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  • Martedì 16 ottobre 2018

La Moldavia sta a metà

Oscilla da anni tra Russia e Occidente, ostaggio di una classe politica ambigua, e si sta spopolando velocemente: ma c'è una donna che vorrebbe farne un paese normale

di @stefanovizio

Maia Sandu durante un evento della campagna elettorale per le presidenziali del 2016, a Razeni. (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)
Maia Sandu durante un evento della campagna elettorale per le presidenziali del 2016, a Razeni. (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)

«Quando l’abbiamo letta per la prima volta, abbiamo riso: pensavamo che nessuno ci avrebbe creduto», racconta Maia Sandu negli uffici del suo partito a Chișinău, la capitale della Moldavia. Sandu, 46 anni, è la leader di Azione e Solidarietà (PAS), un partito moldavo europeista e anti-corruzione; sta raccontando la storia di una notizia falsa apparsa su un oscuro blog satirico una settimana prima delle elezioni presidenziali del 2016, a cui era candidata.

Il sito guralumii.net scrisse che, in un incontro privato con la cancelliera tedesca Angela Merkel, Sandu aveva deciso di accogliere 3omila rifugiati siriani nel caso in cui fosse diventata presidente. La notizia venne ripresa nel giro di poco tempo da una serie di siti di news moldavi, accompagnata dalle foto di un colloquio che Sandu e Merkel avevano realmente avuto pochi giorni prima durante un summit del Partito Popolare Europeo a Maastricht, nei Paesi Bassi. Secondo molti giornalisti locali quella notizia falsa contribuì in modo determinante alla sua sconfitta a quelle elezioni presidenziali, arrivata per soli 80mila voti.

Sandu è la leader di una nuova coalizione che vorrebbe rendere la politica moldava più normale e più trasparente: più europea, come ci spiega quando la incontriamo in un anonimo edificio nel centro di Chișinău, che si distingue da quelli a fianco soltanto per una bandiera gialla con il logo del partito. Sandu, che ha studiato a Harvard, ha lavorato alla Banca Mondiale a Washington e ha ricevuto le dichiarazioni di sostegno di Angela Merkel, di Donald Tusk e di Jean-Claude Juncker, proverà a diventare prima ministra della Moldavia alle elezioni politiche del prossimo febbraio, dopo essere arrivata vicina alla presidenza due anni fa. Ma in Moldavia, uno dei paesi più corrotti d’Europa, le opposizioni non hanno vita facile: i partiti come quello di Sandu sono sistematicamente esclusi dal potere per iniziativa delle forze politiche tradizionali.

Maia Sandu, al centro, nella sede di PAS a Chişinău, durante una riunione tra alcuni adolescenti del partito (il Post)

La Moldavia è controllata da anni da due blocchi nominalmente contrapposti, quello filo-russo e quello filo-occidentale, che però lo è soltanto a parole. Da qualche anno, infatti, pur presentandosi come avversarie, le due forze lavorano insieme – talvolta in modo sotterraneo e talvolta in modo più plateale – per spartirsi il potere e lasciare ai margini le nuove opposizioni europeiste guidate da Sandu e dai suoi alleati. Questa collaborazione è resa possibile da un loro sostanziale monopolio dei media, da un diretto coinvolgimento nei principali settori dell’economia e da uno stretto controllo sul sistema giudiziario del paese. E dalla periodica diffusione di notizie false sugli avversari, come quella su Sandu e i migranti siriani.

«La frontiera del mondo libero»
Uno degli stati più poveri in Europa, il meno visitato dai turisti del continente, la Moldavia è stata per secoli contesa tra imperi occidentali e imperi orientali, alternando periodi di maggiore autonomia ad altri in cui fu sotto il controllo ottomano, russo, romeno e poi sovietico, fino all’indipendenza del 1991. Chişinău oggi è una città grigia e austera, dove da un po’ di tempo hanno fatto la loro comparsa fast food e negozi di grandi catene, ma dove non c’è ancora traccia dello sfarzo urbano dei quartieri centrali di altre capitali dell’Europa dell’Est. La maggior parte dei moldavi condivide lingua, cultura e origini con la Romania: in Moldavia esiste un movimento che vorrebbe riunire i due paesi.

Grande poco più di Piemonte e Liguria, la Moldavia è un paese per certi versi trascurato dalle grandi potenze, se confrontato con altri territori di confine ben più strategici. Per questo motivo il titolo di “stato cuscinetto” tra Russia e Occidente è calzante solo fino a un certo punto, per descrivere uno stato così isolato e “di mezzo”; allo stesso tempo sembra fin troppo enfatica la definizione di «frontiera del mondo libero» usata talvolta negli ambienti diplomatici statunitensi. A rendere però la Moldavia un motivo di interesse e preoccupazione geopolitici è la Transnistria, una regione orientale che fa nominalmente parte della Moldavia ma di fatto è un paese autonomo, con una propria moneta e un proprio governo, l’ultimo al mondo ad avere una falce e un martello sulla bandiera.

La statua di Lenin davanti al palazzo del governo di Tiraspol, in Transnistria. (il Post)

La Transnistria è riconosciuta soltanto da Ossezia del Sud e Abcasia, a loro volta ex territori sovietici autoproclamatisi indipendenti che sopravvivono grazie agli aiuti e alla protezione della Russia. È un territorio pieno di paradossi, in cui gli aspetti farseschi convivono con quelli più drammatici, e che sotto certi aspetti assomiglia a una specie di attrazione per turisti ma senza i turisti. I poliziotti che controllano i passaporti al confine sono ragazzi poco più che ventenni armati con mitragliatrici più grandi di loro; e ci sono carri armati decorativi disseminati lungo la strada che conduce a Tiraspol, la capitale. Entrando in città si viene accolti da una gigantesca statua di Lenin, seguita a poche centinaia di metri dagli unici ristoranti sulla strada principale, chiamati “Mafia” e “Casta”. Dentro viene servito di tutto, dal sushi alla pizza, accompagnato da numerosi narghilé, una recente moda nei ristoranti russi.

(il Post)

A Tiraspol campeggia ovunque il simbolo di un distintivo che ricorda l’insegna di una catena di fast food, ma che in realtà assomiglia più al logo di una malvagia multinazionale in un fumetto di supereroi. È quello della Sheriff, una società fondata all’inizio degli anni Novanta da due ex membri del KGB, il servizio segreto sovietico, che oggi in Transnistria controlla una televisione, una compagnia telefonica, la più forte squadra di calcio del paese, una catena di supermercati e molte altre attività. Sheriff è direttamente legata a Obnovlenie, il partito che da 13 anni controlla la maggioranza nel parlamento locale.

In uno scantinato attrezzato a centro culturale, un gruppo di attivisti, avvocati e giornalisti locali ci racconta che i legami di Obnovlenie con il governo della Russia sono talmente sfacciati che, durante le elezioni, i politici russi vengono in Transnistria a fare campagna elettorale spacciandosi come parlamentari locali: anche i sottopancia sulle tv li presentano come tali. E non stupisce più di tanto, considerando che in città a tutte le bandiere locali ne è affiancata una russa, senza che ci sia una giustificazione ufficiale. Quando quelli del posto si riferiscono alla Transnistria come a uno stato, l’interprete moldava che ci accompagna li corregge con severità.

Stemmi sovietici lungo la strada che porta a Tiraspol. (ALEKSEY FILIPPOV/AFP/Getty Images)

I monumenti che ricordano il passato sovietico sono i più fotografati dai rari e avventurosi turisti che si spingono fino a Tiraspol. Ma non sono gli unici in Moldavia: c’è una statua di Lenin anche davanti al palazzo governativo di Comrat, il capoluogo della regione turcofona della Gagauzia, nel sud del paese, che sta lavorando pacificamente per definire una forma di autonomia dal resto dello stato. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan visiterà Comrat il prossimo 18 ottobre, motivo per cui gli operai stanno pavimentando a nuovo lo spiazzo davanti al palazzo al nostro arrivo. La statua rimarrà lì: come in Transnistria, non c’è un vero motivo per buttarla giù. «È la nostra storia», ci ha detto Irina Vlah, governatrice della Gagauzia sostenuta dai Socialisti. «Non combattiamo i monumenti».

La statua di Lenin davanti al palazzo governativo di Comrat. (il Post)

47,89 per cento
Una settimana dopo la diffusione della notizia sui migranti siriani erano previste le elezioni presidenziali del 2016 in Moldavia, le prime in cui il capo di stato è stato eletto direttamente dai cittadini, una riforma che di fatto ha introdotto nel paese un sistema misto in cui il potere è spartito tra il presidente e il primo ministro. Sandu era la seconda candidata nei sondaggi dietro a Igor Dodon, ex ministro dell’Economia ed esponente del Partito Socialista, che da alcuni anni ha preso il posto del Partito Comunista come principale forza filo-russa nel paese.

«La Moldavia è un paese povero: se ci pensi razionalmente, perché i poveri siriani dovrebbero voler venire qui sapendo che lo stato non può dare loro nessuna assistenza?», si domanda Sandu mentre dalla stanza adiacente arrivano le voci di un gruppo di adolescenti militanti del partito che partecipano a un dibattito. Girando la Moldavia nei giorni successivi alla diffusione della notizia falsa, racconta Sandu, lei e il suo staff si resero conto che moltissime persone avevano creduto alla storia dei 30mila siriani. L’Unione Cristiano-Democratica di Germania, il partito di Merkel, dovette diffondere una nota per negare che il colloquio con Sandu avesse trattato l’argomento. Sandu ottenne comunque il 38 per cento dei voti al primo turno, un risultato molto superiore alle aspettative, e pochi giorni dopo accusò direttamente Igor Dodon di avere diffuso la notizia sui migranti siriani.

Un panorama della periferia di Chişinău (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)

Una decina di giorni prima del secondo turno, su un misterioso canale YouTube apparve un video in cui tre studenti siriani annunciavano il loro sostegno per Sandu davanti all’università di Chişinău. Il video venne ripreso da diversi siti finché fu trasmesso da Prime TV, il principale canale televisivo moldavo. Prime TV è controllata da Vlad Plahotniuc, il più potente imprenditore moldavo – tutti lo definiscono “oligarca” – e presidente del Partito Democratico Moldavo (PDM), una forza che si professa europeista, che è teoricamente la principale avversaria dei Socialisti di Dodon e che è stata negli ultimi anni la principale interlocutrice dell’Unione Europea e dell’Occidente in Moldavia.

Secondo i sondaggi il PDM ha un consenso molto basso, e alle ultime elezioni parlamentari, nel 2014, ottenne solo il 12 per cento dei voti. Da allora, però, di fatto ha fagocitato il centrodestra moldavo aggiungendo alle proprie fila – con metodi poco democratici, secondo le opposizioni – i parlamentari degli altri partiti liberali e conservatori. Oggi si divide il potere in Moldavia con i Socialisti: letteralmente, visto che il PDM esprime il primo ministro, Pavel Filip, e i Socialisti il presidente, Igor Dodon, che al secondo turno delle presidenziali prese poi il 52,11 per cento, battendo Sandu per meno di 80mila voti.

Tre giorni dopo la sua elezione, Dodon fece rimuovere la bandiera europea fuori dal palazzo presidenziale.

Un cartellone elettorale del candidato Socialista Igor Dodon per le presidenziali del 2016. (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)

Spartirsi il potere
Sebbene la Moldavia sia talvolta descritta come un cruciale terreno di scontro tra Russia e Occidente, la collocazione geopolitica del paese è da anni uno degli strumenti principali usati dai due blocchi politici principali per mantenere il potere. Le divisioni tra il blocco filo-occidentale del PDM e quello filo-russo dei Socialisti esistono, ma sono state messe da parte in tempi recenti per far fronte comune contro le nuove opposizioni di cui Sandu è la principale esponente. Il risultato è stato una specie di gioco delle parti attraverso il quale i due blocchi hanno mantenuto identità autonome pur lavorando insieme per spartirsi il potere, distogliendo l’attenzione dai problemi più gravi e quotidiani che affliggono il paese.

(EPA/DUMITRU DORU)

Alle elezioni presidenziali del 2016, per esempio, il potente Plahotniuc ritirò il suo candidato per sostenere ufficialmente Sandu, che rifiutò subito l’offerta accusando il leader del PDM di voler screditare la sua candidatura favorendo Dodon. Secondo le opposizioni e diversi analisti, infatti, Plahotniuc sapeva bene che una vittoria dei filo-russi era una migliore garanzia per i suoi interessi, e sfruttò la sua influenza e il suo potere mediatico per favorire la vittoria di Dodon. In questo modo rimase l’unica forza di governo dichiaratamente filo-occidentale, e mantenne così la propria posizione privilegiata nei rapporti con Europa e Stati Uniti. L’anno seguente PDM e Socialisti approvarono insieme una riforma del sistema elettorale che secondo gli esperti rende difficile la vita ai partiti meno radicati sul territorio. La legge è stata criticata anche dagli osservatori internazionali, dall’OSCE e dalla Commissione di Venezia, un organo del Consiglio d’Europa.

Plahotniuc, 52 anni, è considerato da praticamente chiunque l’uomo più potente della Moldavia. Raramente si mostra in pubblico, concede pochissime interviste, non è in Parlamento da tre anni, non ha mai ricoperto incarichi di governo e gode di un bassissimo consenso popolare personale. Attraverso la società Prime Management SRL, però, ha interessi in diversi settori fondamentali dell’economia del paese, dal petrolio alle banche alle catene di hotel, e soprattutto nel mercato dei media e della pubblicità. Di Plahotniuc – il suo soprannome, “Plaha”, in russo indica il ceppo sul quale vengono decapitati i condannati a morte – non si conosce esattamente l’origine della ricchezza e nemmeno la vera nazionalità.

Vladimir Plahotniuc, presidente del PDM, durante un evento elettorale nel 2016. (EPA/DUMITRU DORU)

Negli anni Plahotniuc è stato accusato di molti crimini, compreso il traffico di esseri umani, ma non è mai stato formalmente incriminato. Un suo coinvolgimento nel gigantesco scandalo bancario del 2014 – quando un miliardo di dollari sparì da tre importanti banche moldave con la probabile complicità di diverse persone di potere del paese – è stato sostenuto da molti suoi avversari ma mai dimostrato. Europa e Stati Uniti, non senza qualche imbarazzo, da anni sono comunque obbligati a dialogare con Plahotniuc, in quanto principale leader politico non filo-russo del paese. Almeno fino allo scorso giugno, quando una spericolata manovra politica ha incrinato forse definitivamente i rapporti tra Europa e PDM.

L’annullamento delle elezioni di Chişinău
L’altro leader della coalizione di Sandu è Andrei Năstase, un avvocato 43enne a capo di Dignità e Verità (DA), che lo scorso giugno ha vinto le elezioni a sindaco di Chişinău con il 52 per cento dei voti battendo il candidato dei Socialisti filo-russi. Non incontriamo però Năstase nel municipio, ma in un piccolo ufficio in un’antica casa di pietra appena fuori dal centro di Chişinău. Poche settimane dopo il voto, infatti, un tribunale ha annullato la sua vittoria perché entrambi i candidati avevano violato il silenzio elettorale pubblicando dei contenuti sui propri canali sui social network. Entrambi avevano invitato gli elettori ad andare a votare, nel caso di Năstase con alcuni video in diretta su Facebook.

Andrei Năstase nel suo ufficio, mentre indica la firma di suo fratello Vasile Năstase – giornalista e politico – sulla dichiarazione d’indipendenza moldava del 1991. (il Post)

Năstase parlò subito di decisione politica, ma i suoi ricorsi alla Corte d’Appello e alla Corte Suprema non cambiarono la sentenza. Un articolo del sito di giornalismo investigativo Ziarul de Gardă mostrò come post simili a quelli di Năstase erano stati pubblicati su Facebook senza conseguenze dai principali politici moldavi nelle precedenti elezioni.

«Sono tre i giudici ad aver annullato la decisione», dice Năstase elencandoli per nome. «Uno di loro fu ripreso mentre accettava una tangente anni prima, ma fu mantenuto al suo posto nel sistema giudiziario perché eseguisse ordini politici». Un’altra giudice, sostiene Năstase, «era vicina alla pensione e fu minacciata di essere licenziata in anticipo». «Quando li incontro per strada mi parlano come persone normali, e mi dicono di essere stati costretti ad annullare la decisione anche se non lo volevano». Năstase dà un nome e un cognome al problema della corruzione nel sistema giudiziario: dice che Plahotniuc ha fatto preparare centinaia di dossier segreti sui politici e funzionari moldavi, con il risultato che «tutti i giudici che sono intervenuti nell’annullamento delle elezioni sono vulnerabili e ricattabili».

Una protesta contro l’annullamento delle elezioni comunali a Chişinău. (201EPA/DUMITRU DORU)

La posizione di Năstase può sembrare ai limiti del complottismo, ma l’influenza dei partiti di governo sui tribunali moldavi, oltre a essere denunciata da tempo da giornalisti e osservatori internazionali, è stata confermata anche dal Parlamento Europeo in una risoluzione dello scorso luglio, approvata a larghissima maggioranza proprio in occasione dell’annullamento delle elezioni comunali di Chişinău. «La decisione dei tribunali, che già in molte occasioni sono stati descritti come influenzati e eterodiretti dalla politica, sono un esempio della corruzione sistemica e della profonda crisi delle istituzioni in Moldavia».

Pochi giorni prima, l’Unione Europea aveva deciso di bloccare 100 milioni di euro di aiuti destinati alla Moldavia, come risposta all’annullamento delle elezioni. Sono passati più di quattro mesi dal voto annullato di Chişinău, ma non è ancora stata fissata una data per ripetere le elezioni.

Guardare alla Russia, in mancanza d’altro
Dopo essere stato per anni il principale riferimento dell’Unione Europea in Moldavia, il PDM si è ritrovato a dover fare i conti con un’avversaria – Sandu – che è europeista non soltanto negli slogan, e che per questo sta trovando sempre più appoggi in Occidente. In vista delle prossime elezioni, quindi, il PDM sta provando a cambiare la retorica intorno al proprio partito in senso nazionalista: da pro-Europa a pro-Moldavia.

È una mossa rischiosa, perché in Moldavia è da sempre difficile rispondere alla domanda su cosa voglia dire essere moldavi. Questo problema di identità nazionale è del resto il principale motivo del successo dei partiti filo-russi, che offrono un’alternativa per molti più concreta e rassicurante rispetto a quella proposta dalle forze che vorrebbero spostare la Moldavia verso l’Europa. Quello degli europeisti è stato un fronte che negli ultimi anni, per la sovrapposizione tra i partiti dell’establishment di centrodestra e i nuovi movimenti anti-corruzione, è apparso come confuso e disorganico, con le sue personalità e i suoi partiti radicalmente diversi.

Una manifestazione organizzata dopo le presidenziali del 2016, per denunciare presunti brogli. (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)

I Socialisti hanno costruito il proprio consenso su quella porzione maggioritaria di popolazione che guarda alla Russia in assenza di altre prospettive per la Moldavia. In un paese in cui l’emigrazione è a livelli straordinari – si stima interessi quasi un milione di persone, su una popolazione di meno di 3,5 milioni di abitanti – gli elettori sono perlopiù anziani e occupati nell’agricoltura. Sono un bacino elettorale che in buona parte non ha visto migliorare le proprie condizioni di vita dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e che guarda alla Russia in mancanza di alternative credibili, o anche solo chiare, oppure per nostalgia. Le istanze europeiste sono uscite molto indebolite dallo scandalo bancario del 2014, che ha riguardato principalmente i partiti filo-occidentali e per cui è stato condannato l’ex primo ministro Vlad Filiat, principale avversario di Plahotniuc nel blocco dell’establishement filo-occidentale. Tra il 2012 e il 2015, Sandu fu ministra dell’Istruzione nel governo di Filiat.

Il presidente russo Vladimir Putin insieme a quello moldavo Igor Dodon, durante la parata per il Giorno della Vittoria a Mosca il 9 maggio 2017. (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)

In tutto questo la Chiesa ortodossa moldava risponde a quella russa, e non a quella romena, ed è stata un importante strumento di influenza politica in uno stato fortemente religioso come la Moldavia. Durante la campagna elettorale del 2016, Sandu fu molto attaccata per essere una donna non sposata, condizione giudicata da molti inadatta a un personaggio politico. Su diversi siti vennero fatte insinuazioni sul suo orientamento sessuale e sulla sua presunta vicinanza alla comunità LGBT. Il giorno delle elezioni, racconta Sandu, «in molti posti del paese i preti hanno detto di non votare per me durante le messe, a cui i fedeli spesso vanno prima di andare al seggio».

L’influenza russa si manifesta estesamente anche nei media, e non solo nelle bufale online diffuse da siti dalla provenienza misteriosa: le televisioni moldave, a partire da quelle di Plahotniuc, trasmettono in continuazione programmi russi, che acquistano a prezzi risibili e che sono estremamente popolari. Una recente legge ha proibito di trasmettere talk show politici russi, che si ritiene abbiano favorito significativamente i Socialisti alle ultime elezioni, ma i programmi di intrattenimento e i film russi sono ancora in onda e sono generalmente più apprezzati di quelli moldavi o romeni, perché risultato di produzioni molto più costose e di qualità.

Né le regole europee, né quelle russe
Questo contesto rende difficile per le opposizioni spiegare le ragioni di un avvicinamento all’Europa. Per questo Sandu sostiene che si debba insistere su un modello di governo più che su una bandiera: «Quando sali al potere, e cominci a governare in modo europeo, è allora che puoi convincere le persone che ancora guardano alla Russia a sostenere il percorso europeista della Moldavia».

Un soldato cammina davanti al memoriale per i caduti della Seconda guerra mondiale a Chişinău. (DANIEL MIHAILESCU/AFP/Getty Images)

Mantenere la Moldavia in rapporti con Europa e Russia, e allo stesso tempo non entrare davvero in nessuna delle due orbite, è una condizione vantaggiosa per chi ha interesse a sfruttare il paese come un feudo personale in cui fare impunemente molte cose che altrove sarebbero punite. «È una zona grigia», dice Sandu, «e i politici corrotti vogliono tenerla così, perché in una zona grigia possono fare quello che vogliono: possono imporre le loro regole, possono cancellare le elezioni, possono continuare a rubare, possono continuare a riciclare denaro come negli ultimi sei anni».

Che Moldavia sarà
È difficile fare previsioni sulle elezioni di febbraio, soprattutto per via del complesso sistema elettorale della Moldavia. I pochi e non troppo affidabili sondaggi disponibili danno i Socialisti filo-russi (il partito di Dodon) al primo posto per distacco, intorno al 35 per cento, con PAS (il partito di Sandu), DA (il partito di Năstase) e PDM (il partito di Plahotniuc) tra il 10 e il 15 per cento. I risultati percentuali potrebbero però non rispecchiare la definitiva composizione del Parlamento, visto che i partiti di governo partono favoriti nei collegi uninominali, attraverso i quali si assegnano metà dei seggi.

Sandu e Nastase durante un comizio a Chisinau, nell’agosto del 2018. (EPA/DUMITRU DORU)

L’alleanza sotterranea tra Dodon e Plahotniuc, credono in molti, potrebbe essere ufficializzata con un accordo di governo in nome del mantenimento del potere, che da una parte chiarirebbe definitivamente l’equivoco che vede il PDM come partito europeista, e dall’altro sposterebbe ulteriormente l’equilibrio politico moldavo verso la Russia. Per la coalizione di PAS e DA, la maggioranza sembra ancora lontana.

Sarà una campagna elettorale in cui faranno notizia soprattutto le discussioni sulla collocazione della Moldavia nello scontro tra Russia e Occidente e c’è il rischio, in tutto questo, che almeno all’estero venga trascurato l’elefante nella stanza, che comincia dentro il paese e non fuori. Il costante flusso migratorio che porta i moldavi in Russia, Italia, Ucraina, Romania o Spagna è tra le principali cause – se non la principale causa – della disastrata politica moldava, e allo stesso tempo ne è diretta conseguenza.

È un circolo vizioso: il mantenimento dello status quo politico peggiora le condizioni del paese e quindi anche il problema dell’emigrazione, e l’espatrio dei moldavi più giovani e istruiti indebolisce significativamente la società civile, quella che potrebbe spingere la classe dirigente moldava a fare le riforme necessarie per trasformare la Moldavia in un paese normale, lasciando ai partiti di potere la contesa di un elettorato anziano, conservatore, impaurito e poco istruito. A fine settembre il governo moldavo ha respinto una proposta di legge che avrebbe facilitato il voto dei moldavi all’estero estendendo a due giorni l’apertura dei seggi nelle ambasciate e nei consolati.

Oggi la Moldavia è uno dei paesi al mondo che si sta spopolando più rapidamente (secondo alcuni, il più veloce). Sandu sembra preoccupata soprattutto che altri quattro anni di una legislatura controllata dai partiti dell’establishment posticipi troppo in là il momento in cui la politica moldava si occuperà concretamente di come contenere l’emigrazione. «La gente se ne sta andando perché non vede un futuro, qui. Stiamo rimanendo senza persone».