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  • Venerdì 22 marzo 2024

Abbiamo perdonato John Galliano?

Si riparla dello stilista britannico licenziato da Dior nel 2011 per insulti antisemiti: c'è un documentario su di lui e a gennaio ha fatto una sfilata che si è decisamente fatta notare

John Galliano a Parigi nel 1995 (AP Photo)
John Galliano a Parigi nel 1995 (AP Photo)

Nel mondo della moda si sta parlando molto dello stilista britannico John Galliano, dopo una sfilata molto apprezzata e un documentario su di lui appena uscito negli Stati Uniti. A 63 anni è considerato uno dei più talentuosi di tutti i tempi ed è diventato noto anche al grande pubblico per il comportamento eccentrico, provocatorio e sopra le righe, e per le grandiose sfilate che organizzava quando era direttore creativo dell’azienda francese Dior, da cui venne licenziato nel 2011 per una serie di commenti antisemiti e comportamenti violenti mentre era sotto l’effetto di alcol. Galliano cadde in disgrazia, si disintossicò dalla dipendenza da alcol e droghe e ottenne nuovamente un lavoro nel 2014, come direttore creativo dell’azienda belga Maison Margiela, dove si trova ancora oggi.

Ora, scrive il Washington Post, «sta volando più in alto di quando il suo Dior era sulla bocca di tutti nel mondo della moda». A gennaio la sua collezione “Artisanal” di haute couture (cioè l’alta moda) presentata sotto il ponte Alexandre III a Parigi è stata definita da alcuni critici la migliore del XXI secolo e una delle più riuscite di Galliano, che si è fatto notare anche dai commentatori più giovani, che non avevano mai assistito in diretta alle sue sfilate, drammatiche e scenografiche. Per giorni su Instagram e TikTok si sono visti video di modelli e modelle dalla pelle lucida come la porcellana, camminare lentamente davanti al pubblico stretti in coreografici corpetti, con i fianchi allargati dai panier (una struttura che allarga la gonna sui lati) e finti peli pubici applicati ai vestiti.

Due mesi dopo, lo scorso weekend, è uscito nei cinema americani il documentario High & Low: John Galliano del regista Kevin MacDonald, noto per Un giorno a settembre, per cui vinse l’Oscar per il miglior documentario, e per il film L’ultimo re di Scozia. Il documentario (che in alcuni paesi, Italia esclusa, si trova anche su Mubi) racconta la caduta e il percorso di redenzione di Galliano, e ha fatto nascere un dibattito sui giornali americani sull’opportunità di “riabilitarlo” definitivamente.

Comunque sia, la storia di Galliano è interessante non solo perché è stato definito da molti giornali americani come il caso “cancel culture” più famoso nel mondo della moda, ma anche perché racconta un momento di svolta nel settore, che favorì il successo dello stilista ma forse anche la sua rovina; inoltre, indipendentemente dai giudizi morali che sono stati espressi su di lui, è unanimemente riconosciuto come uno degli stilisti più geniali di tutti i tempi.

L’attrice Gwendoline Christie chiude la sfilata di haute couture di Maison Margiela, Parigi, 25 febbraio 2024 (SIMBARASHE CHA/The New York Times/Redux)

Galliano, il cui vero nome è Juan Carlos Antonio Galliano Guillén, nacque il 28 novembre del 1960 a Gibilterra, da una famiglia operaia e molto cattolica. Sua madre era spagnola, suo padre era britannico, faceva l’idraulico ed era un tipo violento; si trasferirono a Londra quando lui aveva sei anni. Fin da piccolo seppe di essere gay ma lo nascose ai genitori, soprattutto al padre. Galliano si rifugiò in un mondo di fantasia che una volta cresciuto riversò nelle sue collezioni e nella sua stravaganza; per esempio dopo ogni sfilata salutava il pubblico vestito in costume: da pirata, marinaio, astronauta, Napoleone. Come scrive il New York Times «stava scappando da un passato doloroso, da demoni interiori. Anche lui cercava una fuga interpretando dei personaggi»

John Galliano dopo la sfilata di haute couture primavera/estate, Parigi, 22 gennaio 2007 (REUTERS/Philippe Wojazer)

Il successo arrivò già nel 1984, con la collezione di laurea alla celebre scuola di moda londinese Central Saint Martins: si chiamava “Les Incroyables” (gli incredibili), era ispirata alla rivoluzione francese ed era sorprendente e maestosa come quelle che avrebbe disegnato negli anni successivi. Venne subito acquistata da una boutique di Londra, Browns.

«Si rivelò presto un genio – scrive sempre il New York Times – disegnando non solo vestiti ma visioni allucinogene, che prendevano vita con il colore, il movimento, i tessuti e soprattutto le storie». Galliano ottenne il favore di investitori, giornalisti di moda – tra cui il critico André Leon Talley e la potente direttrice di Vogue America, Anna Wintour – e la devozione di modelle come Naomi Campbell, Linda Evangelista e Kate Moss che, in alcune occasioni, sfilarono per lui senza farsi pagare.

Aprì un marchio omonimo a Londra ma andò in bancarotta – i suoi vestiti erano costosi da produrre e non facili da vendere – e si trasferì a Parigi nel 1990. Intanto, nel 1987, era già stato scelto come Designer of the Year dal British Fashion Council, il più importante riconoscimento della moda britannica.

John Galliano a Parigi, 20 marzo 1995 (AP Photo/Lionel Cironneau)

La svolta economica arrivò nel 1993 con l’aiuto di Tally e Wintour, che favorirono il sostegno del gruppo bancario Paine Webber e convinsero una donna portoghese dell’alta società, São Schlumberger, a ospitare la sfilata per l’autunno/inverno 1994 nella sua villa seicentesca a Parigi. La sfilata era ispirata al mondo giapponese, con molti kimono e slip dress (vestiti sottoveste), ed ebbe un successo enorme: la stilista belga Diane von Furstenberg la definì «un momento spartiacque nelle storia della moda moderna»; nel documentario di MacDonald, Wintour racconta che «per i 10 anni successivi le donne uscirono in slip dress». In quell’anno Galliano vinse di nuovo il premio di Designer of the Year.

John Galliano con l’allora vice primo ministro britannico Michael Heseltine dopo essere stato nominato British Designer of the Year ai British Fashion Awards, 24 ottobre 1994  (Shawn Baldwin/Reuters)

Nel 1995 Bernard Arnault, fondatore del gruppo francese del lusso LVMH (che possiede anche Louis Vuitton) propose a Galliano di diventare direttore creativo dell’azienda di moda francese Givenchy, prendendo il posto del fondatore, il raffinato Hubert de Givenchy. Galliano accettò e divenne il primo britannico a dirigere un marchio di lusso francese, per cui disegnò la sua prima collezione di haute couture; in quell’anno vinse per la terza volta il British Designer of the Year. L’anno successivo Arnault gli offrì anche la direzione creativa dell’azienda francese Dior: Galliano si trovò così a capo di tre marchi (il suo, Dior e Givenchy). L’anno successivo la guida di Givenchy passò ad Alexander McQueen, un altro giovane stilista britannico, tormentato e provocatorio, considerato geniale quanto Galliano e poi morto suicida nel 2010, a quarant’anni. Nel 1997 lui e Galliano vinsero insieme il premio British Designer of the Year.

Il loro successo fu permesso anche dalla gestione di Arnault, che in quegli anni comprò delle storiche aziende di lusso – che confezionavano abiti sartoriali per signore dell’alta società e mogli di capi di stato – e le stravolse, affidandole a giovani irriverenti che facevano parlare di sé e delle loro sfilate-spettacolo. Così attirarono le masse e avvicinarono i clienti più giovani, che non compravano i costosi abiti d’alta moda ma migliaia di magliette e profumi, moltiplicando i profitti. Come ha raccontato Arnault nel documentario di MacDonald, «dall’arrivo di John vendevamo il 50 per cento in più ogni sei mesi». La vecchia clientela, spesso sconvolta, dovette rivolgersi ad aziende più tradizionali, come Chanel e Yves Saint Laurent.

Galliano restò da Dior per 14 anni, dove disegnò collezioni controverse e che passarono alla storia. Per esempio per la sfilata “Il ritorno di Cleopatra“, del 1997, si ispirò all’Antico Egitto con vestiti dorati, un trucco incrostato di gemme, maschere di Nefertiti e Tutankhamon; la “Diorient Express”, del 1998, aveva dei copricapo ispirati a quelli dei nativi americani; nella sfilata “Hobo” di haute couture, nel 2000, si ispirò ai senzatetto del lungosenna, con vestiti che ricordavano pile di fogli di giornale e accessori simili a bottiglie di liquore. «Ogni collezione si srotolava come un’opera teatrale o un film sperimentale, con tocchi discordanti» spiega il New York Times. Nel 2009 Galliano ricevette la Legion d’onore, il più alto riconoscimento francese.

Una modella alla sfilata di haute couture autunno/inverno 2000/01, Parigi, 8 luglio 2000 (Eric Gaillard/Reuters)

Galliano si era fatto conoscere anche per gli eccessi e la sregolatezza. Beveva, prendeva droghe e pillole per dormire, anche per sostenere la pressione del lavoro, che lo portò a disegnare fino a 32 collezioni all’anno. Fu molto colpito dalla morte del padre e, nel 2007, del suo migliore amico e assistente di lunga data Steven Robinson. Una volta il deejay britannico Jeremy Healy lo trovò all’hotel Ritz di Londra: rimase «nell’ascensore, senza vestiti, per quattro ore: diceva a tutti che era un leone… ringhiava alle persone». In High & Low, Sidney Toledano, allora amministratore delegato di Dior, racconta di aver parlato della situazione di Galliano ad Arnault, che avrebbe offerto a Galliano una pausa di sei mesi per disintossicarsi; lo stilista, però, non ricorda alcuna proposta del genere (va detto che la sua sua memoria non è molto affidabile e che non ricorda molti fatti raccontati da altri).

La situazione precipitò il 24 febbraio del 2011, quando Galliano venne arrestato in stato di ebbrezza in un bar di Parigi a causa di comportamenti violenti e insulti antisemiti e razzisti a una coppia nel locale. La donna insultata raccontò che Galliano le aveva detto di stare zitta, poi aveva criticato i suoi vestiti, i capelli, le sopracciglia e il trucco; Dior lo sospese immediatamente dall’incarico. Qualche giorno dopo venne diffuso su internet un video del dicembre 2010 in cui Galliano diceva a una persona che lo stava filmando: «Amo Hitler. Gente come voi dovrebbe essere morta. Le vostre madri, i vostri antenati, dovevano essere stati dannatamente gasati». A quel punto un’altra donna raccontò di essere stata insultata violentemente da Galliano al La Perle a ottobre.

Il primo marzo Dior licenziò Galliano, a pochi giorni dalla sfilata per l’autunno/inverno (Toledano, tra l’altro, era ebreo). Natalie Portman, che era la testimonial dei profumi di Dior, disse di essere «orgogliosamente ebrea», lo criticò duramente e si rifiutò di indossare un suo abito agli Oscar; altri lo difesero, sostenendo che avesse reagito in quel modo a causa dello stress e delle dipendenze.

I sarti e le sarte di Dior, che uscirono alla fine della sfilata per l’autunno/inverno 2011/12 a Parigi al posto di John Galliano, che era stato licenziato pochi giorni prima, 4 marzo 2011 (AP Photo/Francois Mori)

A giugno si tenne un processo a Parigi in cui fu condannato per «insulti pubblici basati sulla provenienza, l’affiliazione religiosa, la razza o l’etnia». Nella sua testimonianza Galliano raccontò di non ricordare gli episodi, e che dal 2007 aveva un problema di dipendenza dall’alcol e poi dalle droghe e dai tranquillanti a causa dell’eccessiva pressione sul lavoro: «Dopo ogni picco creativo mi schiantavo e bere mi aiutava a fuggire». Si disse dispiaciuto «per la tristezza che questa storia ha causato» e, a proposito del video su Hitler, spiegò che «non sono cose che penso o in cui credo. Vedo qualcuno che ha bisogno di aiuto, che è vulnerabile». In un comunicato stampa precedente si era scusato senza riserve per il suo comportamento.

John Galliano in auto dopo essersi presentato in tribunale a Parigi per rispondere delle accuse di insulti antisemiti, 22 giugno 2011 (AP Photo/Thibault Camus, File)

Per i due anni successivi Galliano non fece nulla se non disegnare, nel 2011, il vestito da sposa di Kate Moss, che lo difese sempre. Si disintossicò e incontrò alcuni esponenti della comunità ebraica a cui chiese perdono. Nel 2013 collaborò a una collezione dello stilista Oscar de la Renta e l’anno successivo venne nominato direttore creativo di Maison Margiela, di proprietà del gruppo italiano OTB di Renzo Rosso.

Kate Moss con l’abito da sposa disegnato da John Galliano per il suo matrimonio con il chitarrista britannico Jamie Hince, Southrop, Regno Unito, 1 luglio 2011 (AP Photo/Jonathan Short)

La sua prima sfilata per Margiela fu la haute couture del gennaio 2015: non si tenne a Parigi, come accade di solito per l’alta moda, ma a Londra, la città dov’era iniziata la sua carriera, davanti a un piccolo gruppo di amici, giornalisti, stilisti e clienti. L’incontro tra Galliano e Margiela – un marchio noto per gli abiti minimalisti, concettuali e di recupero – incuriosiva anche i non appassionati di moda, così come incuriosiva il suo ritorno dopo lo scandalo. La critica di moda Robin Givhan, per esempio, si chiedeva sul Washington Post «quanto contino i vestiti in questa storia di redenzione» e aggiungeva che «il suo talento è troppo meraviglioso per farne a meno», ma se fosse stato «banalmente ordinario» sarebbe stato perdonato? E lo era stato semplicemente «perché si ha paura che senza di lui la moda sia meno divertente, meno redditizia, meno chiacchierata? Il perdono è dato con generosità o con egoismo?»

@modelsmood1 #LEONDAME For #maisonmargiela Spring 2020 #iconicmoment ♬ SLAUGHTER HOUSE – Phonkha & zecki

Sono passati quasi dieci anni e quelle domande sono tornate attuali. La grandezza della sfilata di gennaio ha fatto pensare a molti che fosse un addio a Margiela, così come il documentario – realizzato con l’aiuto di Condé Nast Entertainment, l’azienda di produzione della casa editrice che controlla Vogue – potrebbe essere un tentativo per spianare la strada alla sua riabilitazione. L’esperta giornalista di moda Dana Thomas racconta che Wintour vorrebbe dedicare una mostra del Costume Institute (il prestigioso museo di moda di New York) a Galliano e riporta anche voci di un suo possibile rientro nel gruppo LVMH: forse alla guida del suo omonimo marchio, di Givenchy – che è senza direttore creativo – o addirittura di Dior.

Come scrive Rachel Tashjian sul Washington Post «la creatività è quasi scomparsa dalla moda, ed ecco un uomo che si prende il tempo che gli serve, che non vuole solo venderti i vestiti ma vuole mostrarti la bellezza sotto una nuova luce: i rinnegati e gli sbandati della vita in città, redenti sull’altare che una sfilata diventa quando uno stilista davvero bravo ci mette i vestiti. Il suo genio ne vale la pena?»