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  • Venerdì 3 maggio 2024

Com’è stata scritta l’autobiografia postuma di Michela Murgia

La scrittrice raccontò la sua vita a voce all'editor Beppe Cottafavi, che poi si è fatto aiutare nella stesura del libro da Alessandro Giammei, filologo e "figlio d'anima" della scrittrice

di Ludovica Lugli

Il volto di Michela Murgia sulla copertina di "Ricordatemi come vi pare"
Dettaglio del volto di Michela Murgia sulla copertina di Ricordatemi come vi pare (Mondadori)
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Il 30 aprile è uscito nelle librerie il secondo libro a firma di Michela Murgia dalla sua morte, il 10 agosto 2023. Il primo, Dare la vita, era stato un saggio pubblicato da Rizzoli, mentre questo, Ricordatemi come vi pare, pubblicato da Mondadori, è un’autobiografia e una specie di manifesto intellettuale e politico delle idee di Murgia, che era anche un’attivista e un’attiva partecipante al dibattito pubblico italiano. Questi due libri postumi – primi due libri postumi, per il momento – sono diversi non solo per genere e casa editrice, ma anche per come sono stati scritti.

Murgia lavorò sul testo di Dare la vita prima di morire, mentre non vide mai Ricordatemi come vi pare in forma scritta. La maggior parte delle parole che lo compongono furono dette a voce da Murgia, circa un mese prima di morire, all’editor Beppe Cottafavi, che poi le ha messe per iscritto sotto la supervisione di Alessandro Giammei, professore associato di letteratura italiana dell’Università di Yale e curatore del lascito intellettuale di Murgia. Giammei è anche una delle persone che Murgia considerava un proprio «figlio d’anima» e un membro della sua «famiglia queer», cioè della piccola comunità d’elezione delle persone a cui la scrittrice era più legata.

Ricordatemi come vi pare è stato dunque costruito in modo particolare e con un intenso lavoro da editor. In editoria con questa parola si indica quella figura professionale che affianca l’autore nella scrittura o nella revisione del testo, e a volte anche nella sua ideazione, con un maggiore o minore coinvolgimento a seconda del reciproco modo di lavorare e dell’esperienza personale e comune.

«È un libro bizzarro», spiega Cottafavi, «perché l’autrice è sicuramente Michela Murgia, ma ci sono due editor che sono anche due “sotto-autori”, Alessandro e io». Il loro lavoro però è stato diverso. «Io ho raccolto la testimonianza, dopo aver proposto a Murgia di fare il libro, ho ri-raccontato quello che lei mi aveva raccontato», chiarisce, «Alessandro è stato il mio di editor, un “contro-editor”: ha pulito e corretto il testo dove lo riteneva opportuno, conoscendo bene la vicenda personale e intellettuale di Michela».

Cottafavi è un editor che lavora come consulente per Mondadori da molti anni. Tra gli addetti ai lavori dell’editoria è noto tra le altre cose per aver ideato Tutte le barzellette su Totti, un libro del 2003 che ebbe un grande successo commerciale, e per aver lavorato anche a qualcuno dei romanzi sentimentali di Fabio Volo, che a loro volta vendono molto, ma si occupa anche di libri letterari. Con Murgia aveva lavorato per la prima volta su Tre ciotole (Mondadori), l’ultimo libro che la scrittrice ha pubblicato in vita, lo scorso maggio.

L’idea di Ricordatemi come vi pare nacque proprio mentre Murgia era impegnata nella realizzazione dei contenuti promozionali per Tre ciotole. Si trovava a Milano, dove ha sede Mondadori, per registrare dei contenuti sul libro da diffondere sui social: fu la stessa occasione in cui venne girato il video in cui Murgia si fa tagliare a zero i capelli, che stava perdendo per la chemioterapia. «Tra un video e l’altro, mentre il regista Jacopo Milesi la interrogava su Tre ciotole, io ho cominciato a farle delle altre domande», racconta Cottafavi, «e lei ha risposto allargando il tema alla sua vita: alla fine avevamo un’ora di registrazione che poi è diventato l’inizio di Ricordatemi come vi pare».

All’epoca Murgia già sapeva di avere solo pochi mesi ancora da vivere. Cottafavi le disse di aver bisogno di incontrarla almeno quattro o cinque volte per raccogliere un racconto utile per mettere insieme un’autobiografia: poi si accordarono per vedersi nella seconda settimana di luglio, nella nuova casa della scrittrice a Roma. Prima che accadesse Giammei diede una serie di spunti a Cottafavi su alcuni dei temi di cui avrebbero potuto parlare: «Gli ho fatto un po’ da coach, dicendogli ad esempio “non ti dimenticare di chiederle di quando leggeva Stephen King”, “non ti dimenticare di guardare quei post su Facebook”».

In tutto Murgia e Cottafavi parlarono per circa due ore al giorno per cinque pomeriggi, dalle 18 alle 20, mentre nella casa procedevano i lavori di ristrutturazione e Murgia riceveva le visite del suo oncologo e dei vari membri della famiglia queer, come le scrittrici e amiche Chiara Valerio, Teresa Ciabatti e Chiara Tagliaferri. Le condizioni di lavoro non erano proprio quelle tipiche in cui si scrivono libri. «La casa era un cantiere con i muratori che lavoravano coi trapani e non avevano ancora montato gli split dell’aria condizionata», ricorda ancora Cottafavi, «si moriva veramente di caldo, ma soprattutto Michela stava morendo sul serio. Gli ultimi due giorni mi sono sdraiato di fianco a lei sul letto, non riusciva più a stare seduta».

Cottafavi descrive questo lavoro di coppia, in cui spesso si inserivano le altre persone presenti, come impegnativo ed «eroico» per via delle condizioni di salute di Murgia – «Purtroppo non era la prima volta che mi capitava, avevo lavorato anche all’ultimo libro in fin di vita di Edmondo Berselli», aggiunge. Non sono peraltro mancati degli incidenti di diverso genere: Cottafavi ammette di non essere espertissimo con gli strumenti digitali e una delle conversazioni non è stata registrata per un errore suo. «Per quella sono dovuto andare a memoria», spiega.

Giammei invece sottolinea che tutti i libri di Murgia sono stati scritti in «condizioni di scomodità»: «Il mondo lo deve sapere di notte, come serie di post su un blog, mentre di giorno lavorava nel call center, Accabadora in una quindicina di case di altre persone mentre viaggiava per l’Italia come portavoce della generazione precaria, Chirù durante la campagna elettorale per le regionali in Sardegna».

Cottafavi rivendica che comunque, nonostante le condizioni in cui Ricordatemi come vi pare è stato “parlato”, fa anche ridere. A suo dire è sia perché Murgia era una donna spiritosa, e lavorando insieme ridevano moltissimo, sia perché lui stesso, nel proprio lavoro di editor, ha guidato il suo racconto, facendole delle domande e suggerendole quali momenti ricordare, in modo da includere aneddoti divertenti.

Nel libro non sono riportate le domande che Cottafavi fece a Murgia in quei pomeriggi, ma ogni tanto la voce narrante di Murgia si rivolge a una seconda persona: in alcuni casi è proprio Cottafavi, in altri Giammei. Il libro è stato messo insieme in modo da avere una struttura organica: non è raccontato tutto in ordine cronologico, è diviso per capitoli tematici che in parte ricordano la forma di un racconto orale di una persona molto abile nell’oratoria come era Murgia. Cottafavi menziona anche questo aspetto del lavoro con lei: «Sulla scrittura di Michela c’erano ben pochi interventi da fare e sulle sue parole orali ancora meno, perché parlava come un libro stampato».

La prima versione consegnata di Ricordatemi come vi pare era lunga circa 600 pagine: l’intervento successivo di Giammei l’ha ridotta a poco più di 300. Ha tolto alcune cose che Murgia aveva già detto in molte occasioni, lasciando invece quelle sul suo passato più lontano e meno conosciuto e altre più recenti che però nei prossimi anni potrebbero venir dimenticate, tenendo conto di tutti i possibili lettori, dalla «signora anziana che ha letto Accabbadora e Chirù» alla «ragazzina che non ha mai letto Accabbadora e Chirù, però ha seguito i post su Instagram», fino «all’intellettuale americano che ti dice che “Murgia è la tradizione della Sardegna”».

Una parte del lavoro sul testo di Giammei però ha anche richiesto di aggiungere qualcosa. Ha infatti recuperato una serie di testi scritti da Murgia negli anni, inediti o già pubblicati altrove, che sono stati inclusi all’interno dell’autobiografia – e segnalati nella bibliografia in fondo: tra gli altri ci sono due articoli per il Post, “Cosa ho capito sulla fragilità con i BTS” e “Un modo diverso di dare le notizie”. La scelta di quali testi inserire nel libro, così come quella di integrarvi alcune delle risposte che Murgia diede ad Aldo Cazzullo nella sua ultima intervista con il Corriere della Sera e a Simone Marchetti per quella con Vanity Fair, è però stata di Murgia stessa, specificano Cottafavi e Giammei: mentre ripercorreva la sua vita le tornavano in mente delle cose scritte in passato e dava indicazione di includerle.

Secondo Giammei si potrebbe addirittura considerare Murgia stessa come una «terza editor», sia per queste indicazioni sia per uno «scherzo» che gli ha fatto: «Quando ho ricevuto il suo computer mi sono accorto che non c’era tutto quello che ricordavo. Poi quest’inverno mi sono reso conto che c’era una serie di cartelle online in due applicazioni, Dropbox e Google Drive, registrate con un’email secondaria di Michela. Provo a entrare usando come password il mio “nome da elfo”, quello che usavo nel gioco di ruolo online dove ci siamo conosciuti, e si aprono». Lì c’erano i testi mancanti.

In fase di revisione sia Cottafavi che Giammei hanno fatto anche dei piccoli interventi di fact-checking, cioè di verifica di certe informazioni, senza però correggere alcune piccole incongruenze temporali proprie del racconto di Murgia e dovute al fatto che fu un esercizio di memoria orale. «Ma non sono fatti cruciali», chiarisce Giammei, «non è un libro documentario, è un libro di teoria e letteratura, ma non ci sono stronzate». Cottafavi da parte sua si è confrontato con alcune delle persone menzionate nel racconto.

Ripensando a tutto il lavoro fatto con Ricordatemi come vi pare, e prima con Tre ciotole, dice di essere stato un buon editor per Murgia perché la pensavano diversamente su molte cose e per questo non era condiscendente con lei: «Michela nel contrasto e nel conflitto dava il meglio di sé, come è noto». Ed era particolarmente adatto a lavorare con lei sulla sua autobiografia perché era «nella circonferenza esterna della vita di Michela», non la conosceva così bene da sapere già tutto, e per questo era nella posizione ideale per fare domande e ascoltare.