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  • Martedì 23 aprile 2019

Lo Sri Lanka indaga sui legami tra gli attentatori e l’ISIS

Dopo che lo Stato Islamico ha rivendicato gli attentati di Pasqua, che hanno provocato almeno 359 morti

Il funerale di una delle vittime degli attentati di domenica a Colombo. (AP Photo/Eranga Jayawardena)
Il funerale di una delle vittime degli attentati di domenica a Colombo. (AP Photo/Eranga Jayawardena)

Lo Stato Islamico (o ISIS) ha rivendicato gli attentati in Sri Lanka compiuti la domenica di Pasqua, nei quali sono state uccise almeno 321 persone. L’ISIS ha diffuso la rivendicazione tramite la sua agenzia semi ufficiale Amaq: per il momento non ci sono prove definitive che dimostrino la veridicità della rivendicazione del gruppo, anche se negli ultimi due giorni erano emersi diversi elementi che avevano fatto sospettare il coinvolgimento di un grande gruppo terroristico internazionale in appoggio al National Thowheeth Jama’ath, il semisconosciuto gruppo terroristico islamista accusato dal governo srilankese di avere compiuto materialmente gli attacchi. Dopo la diffusione della prima rivendicazione, inoltre, l’ISIS ha diffuso un comunicato più lungo con i “nomi da guerra” dei sette attentatori suicidi e un’immagine che li mostra tutti davanti a una bandiera dell’ISIS.

Il primo ministro dello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe ha commentato martedì sera la rivendicazione, ribadendo che gli attacchi non possono essere stati compiuti senza collegamenti con un’organizzazione internazionale: «C’è stato un addestramento e un coordinamento che non avevamo mai visto prima». Wickremesinghe ha detto che la polizia ha fatto progressi nell’identificazione dei sospettati, aggiungendo che alcuni avevano viaggiato all’estero e che altri sono ancora in fuga. Tutte le persone arrestate finora sono di nazionalità srilankese, ha detto Wickremesinghe, che ha aggiunto che un ulteriore attentato in un non meglio precisato albergo è stato sventato domenica.

Sempre martedì è stato diffuso un breve filmato che mostra un uomo sospettato di essere uno degli attentatori suicidi mentre entra nella chiesa di San Sebastiano a Negombo, una di quelle colpite dalle esplosioni.


Le autorità dello Sri Lanka, che devono ancora commentare la rivendicazione dell’ISIS, erano state accusate nelle ultime ore di non avere risposto per tempo a un’allerta terroristica diffusa giorni prima delle esplosioni.

L’India e gli Stati Uniti avevano avvisato lo Sri Lanka di possibili attacchi già lo scorso 4 aprile, e in un documento interno della settimana successiva si parlava di rischio attentati nelle chiese cattoliche e si dava conto degli spostamenti del leader del National Thowheeth Jama’ath. Martedì il ministro della Difesa Ruwan Wijewardene ha detto al Parlamento che secondo le indagini preliminari gli attentati di domenica «sono stati compiuti come ritorsione dopo quello di Christchurch», riferendosi alla strage nelle moschee neozelandesi nelle quali morirono 50 persone, lo scorso marzo. Questa tesi è in apparente contraddizione con il diffuso sospetto che gli attentati in Sri Lanka fossero stati pianificati per mesi, per via della loro complessità. Wickremesinghe ha detto che questa ipotesi è possibile, ma non l’ha confermata spiegando che si sta ancora indagando.

Un gruppo di donne prega durante tre minuti di silenzio organizzati a livello nazionale per ricordare i morti negli attacchi di domenica. (AP Photo/Eranga Jayawardena)

Lunedì alcuni funzionari srilankesi hanno detto che uno degli attentatori suicidi era stato arrestato mesi fa, sospettato di aver vandalizzato una statua di Buddha. Ma una delle informazioni che sta mettendo più in difficoltà il governo dello Sri Lanka è che già lo scorso 4 aprile l’India, che monitora da vicino le attività terroristiche del sudest asiatico, aveva avvisato l’intelligence srilankese di un possibile attacco alle chiese e all’ambasciata indiana. Il Wall Street Journal dice che quell’informazione non comprendeva il nome del National Thowheeth Jama’ath, mentre il New York Times scrive di sì, e aggiunge che nell’allerta si citava anche l’indirizzo e il numero di telefono del leader del gruppo, Mohammed Zaharan.

Nei giorni successivi all’allerta, comunque, le autorità dello Sri Lanka avevano messo sotto sorveglianza diversi membri del National Thowheeth Jama’ath, senza intervenire.

Il fatto che nel giro di poche ore dopo le esplosioni siano stati fatti oltre venti arresti sembra indicare che l’intelligence fosse effettivamente a conoscenza di molti indirizzi. Gli avvertimenti e l’intensificazione delle attività di sorveglianza sul National Thowheeth Jama’ath, e l’ipotesi di un attacco alle chiese, erano stati formalizzati in un documento inviato dai dirigenti dei servizi segreti a vari sottoposti l’11 aprile, dieci giorni prima degli attentati. Secondo Wijewardene, in alcuni documenti circolati in ambienti governativi prima dell’attacco si segnalava che un membro del gruppo terroristico che poi ha partecipato agli attentati aveva iniziato a pubblicare «contenuti estremisti» sui suoi social media dopo gli attentati di Christchurch.

La chiesa di San Sebastiano a Negombo, dopo l’attacco. (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)

Secondo il New York Times, almeno in parte questo fallimento nella catena di comando è da imputare a una faida politica in corso tra il presidente srilankese Maithripala Sirisena e il primo ministro Wickremesinghe, che l’anno scorso portò a una crisi e che ebbe come conseguenza l’esclusione di Wickremesinghe dall’accesso alle informazioni segrete più importanti. Per questo il suo ufficio non ha ricevuto informazioni sui possibili attacchi. Il presidente Sirisena, a capo dei servizi segreti, è da domenica accusato di negligenza da molti politici srilankesi, compresi alcuni ministri. Non è chiaro se una maggiore condivisione delle informazioni avrebbe potuto evitare gli attentati, ma il primo ministro e i suoi alleati stanno dicendo che se avessero saputo sarebbero intervenuti.

La complessità dell’attacco di domenica, avvenuto in diversi luoghi quasi in contemporanea e con l’utilizzo di esplosivi molto potenti, sembra indicare l’esistenza di un progetto pianificato per mesi. Per questa ragione, anche prima della rivendicazione dell’ISIS, gli investigatori ritenevano che il National Thowheeth Jama’ath, fino a poco tempo fa conosciuto principalmente per alcuni episodi di vandalismo ai danni di statue buddiste, fosse stato aiutato da un’organizzazione terroristica esterna.

Alcuni funzionari governativi hanno detto al New York Times che lo scorso gennaio, nell’ambito di un’indagine sui danneggiamenti delle statue, era stato scoperto un deposito di armi ed esplosivi in un’isolata piantagione di cocco nel nord est del paese. Secondo il governo apparteneva a un gruppo islamista, probabilmente collegato al National Thowheeth Jama’ath.

Gli investigatori dentro alla chiesa di San Sebastiano a Negombo. (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)

Rajitha Senaratne, ministro srilankese per la Salute, aveva detto lunedì che solo «una rete internazionale» avrebbe potuto rendere possibile l’attacco, accodandosi ai sospetti di molti. Raffaello Pantucci, analista del think tank londinese Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, ha detto al Wall Street Journal che «quest’attacco ha richiesto molta pianificazione, che è sorprendente per un gruppo di cui la maggior parte di noi non aveva mai sentito parlare. Questo mi fa sospettare di un collegamento esterno, e lo Stato Islamico e al Qaida sono i sospettati principali». Amarnath Amarasingam, esperto di estremismo religioso in Sri Lanka dell’Institute for Strategic Dialogue, ha anche notato che non c’era una vera ragione per il National Thowheeth Jama’ath di attaccare le chiese cattoliche e i turisti. Anche per questo diversi esperti hanno sospettato da subito il coinvolgimento di gruppi internazionali con agende anti-cristiane più esplicite.

Non sono però ancora stati trovati gli eventuali collegamenti diretti e concreti tra il gruppo terroristico srilankese e l’ISIS. Si ritiene che dal 2015 siano stati 41 i musulmani srilankesi a unirsi allo Stato Islamico: secondo Rohan Gunaratna della S. Rajaratnam School of International Studies di Singapore, soltanto due sono tornati. Il Wall Street Journal scrive che alcuni di quelli rimasti in Iraq, Siria o Turchia abbiano contribuito a radicalizzare i simpatizzanti dell’ISIS nel sudest asiatico, dall’India alle Maldive, e che il National Thowheeth Jama’ath abbia aiutato a svolgere questo compito in Sri Lanka. Finora però si pensava che il gruppo locale non fosse incline al terrorismo.