L’assurdo e controverso reality giapponese su un uomo nudo chiuso in una stanza per mesi

È uscito un documentario sulla storia di Tomoaki Hamatsu, che nel 1998 passò più di un anno isolato senza sapere di essere ripreso in diretta

Un fotogramma del programma giapponese nel documentario
Un fotogramma del programma giapponese nel documentario The Contestant (IMDb)
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All’inizio del 1998 Tomoaki Hamatsu aveva 22 anni e voleva fare il comico. Era nato a Fukushima, nel nord-est del Giappone, e per via del suo mento assai pronunciato era soprannominato Nasubi, che in giapponese vuol dire melanzana. Quando si iscrisse a un provino per un programma non sapeva esattamente cosa gli sarebbe successo, eppure nel giro di pochi mesi diventò il personaggio televisivo più famoso del Giappone. Fu infatti scelto come protagonista di Susunu! Denpa Shonen, uno dei primi reality show moderni, con un format estremo e controverso: Hamatsu passò più di un anno chiuso da solo in una stanza, nudo e costretto a procurarsi ciò che gli serviva solo attraverso concorsi a premi postali.

La cosa che oggi sembra più assurda di tutta la storia è che Hamatsu non sapeva che milioni di persone lo stavano guardando. Aveva partecipato volontariamente al programma, accettando di isolarsi per quelli che diventarono quindici mesi e di sottoporsi a prove di sopravvivenza estreme e secondo molti critici umilianti. Ma gli era stato detto che le riprese sarebbero, forse, state trasmesse in seguito. Invece la sua permanenza in quella stanza fu trasmessa in gran parte in diretta.

La storia di Hamatsu è stata raccontata in un documentario girato dalla regista inglese Clair Titley, The Contestant, presentato al Toronto International Film Festival nel 2023 e disponibile da pochi giorni sulla piattaforma Hulu negli Stati Uniti, motivo per cui è tornata a essere al centro di attenzioni e riflessioni.

Il titolo del reality si può tradurre più o meno come “Fermatevi! Giovani matti”. Fu ideato da Toshio Tsuchiya, un produttore di successo, che dopo aver scelto Hamatsu lo bendò e lo condusse in un piccolo appartamento di Tokyo arredato con un tavolo, un posto per dormire e poco altro, tra cui uno scaffale pieno di riviste e una telecamera che lo riprendeva 24 ore al giorno. Le riprese delle ore passate da Hamatsu da solo nella stanza venivano condensate in un segmento più breve trasmesso ogni domenica sera su Nippon TV, senza che lui ne fosse stato informato e quindi senza il suo consenso.

Hamatsu dovette spogliarsi, perché doveva partire da zero nel gioco di sopravvivenza che era stato organizzato. L’obiettivo che gli era stato dato infatti era di procurarsi cibo, vestiti e tutto ciò di cui aveva bisogno iscrivendosi per posta ai concorsi a premi pubblicizzati sui giornali, fino a vincere merce per l’equivalente di un milione di yen (circa 8mila dollari di allora, 15mila euro di oggi).

Come ha notato il Guardian, che lo ha intervistato in occasione dell’uscita di The Contestant, la differenza tra la produzione di un reality show e un crudele esperimento sociale era molto sottile. Il giornale canadese National Post ha definito il documentario «una specie di Truman Show a metà con Oldboy», citando il noto film con Jim Carrey che interpreta l’ignaro protagonista di un reality show e quello del regista coreano Park Chan-wook, che parla di uomo in cerca di vendetta dopo essere stato tenuto prigioniero per vent’anni apparentemente senza motivo.

Le modalità con cui Hamatsu trascorse mesi e mesi nella stanza furono infatti estreme. Passava anche giorni senza mangiare: vinse del riso ma non aveva una pentola per cuocerlo (riuscì solo in seguito utilizzando la stufa, assicurandosi una fonte di sostentamento fondamentale); vinse un barattolo di spaghetti, ma non aveva l’apriscatole. Finì perfino per mangiare del cibo per cani, e per intrattenere lunghe conversazioni con un pupazzo.

Tra le altre cose vinse anche una tv, ma non c’era segnale, e una bici, che riadattò a cyclette per usarla nella stanza. Vinse anche della biancheria da donna, che però gli era piccola. Finì col restare sempre nudo: il sedere e i genitali gli venivano coperti con un’animazione a forma di melanzana che secondo Juliet Hindell, all’epoca corrispondente di BBC a Tokyo, potrebbe aver ispirato l’uso dell’emoji dell’ortaggio anche per indicare un pene. Una volta uscito gli fu molto difficile riabituarsi ai vestiti.

Come racconta nel documentario soffrì di una solitudine estrema, visto che non poteva avere contatti con amici e parenti, ed ebbe anche pensieri suicidi. Sapeva che la porta non era chiusa a chiave, quindi sarebbe potuto andare via in qualsiasi momento, ha detto in un’altra intervista al New York Times: alla fine però si convinse di essere più al sicuro all’interno della stanza e si mise in testa di voler resistere fino a raggiungere l’obiettivo stabilito, anche per mettersi alla prova.

Intanto, fuori da quella stanza, Hamatsu diventava sempre più famoso. Le sue dirette appassionarono e divertirono milioni di giapponesi, e nel tempo qualcuno riuscì anche a capire dove fosse l’appartamento in cui stava, cosa che costrinse la produzione a spostarlo altrove, in una stanza del tutto simile. Al contempo, oltre alla messa in onda la domenica sera, cominciò anche un live streaming via Internet, molto seguito anche quello, seppur con i limiti del tempo.

Nel primo mese Hamatsu si iscrisse a più di 5.700 concorsi e per arrivare a metà dell’obiettivo di premi accumulati gli ci vollero sei mesi e 30mila tentativi. Quando infine accumulò premi per un milione di yen, dopo 355 giorni, era convinto di aver concluso il gioco, ma non fu così: quello che gli avevano detto sarebbe stato un viaggio premio in Corea del Sud si rivelò essere un’ulteriore parte del programma, in una stanza uguale alle precedenti. Il suo nuovo obiettivo era vincere il viaggio di ritorno a casa.

Dopo un po’ fu bendato e trasferito in un’ultima stanza, che in realtà era stata allestita in uno studio televisivo: quando le pareti caddero si ritrovò davanti a centinaia di persone che applaudivano, visibilmente sconvolto. Alla fine aveva partecipato a più di 75mila concorsi, mandando più o meno 200 richieste al giorno: sotto gli occhi di milioni di giapponesi ogni domenica.

Titley ha detto di aver scoperto la storia del programma nel 2017, mentre cercava idee per un film. A suo dire Hamatsu era sempre stato trattato con poco riguardo, se non con disprezzo, ed era anche per questo che voleva raccontare la sua esperienza dal suo punto di vista. Nel documentario intervista sia lui che la madre, la sorella e un’amica, che raccontano il misto di vergogna, dolore, dispiacere e orgoglio che avevano provato nel vederlo in quelle condizioni per tutto quel tempo. Titley intervista anche Tsuchiya, che spiega come all’epoca volesse «immortalare qualcosa di eccezionale, qualcosa di incredibile. Un aspetto dell’umanità che solo io, solo questo programma, potesse descrivere».

A suo tempo aveva detto ad Hamatsu che i suoi filmati non sarebbero mai stati trasmessi, dice sempre Tsuchiya, definendosi infine «un diavolo». Come ha scritto il New Yorker, però, il documentario non lo descrive come l’unico cattivo nella storia di Hamatsu, ma si interroga anche sulle responsabilità del pubblico, che per mesi seguì con passione una storia di umiliazione e prevaricazione. I reality show esistevano a malapena, e le riflessioni riguardo alla spettacolarizzazione della vita privata e dell’intimità delle persone erano ancora acerbe, così come quelle dei confini etici dell’intrattenimento televisivo. Secondo Titley «in una certa misura siamo tutti complici di questi meccanismi» e, «come spettatori, bisogna prendersi un po’ di responsabilità».

Hamatsu ricevette 10 milioni di yen (circa 150mila euro di oggi) per il programma, mentre nel documentario non viene menzionato se ricevette delle royalties sui diversi prodotti legati al programma che furono poi venduti, a partire dal suo diario, che vendette 800mila copie.

Il ritorno alla vita normale fu assai traumatico, ed ebbe difficoltà ad abituarsi alla nuova celebrità e a reinserirsi nella società dopo mesi e mesi di isolamento totale. Rimase un personaggio stranoto in Giappone, ma non sapeva bene cosa fare della sua fama. Dopo il disastro di Fukushima del 2011 però si dedicò a sensibilizzare e a raccogliere fondi per anni, organizzando varie iniziative tra cui diverse spedizioni sul monte Everest, che scalò nel 2016.

Nel documentario Hamatsu, che oggi ha 48 anni, dice di essere rimasto ferito dal fatto che «gli esseri umani potessero essere così crudeli solo per riuscire a fare un programma interessante e famoso e ottenere popolarità». «Sembra un programma comico», dice, «ma le persone non comprendono gli sforzi e le difficoltà che ho attraversato. Questa parte non veniva davvero mostrata».

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