L’industria di blogger e influencer che gira intorno all’Eurovision

Il festival dura una settimana, ma migliaia di fan lo seguono con grande attenzione tutto l'anno, affidandosi a fonti iperspecializzate

Un fan segue la finale dell'Eurovision Song Contest a Liverpool, in Inghilterra, nel 2023 (AP Photo/Jon Super)
Un fan segue la finale dell'Eurovision Song Contest a Liverpool, in Inghilterra, nel 2023 (AP Photo/Jon Super)
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William Lee Adams è un giornalista statunitense-vietnamita che lavora da anni per BBC. Migliaia di persone lo conoscono però in un’altra veste: quindici anni fa ha fondato Wiwibloggs, uno dei più noti siti dedicati interamente all’Eurovision Song Contest, il più grande festival musicale europeo, nonché uno degli eventi televisivi non sportivi più seguiti al mondo.

Adams ha raccontato al New York Times che quando è stato a Baku, la capitale dell’Azerbaijan, per seguire il concorso nel 2012, le persone nella sala stampa che non appartenevano ai media tradizionali (e quindi quotidiani, riviste, radio o televisioni) erano pochissime. Le cose sono cambiate in pochissimi anni: alla 68esima edizione che sta per cominciare a Malmö, nel sud della Svezia, si sono accreditate oltre trecento persone che lavorano per media non tradizionali.

Oggi infatti esiste un vasto universo di blogger, creatori di contenuti e influencer specializzati nel raccontare l’Eurovision a migliaia e migliaia di fan appassionatissimi, felici di ottenere aggiornamenti sulla competizione, la sua storia e i suoi partecipanti anche al di là della singola settimana in cui si tiene.

Il fenomeno non è isolato. Da una parte, secondo una ricerca pubblicata l’anno scorso dal Reuters Institute for the Study of Journalism, sono sempre di più le persone che preferiscono ottenere informazioni attraverso influencer, celebrità o creatori di contenuti online piuttosto che da giornalisti professionisti. Dall’altra, l’aumento degli strumenti che rendono possibile guadagnarsi da vivere – o quanto meno arrotondare – creando contenuti su piattaforme come TikTok, Instagram e Twitch ha incentivato molte persone a dedicare una maggior quantità del proprio tempo alla produzione di video o altri contenuti relativi alla propria passione, anche di nicchia: e come sappiamo, gli algoritmi dei principali social network tendono a premiare contenuti ultraspecifici.

Insomma non sono solo gli account dedicati all’Eurovision che si sono professionalizzati, attirando decine di migliaia di follower: ovunque ci sia un fandom abbastanza appassionato è facile trovare influencer che producono quotidianamente contenuti al riguardo. Ma nel caso dell’Eurovision le dimensioni del festival e l’interesse che suscita in decine di paesi diversi hanno causato un certo affollamento.

– Leggi anche: L’epoca d’oro dei fandom

Adams descrive l’Eurovision come «i Mondiali della musica, o le Olimpiadi sotto steroidi», e spiega che «i nuovi media dedicati ai fan lo coprono tutto l’anno, affannosamente, perché sanno che è un argomento poco trattato [dai media tradizionali]». Il canale YouTube di Wiwibloggs, per esempio, è seguito da 200mila persone ma ha pubblicato alcuni video che hanno raggiunto anche i 20 milioni di visualizzazioni.

Alesia Lucas, fondatrice di un canale YouTube sull’Eurovision seguito da 30mila persone, ha raccontato al New York Times che i creatori di contenuti sul festival iniziano a parlare dell’edizione successiva ancora prima dell’EBU, la European Broadcasting Union, che riunisce le principali tv e radio pubbliche di decine di paesi, principalmente europei, e che organizza il festival.

I contenuti variano molto e sono presentati in formati diversi, dai già citati post e blog a newsletter, podcast e dirette video. Ci sono le interviste con i vari membri delle band che rappresenteranno i paesi in gara, le video-reazioni alle loro canzoni, i post che raccontano la loro carriera, le retrospettive sui partecipanti del passato, le classifiche dei momenti più belli nella storia dell’Eurovision. Wiwibloggs per esempio pubblica per ogni artista in gara i «10 fatti che non conoscete» sul suo conto: sono articoli che aiutano moltissimo, per esempio, i conduttori e le conduttrici del podcast del Post sull’Eurovision, che quest’anno è arrivato alla sua quarta stagione.

I più appassionati seguono anche le competizioni nazionali con cui i singoli paesi scelgono i cantanti che li rappresenteranno all’Eurovision, come il festival di Sanremo per l’Italia e Una voce per San Marino. Pur abitando da tutt’altra parte commentano la canzone che a loro avviso sarebbe più interessante veder arrivare alla competizione. Poi, soprattutto quando il concorso si avvicina, funziona molto il gossip.

Alcuni temi che sono stati molto discussi sui media tradizionali hanno però trovato molto meno spazio all’interno di questo universo di fan. Per esempio, quest’anno l’organizzazione dell’Eurovision ha chiesto all’artista israeliano Eden Golan di cambiare il titolo e il testo della propria canzone in gara, che si intitola “October Rain” (cioè “Pioggia d’ottobre”) perché violava le regole sulla neutralità politica dell’evento. Inizialmente la canzone di Golan alludeva agli attacchi del 7 ottobre contro i civili israeliani sia nel titolo, sia in alcuni suoi versi, come quelli in cui compare la parola «fiori», che nel gergo dell’esercito israeliano è utilizzata per descrivere i soldati uccisi dall’inizio della guerra. Alla fine la rete televisiva pubblica di Israele, Kan, ha accettato di cambiare il testo e il titolo della canzone, che adesso verrà presentata come “Hurricane” ed è stata privata di riferimenti diretti al massacro.

Di questa storia su siti e canali gestiti dai fan si è parlato molto poco: secondo Tom Davitt, un fisioterapista irlandese che gestisce un canale YouTube sull’Eurovision nel tempo libero, è perché molti sono consapevoli di non essere giornalisti e di non avere le competenze per affrontare vicende del genere, che però all’Eurovision capitano sempre più spesso. «Siamo solo creatori di contenuti amatoriali, non siamo formati per saper gestire questo genere di cose», ha detto al New York Times.