La strana intervista a Saad Hariri
Il primo ministro libanese dimissionario e "ostaggio" dell'Arabia Saudita ha detto – in un contesto davvero bizzarro – che forse non si dimette e che di sicuro non è prigioniero
Ieri Saad Hariri, il primo ministro libanese dimissionario che da giorni si trova in Arabia Saudita dove secondo alcuni è tenuto in “ostaggio”, ha dato un’intervista all’emittente televisiva del suo partito “Futuro”. Nell’intervista, che è stata trasmessa in diretta (o forse in leggera differita), Hariri ha detto che l’annuncio a sorpresa delle sue dimissioni, fatto sabato 3 novembre dall’Arabia Saudita, non è definitivo e la sua decisione può ancora essere ritirata. Hariri ha detto che intende tornare in Libano entro pochi giorni e che non è prigioniero in Arabia Saudita, ma è libero di muoversi e di parlare con chi preferisce. L’obiettivo delle sue dimissioni, ha spiegato, era dare una scossa al sistema politico libanese ed evitare che il paese venisse trascinato in una guerra regionale.
Hariri era partito a sorpresa per Riyad, in Arabia Saudita, venerdì scorso, dopo essere stato convocato dalla famiglia reale saudita. Non era la prima volta che succedeva: Hariri è un alleato dei sauditi e molto del suo capitale politico dipende dal loro appoggio, in un evidente squilibrio di forze. Spesso, in passato, Hariri ha fatto viaggi improvvisi in Arabia Saudita per incontrare re Salman o altri membri della famiglia reale. Secondo numerose fonti vicine al primo ministro libanese, al suo arrivo alcuni funzionari sauditi gli avrebbero confiscato immediatamente il cellulare e lo avrebbero messo agli “arresti domiciliari” nella sua casa di lusso a Riyad (la famiglia di Hariri ha diverse proprietà in Arabia Saudita).
Sabato mattina Hariri avrebbe ricevuto una chiamata che fissava un incontro con Mohammed bin Salman, erede al trono saudita e il politico oggi più potente di tutto il paese. Quattro ore dopo la televisione saudita trasmetteva l’annuncio delle dimissioni di Hariri. Lo stesso giorno il governo saudita annunciava l’arresto di decine di funzionari, ex ministri e imprenditori per corruzione, una manovra che molti analisti hanno legato alle ambizioni politiche del principe ereditario Mohammed bin Salman.
Nei giorni precedenti l’intervista, Hariri ha incontrato diversi ambasciatori che si trovano a Riyad, assicurando loro di non trovarsi prigioniero. L’intervista andata in onda ieri avrebbe dovuto dissipare gli ultimi dubbi, ma ha finito con il rendere l’intera faccenda ancora più bizzarra. Hariri è apparso stanco, provato e in alcuni momenti confuso. In molti hanno notato che continuava a guardare in alto a destra rispetto alla sua intervistatrice. Durante l’intervista si è visto un uomo, in piedi, con un foglio di carta arrotolato in mano, nel punto in cui Hariri sembrava guardare.
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L’intervista è stata lunga e difficile. L’intervistatrice, Paula Yacoubian, lo ha incalzato per più di un’ora, al termine della quale Hariri ha chiesto di interrompere le domande perché l’intervista, ha detto, lo aveva “spossato”. Yacoubian si è sforzata per tutto il tempo di mostrare che l’intervista era in diretta. Ha letto alcuni messaggi inviati dagli spettatori, ha mostrato l’ora dal suo telefonino, ha letto una dichiarazione del ministero degli Esteri britannico uscita in quei minuti e dato la notizia di una scossa di terremoto nel nord dell’Iraq (anche se questi comportamenti dimostrano che l’intervista era in diretta, non escludono che potesse essere mandata in differita di alcuni minuti, abbastanza per bloccare la trasmissione in caso di imprevisti).
Un altro particolare importante è che se si trattava di un’intervista preparata, non è stata preparata con molta attenzione. Hariri è apparso incerto e affaticato e Yacoubian lo ha incalzato con domande molto scomode. Per esempio gli ha domandato come mai in Arabia Saudita sia avvenuta un’ondata di arresti nei confronti di membri della famiglia reale e altri funzionari (Hariri ha detto di non voler parlare di affari interni dell’Arabia Saudita). Yacoubian ha chiesto anche se l’Arabia Saudita non abbia sul Libano la stessa influenza dannosa che ha l’Iran (la potenza regionale che appoggia Hezbollah, un movimento libanese rivale di Hariri, ma con cui il primo ministro è costretto a governare). Il punto centrale dell’intervista è stata la promessa da parte di Hariri di continuare a collaborare con Hezbollah se l’organizzazione deporrà le armi e smetterà di essere coinvolta nei conflitti in corso nella regione (miliziani di Hezbollah si trovano in Siria e, secondo l’Arabia Saudita, in Yemen). Iran e Arabia Saudita sono da tempo rivali nella regione, dove appoggiano e finanziano partiti politici e milizie locali per portare avanti i propri obiettivi.
Non è chiaro quale sia la strategia dei sauditi, che sono considerati da tutti i principali attori dell’attuale crisi. Secondo molti, i sauditi hanno obbligato Hariri a dimettersi nella speranza di sostituirlo con un altro membro del suo partito, forse un altro membro della sua famiglia, che adottasse una linea più dura nei confronti di Hezbollah, con cui Hariri è sempre stato piuttosto conciliante. Il loro piano, però, non sembra aver avuto pieno successo, e ora sembrano aver fatto un passo indietro, consentendo ad Hariri di esprimersi in toni molto più morbidi nel corso dell’intervista e aprendo alla possibilità che le sue dimissioni possano non essere definitive. In Libano c’è stata una forte reazione al viaggio di Hariri e all’annuncio delle sue dimissioni. Il presidente Michel Aoun, più vicino ad Hezbollah, si è rifiutato di riconoscere le dimissioni di Hariri e ha chiesto il suo immediato rientro in Libano. Cinque televisioni si sono rifiutate di trasmettere l’intervista andata in onda domenica, mentre per le strade delle principali città libanesi e sui social network sono comparse decine di messaggi che chiedono il ritorno in patria del primo ministro.