti il 2011 è stato il più violento in termini di scontri tra gruppi jihadisti e le forze di sicurezza in Daghestan: solo quell’anno furono uccise 400 persone. A quel momento seguì un periodo di maggiore tranquillità. Tra le ragioni, secondo quanto ricostruito dall’ICG, ci fu sia un aumento della repressione da parte delle autorità locali, incoraggiate dal governo russo, sia i più ampi movimenti dello jihadismo di quegli anni. Nel 2015 le cellule jihadiste della regione giurarono fedeltà all’ISIS e quindi molti miliziani, facilitati dalle autorità locali a lasciare la regione, partirono per il Medio Oriente.

Una macchina bruciata in seguito a una esplosione in cui morirono 12 persone a Kizlyar, nel Daghestan, 31 marzo 2010 (EPA via ANSA)

La repressione dei movimenti più radicali da parte delle autorità del Dagestan avviene anche attraverso arresti e processi arbitrari, oltre che con la regolare chiusura delle moschee per sospetta attività terroristica. Fino al 2017 era nota in Dagestan l’esistenza di un “registro di sospetti estremisti”: un elenco di nomi di cittadini sospettati di essere legati ai movimenti islamisti. Nel marzo 2016 sulla lista comparivano i nomi e le informazioni personali di 15mila persone, principalmente musulmani salafiti (cioè gruppi di musulmani particolarmente conservatori e integralisti, che a volte si uniscono al jihad).

Essere sulla lista implicava subire regolarmente controlli o essere portati nelle stazioni di polizia e sottoposti a procedure umilianti. Dopo il 2017 il governo ha detto di aver smesso di utilizzare il registro, ma secondo fonti sentite dall’ICG avrebbe soltanto cambiato nome. «Chiunque può essere messo dentro perché sospettato di appartenere a una cellula dormiente», ha detto un leader della comunità salafita all’ONG.