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  • Venerdì 21 giugno 2024

Chi sceglierà Trump come candidato vicepresidente?

Sta cercando una persona disposta a difenderlo in pubblico con grande vigore, ma che non gli faccia troppa ombra

Alcune persone (tra cui membri della sua famiglia) assistono a un'udienza del processo di Donald Trump a New York
Alcune persone (tra cui membri della sua famiglia) assistono a un'udienza del processo di Donald Trump a New York (Andrew Kelly/Pool Photo via AP)
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Nelle ultime settimane in varie interviste ed eventi pubblici Donald Trump ha detto più volte che intende annunciare il nome del candidato vicepresidente con cui si presenterà per i Repubblicani alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti durante la convention nazionale del Partito Repubblicano, che inizierà a Milwaukee, in Wisconsin, il 15 luglio.

Di solito sia i Repubblicani sia i Democratici annunciano i propri candidati vicepresidente un po’ prima della convention nazionale che si tiene nell’anno elettorale. Anche solo per organizzare nei minimi dettagli un evento assai coperto dai media statunitensi, e in cui ciascun partito per tre giorni monopolizza il dibattito politico (quindi anche l’attenzione di decine di milioni di potenziali elettori ed elettrici). Nel 2016 Trump annunciò la candidatura a vicepresidente di Mike Pence il 15 luglio, tre giorni prima dell’inizio della convention nazionale dei Repubblicani. Nel 2020 Joe Biden fece lo stesso con Kamala Harris con una settimana d’anticipo sulla convention dei Democratici.

A questo giro è possibile che Trump voglia riservare l’annuncio per la convention sia per attirare attenzioni e curiosità a un evento di solito molto coreografato, sia per prendere tempo. I cronisti politici che seguono Trump spiegano che al momento non c’è un candidato nettamente favorito, e una lista pubblicata dal New York Times qualche giorno fa contiene 11 nomi.

È molto più chiaro invece quali sono le caratteristiche che Trump cerca in un candidato presidente: «Una lealtà assoluta al brand Trump, una disponibilità ad adottare in ogni decisione e uscita pubblica un approccio asservito, e un’immagine pubblica da “casting” che funziona», scrive il Washington Post. A Trump poi piacciono le persone ambiziose, ma non troppo ambiziose: che non abbiamo cioè l’obiettivo di oscurarlo. Questi elementi saranno decisivi per scegliere il candidato vicepresidente, mentre quelli più tradizionali – una figura che completi o rafforzi il profilo del candidato principale – sono raccontati come più in secondo piano.

Uno dei nomi più citati in queste settimane è quello di Marco Rubio, 53enne senatore della Florida. Fino a una decina d’anni fa Rubio era considerato uno dei politici più promettenti fra i Repubblicani: nato a Miami da esuli cubani, vicino alla destra religiosa, parla fluentemente spagnolo e fa politica praticamente da sempre, dato che entrò per la prima volta in un consiglio comunale nel 1998. Nel 2013 TIME gli dedicò una copertina definendolo «il salvatore dei Repubblicani», nell’anno in cui votò a favore di una riforma bipartisan sull’immigrazione che prevedeva una sanatoria per i migranti entrati irregolarmente negli Stati Uniti. Ai tempi gli analisti politici ritenevano ancora che i Repubblicani dovessero insistere su giovani politici non bianchi, come Rubio, per proiettare maggiore positività e inclusione: più o meno come avevano fatto i Democratici con l’allora presidente Barack Obama.

Nel 2016 Rubio si candidò alle primarie presidenziali, e non andò bene. Per settimane criticò duramente Trump definendolo «un artista della truffa». Trump rispose soprannominandolo Little Marco, il piccolo Marco (Rubio è alto 175 centimetri, Trump 190). Per certi versi la sua candidatura finì in quel momento: il soprannome gli rimase appiccicato, e dopo qualche gaffe e inciampo nei dibattiti presidenziali, Rubio si ritirò dopo aver perso le primarie in Florida. Negli anni successivi però Rubio è riuscito a ricostruirsi un rapporto con Trump, di cui è diventato uno dei più ascoltati consiglieri soprattutto nelle questioni di politica estera, oltre a uno dei pochi leader Repubblicani disposti a difenderlo con veemenza nelle interviste televisive.

Marco Rubio sul palco durante una festa per il compleanno di Donald Trump, 14 giugno 2024 (AP Photo/Gerald Herbert)

Un altro potenziale candidato di cui si sta parlando parecchio è il senatore J. D. Vance, ex manager 39enne eletto nel 2023 in Ohio. Vance ha una storia molto particolare: nel 2016 la sua autobiografia incentrata su un’infanzia particolarmente precaria fra Kentucky e Ohio, Hillbilly Elegy, divenne un caso editoriale e qualche anno più tardi anche un film con Amy Adams prodotto da Ron Howard. Il libro di Vance fu apprezzato soprattutto per come raccontava le difficoltà economiche delle famiglie bianche a basso reddito negli stati meno dinamici dal punto di vista economico. All’epoca lui era un Repubblicano dalle idee piuttosto moderate, molto molto critico nei confronti di Trump.

Negli anni però Vance si è avvicinato molto a Trump, fino a ottenere il suo endorsement, nel 2022, durante le affollate primarie Repubblicane per scegliere il proprio candidato al Senato in Ohio. Da allora Vance è diventato uno dei più convinti sostenitori di Trump, che celebra in ogni sua apparizione televisiva o pubblica.

Vance parla coi giornalisti al di fuori dell’aula di tribunale di New York durante il processo a Trump (Stephanie Keith/Getty Images)

Sia Rubio sia Vance hanno profili simili, ma sono entrambi politici molto ambiziosi e anche molto più giovani di Trump: un loro eventuale incarico da vicepresidenti sposterebbe parecchio le attenzioni dei giornali su di loro, soprattutto verso la fine di un eventuale mandato quando Trump non potrebbe ricandidarsi e il suo vicepresidente, a meno di disastri, diventerebbe il candidato Repubblicano alle successive elezioni presidenziali.

Per queste ragioni alcuni commentatori ritengono che Trump sceglierà qualcuno che abbia meno ambizioni politiche, o che comunque non possa fargli troppa ombra.

Molti hanno notato che Trump ha un ottimo rapporto con Doug Burgum, governatore Repubblicano del North Dakota. Burgum è un ex imprenditore noto soprattutto per aver fondato una società informatica poi comprata nel 2001 da Microsoft per un miliardo di dollari. Burgum e Trump si stimano a vicenda e diverse persone vicine a Trump hanno detto a Politico che Burgum ha «l’aspetto e il profilo giusto per un vicepresidente», almeno per le caratteristiche che cerca Trump. «È un ricco imprenditore come lui, si è guadagnato la stima del circolo di Trump grazie a recenti interviste televisive, e in più difficilmente potrebbe togliere attenzioni» a Trump stesso.

Burgum però non ha un profilo nazionale, non conosce la politica di Washington e potrebbe rivelarsi non all’altezza da un punto di vista mediatico e politico.

Doug Burgum con Donald Trump durante un evento elettorale in New Hampshire (Chip Somodevilla/Getty Images)

Un’altra potenziale candidata che difficilmente farebbe ombra a Trump è la deputata 39enne Elise Stefanik: molto apprezzata dall’ala destra dei Repubblicani, a cui si è avvicinata dopo avere iniziato la propria carriera come funzionaria governativa durante l’amministrazione di George W. Bush, Stefanik deve gran parte della sua ascesa politica proprio a Trump, che l’ha molto promossa negli ultimi anni.

Al contempo però Stefanik potrebbe rivelarsi più un problema che una potenziale risorsa: ha posizioni molto radicali sull’aborto, un tema su cui i Repubblicani sono disallineati dal resto del paese, e viene da New York, uno stato che da decenni vota saldamente per i Democratici e che non è minimamente considerato in bilico.

Stefanik durante un’intervista televisiva registrata al Congresso (Anna Moneymaker/Getty Images)

Se per la scelta del candidato vicepresidente Trump decidesse a sorpresa di ascoltare i funzionari e gli strateghi del partito, è possibile che a quel punto venga indicato un candidato attraente per la fetta di popolazione americana con cui Trump fa storicamente più fatica, cioè gli afroamericani. Le opzioni sarebbero parecchie: su tutti Tim Scott, senatore 58enne del South Carolina, molto stimato all’interno del partito, e il deputato 45enne Byron Donalds, di cui Trump ha parlato molto bene a varie persone, secondo il New York Times.

Nelle varie liste però sono incluse anche potenziali scelte un po’ matte: per esempio il giornalista televisivo Tucker Carlson, popolarissimo nell’elettorato Repubblicano e al di fuori di quel bacino noto soprattutto le sue posizioni estreme, oppure la deputata Marjorie Taylor Greene, famosa soprattutto perché aperta sostenitrice delle teorie complottiste di QAnon.

Al momento comunque lo staff di Trump non ha fatto trapelare particolare preferenze, e i giornali scrivono che nelle scorse settimane è stato chiesto ad almeno 7-8 persone di mettersi a disposizione per fornire i documenti necessari, nel caso venissero effettivamente scelte da Trump come candidato o candidata vicepresidente.