C’è un’emergenza umanitaria a Manus, in Papua Nuova Guinea
È un'isola che fino a martedì ospitava un centro australiano di detenzione per migranti, che ora si sono ribellati e l'hanno occupato
Secondo le Nazioni Unite a Manus, un’isola della Papua Nuova Guinea, è in corso una «emergenza umanitaria» in un ex centro di detenzione per richiedenti asilo dell’Australia che è stato chiuso il 31 ottobre. I circa 600 migranti che ci vivevano, tutti uomini, hanno occupato la struttura, benché priva di cibo, elettricità e acqua corrente, e rifiutano di essere trasferiti in altri alloggi nella vicina città di Lorengau come previsto. Temono infatti di essere attaccati dagli abitanti di Lorengau, come è già successo in passato. Si sono barricati dentro il centro di detenzione, che ora è circondato dalla polizia, hanno scavato dei pozzi per bere e usano l’energia solare per ricaricare i propri telefoni cellulari.
Il centro di detenzione sull’isola di Manus, che si trova a nord-est dell’isola di Nuova Guinea, è stato usato dall’Australia a partire dal 2012 grazie a un accordo con il governo della Papua Nuova Guinea. Il governo australiano aveva deciso di far risiedere i migranti soccorsi in mare su isole appartenenti ad altri paesi – anche a Nauru, uno stato indipendente, oltre che a Manus – con lo scopo di dissuadere i migranti dal cercare di raggiungere l’Australia, con una pratica molto contestata a livello internazionale, perché prevede il respingimento di tutti i migranti che provano a raggiungere l’isola. Nell’aprile del 2016 però la Corte Suprema del paese ordinò la chiusura del centro di Manus dopo aver stabilito che le condizioni di detenzione nel centro erano incostituzionali; l’Australia aveva infine deciso di chiuderlo alcuni mesi dopo per via delle numerose accuse di violazioni dei diritti umani.
Gli uomini che si trovano tuttora nel centro di detenzione provengono soprattutto dal Medio Oriente e dai paesi del sud-est asiatico. La maggior parte di loro ha fatto una richiesta di asilo, che in molti è stata approvata dagli Stati Uniti: aspettano di essere ricollocati là, dove una cinquantina di uomini è già stata spostata a settembre grazie a un accordo negoziato dall’ex presidente Barack Obama. Circa 200 richieste di asilo invece sono state rifiutate, lasciando gli uomini che le hanno avanzate in una situazione legale poco chiara.
A tutti gli uomini nel centro è stata offerta la possibilità di chiedere un permesso di soggiorno permanente in Papua Nuova Guinea o di essere ricollocati a Nauru (nell’altro centro di detenzione australiano) o in Cambogia, ma nessuno di loro ha accettato queste proposte, secondo quanto riportato dai giornali.
Negli ultimi giorni le condizioni degli uomini all’interno del centro di detenzione sono molto peggiorate. Uno di loro, il giornalista curdo Behrouz Boochani, ha scritto su Facebook e in un articolo pubblicato sul Guardian che alcuni uomini stanno soffrendo di disidratazione e fame: «Non è uno sciopero della fame. È una situazione creata dal governo dell’Australia, riducendo le persone alla fame e in condizioni tremende rifiutandosi di offrire un posto sicuro per ricollocarle». Venerdì uno dei richiedenti asilo del centro, Imran Mohammad, ha detto in un sms che tre uomini malati di diabete stanno male perché non hanno più scorte di insulina.
Il governo dell’Australia e quello della Papua Nuova Guinea si stanno incolpando a vicenda per la situazione: ognuno dice che spetta all’altro occuparsi della ricollocazione dei migranti fino a quando non sarà trovata una soluzione permanente. Secondo Nat Jit Lam, il rappresentante regionale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), è l’Australia a essere responsabile del benessere delle persone che si trovano nel centro di detenzione. Dice anche che gli alloggi temporanei a Lorengau non sono adeguati e sicuri per loro. L’Australia ha promesso 250 milioni di dollari australiani – l’equivalente di 165 milioni di euro – per il mantenimento degli uomini a Lorengau per il prossimo anno, e ha detto più volte che non accetterà di accoglierli sul proprio territorio.
Questa settimana la nuova prima ministra della Nuova Zelanda Jacinda Ardern ha detto che rispetterà l’impegno del suo predecessore ad accogliere 150 richiedenti asilo. Finora il governo dell’Australia ha cercato di evitare che gli uomini fossero accolti dalla Nuova Zelanda per paura che poi dà lì potessero spostarsi legalmente in Australia. Non tutti nel paese sono d’accordo con la restrittiva politica sull’immigrazione del governo: diverse proteste sono state organizzate nel tempo per la chiusura dei centri di Nauru e Manus. Oggi a Sydney ce n’è stata una per chiedere al governo di risolvere i problemi dei migranti di Manus. Tra gli australiani contrari alle politiche del governo c’è anche l’attore Russel Crowe, che su Twitter ha definito la situazione a Manus una «vergogna nazionale» e si è offerto di dare lavoro a sei degli uomini che si trovano ancora nel centro di detenzione.
I've thought about this . I believe I could house and find jobs for 6. I'm sure there'd be other Australians who would do the same
— Russell Crowe (@russellcrowe) November 1, 2017