Breve ripasso sulla legge elettorale
Per ricordare dov'eravamo rimasti e cosa succederà, ora che mancano sei mesi alle elezioni
Il prossimo marzo, l’attuale legislatura arriverà al suo termine e in Italia bisognerà convocare nuove elezioni. Mancano appena sei mesi, ma non è ancora chiaro come esattamente andremo a votare: dopo l’ultimo tentativo fallito di cambiare le due leggi elettorali attualmente in vigore in Italia – entrambe frutto di sentenze della Corte Costituzionale – sul tema è sceso un lungo e imbarazzato silenzio da parte di quasi tutte le forze politiche. Cerchiamo di capire a che punto eravamo arrivati e quali sono le prospettive per il futuro.
Facciamo che si vota domani
Le due leggi elettorali che sono in vigore a Camera e Senato sono due leggi proporzionali con diverse soglie di sbarramento. Significa, in pratica, che ogni partito eleggerà un numero di parlamentari proporzionale al numero di voti che raccoglie. Visto che secondo i sondaggi nessun partito da solo si avvicina al circa 50 per cento di voti che sono necessari per formare una maggioranza in entrambe le camere, per governare sarà necessaria un’alleanza di più partiti. Secondo i sondaggi, che vanno presi con molta cautela visto che mancano sei mesi alle elezioni, i due partiti principali sono PD e Movimento 5 Stelle, ognuno con circa il 30 per cento dei voti. Forza Italia e Lega Nord hanno ciascuno circa il 15 per cento dei voti, mentre il restante dieci per cento dei voti è distribuito tra le altre formazioni più piccole che forse non riusciranno a superare la soglia di sbarramento.
L’attuale legge elettorale, spiegata bene
Se siete degli impallinati di politica questa spiegazione probabilmente non vi sarà sufficiente, quindi vediamo un po’ più nel dettaglio come funziona il sistema in vigore oggi (se questi dettagli non vi appassionano potete saltare al prossimo paragrafo).
Alla Camera è in vigore una versione modificata dell’Italicum, la legge elettorale approvata nel 2016. Si tratta di una legge proporzionale con una soglia di sbarramento al 3 per cento. La lista che raggiunge almeno il 40 per cento dei voti ha diritto a un premio di maggioranza che la porta ad avere il 55 per cento dei seggi. Sono previste le preferenze, ma i capilista sono bloccati. Significa che sulla scheda l’elettore troverà il simbolo di un partito con accanto una lista di nomi di candidati. Il primo della lista, il capolista bloccato, sarà in ogni caso il primo ad essere eletto per quel partito mentre si potrà esprimere una preferenza sugli altri nomi della lista. Se in quel collegio un determinato partito eleggerà più di un parlamentare, saranno eletti quelli che hanno ottenuto più preferenze. L’elettore potrà esprimere fino a due preferenze, una per una femmina e una per un maschio.
Al Senato è in vigore una versione modificata del cosiddetto Porcellum, la legge elettorale approvata nel 2006 dal governo Berlusconi e giudicata incostituzionale nel 2013. È una legge proporzionale con una soglia di sbarramento variabile: 3 per cento per i partiti all’interno di coalizioni, 8 per cento per quelli che corrono da soli. La soglia di sbarramento per le intere coalizioni è del 20 per cento. Sono previste le preferenze, senza capilista bloccati: l’elettore potrà scegliere liberamente a quale candidato nella lista del suo collegio dare il voto. Al Senato non sono previste preferenze di genere.
Perché tutti dicono che è un problema?
In breve: le due leggi elettorali attualmente in vigore sono molto diverse. Una prevede le coalizioni, l’altra no, una ha i capilista bloccati, l’altra no, una ha soglie di sbarramento variabili, l’altra ne ha una fissa al tre per cento. Significa che le elezioni potrebbero produrre maggioranze diverse nelle due camere. Per questo si sentono spesso politici e figure istituzionali, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlare della necessità di “armonizzare” le due leggi elettorali, cioè uniformarle negli aspetti più palesemente incoerenti (ad esempio le soglie di sbarramento e la possibilità di fare coalizioni). Ma si farà?
Chi vuole cambiare la legge elettorale
Il problema principale nell’armonizzare o nel cambiare le leggi elettorali è che ogni forza politica ha in mente la sua legge elettorale ideale, quella che favorisce di più la sua strategia, e non si riesce a trovare un modello che accontenti tutti. In realtà, per molti partiti, sembrano essere più le ragioni per mantenere l’attuale sistema che per introdurne uno nuovo.
Il segretario del PD Matteo Renzi, ad esempio, sembra tutto sommato soddisfatto dell’attuale legge elettorale. Una legge proporzionale di questo tipo costringe tutte le principali forze politiche a presentarsi da sole alle elezioni. Forza Italia e Lega Nord resteranno divise, quindi difficilmente saranno una minaccia per il PD, che a sua volta correrà da solo, senza doversi allearsi con le forze di sinistra che per la loro collaborazione potrebbero chiedere prezzi che Renzi non è disposto a pagare. La speranza del segretario del PD è quella di arrivare al 40 per cento dei voti alla Camera, in modo da ottenere il premio di maggioranza, e quindi trovare al Senato i numeri per governare (lo stesso scenario a cui assistiamo dal 2013, insomma). Oppure, se non arrivasse al 40 per cento, potrebbe comunque sperare in un governo di coalizione con Forza Italia, se Berlusconi ottenesse voti sufficienti a garantirgli una maggioranza.
Forza Italia è in una situazione non molto diversa. L’attuale legge permette a Berlusconi di correre da solo, senza imbarcare Lega Nord e altri partiti estremisti nella sua coalizione. In questo modo può massimizzare il suo appeal tra i moderati e, magari, ottenere un numero sufficiente di parlamentari da diventare l’ago della bilancia per la formazione del nuovo governo.
La minoranza del PD guidata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, Campo Progressista di Giuliano Pisapia e le forze della sinistra radicale vorrebbero invece una nuova legge elettorale che renda di fatto obbligatorie le coalizioni. In questo modo sperano di costringere Renzi a formare una larga alleanza di centrosinistra, magari costringendolo a primarie di coalizione per scegliere il candidato presidente del Consiglio.
Come alla minoranza PD anche alla Lega Nord converrebbe una legge elettorale che incentivi le coalizioni. In questo modo, Forza Italia sarebbe costretta ad allearsi con loro e Salvini potrebbe tentare di scalare l’intera coalizione e diventarne il leader. Questo scenario sembra essere uno dei pochi in cui Salvini avrebbe realisticamente qualche possibilità di arrivare al governo. Ma anche l’attuale sistema non è del tutto dannoso per Salvini. Dopotutto, la Lega ha ottenuto i suoi migliori risultati alle elezioni politiche quando ha corso da sola, come fece nel 1996, quando non si legò ad alleanze con forze di centrodestra.
In teoria anche il Movimento 5 Stelle avrebbe convenienza a cambiare la legge elettorale. A meno di grandi sorprese, infatti, l’unico modo che avranno di andare al governo è grazie a un cospicuo premio di maggioranza o a un altro meccanismo che permetta di avere molti più seggi in proporzione ai voti (come il sistema maggioritario ad esempio). Non sembra però che il Movimento sia intenzionato a percorrere seriamente questa strada. Quando ha avuto l’occasione di sostenere una legge di questo tipo portata avanti da PD e Forza Italia, i suoi deputati l’hanno fatta fallire.