Gli uragani sono diventati più forti a causa del riscaldamento globale?
È ancora difficile dirlo, ma ci sono prove scientifiche consistenti sul rapporto tra cambiamento climatico e tempeste sempre più intense e devastanti
L’estensione e la grande quantità di danni causati, nei Caraibi e in Florida, nella stagione degli uragani portano molti a chiedersi se ci sia un legame tra eventi atmosferici così estremi e il riscaldamento globale. Il dibattito tra gli scienziati su questo aspetto del cambiamento climatico prosegue ormai da anni e, benché non sia ancora arrivato a una risposta definitiva, ha prodotto numerosi studi scientifici che hanno identificato indizi e probabili legami. Sappiamo che l’aumento del livello del mare, dovuto al riscaldamento globale, rende più probabili le inondazioni nelle aree costiere sulle rotte degli uragani, per esempio, e che c’è un rapporto tra l’aumento della temperatura e la forza delle tempeste che si formano nel Golfo del Messico. Sulla base dei dati raccolti in questi anni, i ricercatori concordano anche sul fatto che nei prossimi anni gli uragani saranno ancora più potenti.
Il Geophysical Fluid Dynamics Laboratory (GFDL), una divisione della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia degli Stati Uniti che si occupa principalmente di meteorologia, ha di recente aggiornato una delle revisioni più complete e articolate sugli studi pubblicati finora sul rapporto tra uragani e riscaldamento globale. Nel documento sono elencate quattro conclusioni principali, che contribuiscono a mettere un po’ d’ordine.
1. È prematuro affermare che le attività umane – in particolare le emissioni di anidride carbonica (CO2, uno dei gas serra più nocivi) – che causano il riscaldamento globale abbiano già avuto un impatto rilevabile sugli uragani che si formano nell’Atlantico, e più in generale sui meccanismi dei cicloni. Le ricerche indicano però che probabilmente l’attività umana ha già portato a cambiamenti, che però non siamo ancora in grado di rilevare sia per la loro portata contenuta sia per i limiti tecnici nell’analizzarli.
2. Il riscaldamento antropogenico (cioè dovuto all’attività dell’uomo) porterà a cicloni tropicali (uragani, tifoni, tempeste tropicali) in media più intensi del 2 – 11 per cento a seconda dei modelli di previsione. Ipotizzando che le dimensioni delle tempeste non si riducano, e non ci sono elementi che lo suggeriscano, il potenziale distruttivo sarà quindi molto più alto.
3. Ci sono più probabilità che il riscaldamento antropogenico nel prossimo secolo porti a un aumento nel numero di cicloni tropicali molto intensi, anche nel caso in cui il numero di tempeste in generale si riduca.
4. Entro la fine di questo secolo, il riscaldamento antropogenico sarà la causa di cicloni tropicali con piogge più copiose rispetto agli attuali, con un aumento delle precipitazioni del 10 – 15 per cento entro 100 chilometri dal centro della tempesta.
Ci sono poi eventi già verificati o in corso che forniscono elementi ancora più concreti. È ormai provato che il livello dei mari sta aumentando a causa del riscaldamento globale: questo incide notevolmente nel caso di piogge forti e intense – come quelle portate dagli uragani – che causano le alluvioni lungo le coste. È successo con Harvey e Irma nel 2017, due uragani molto intensi. Poche decine di centimetri in più nel livello dei mari sono sufficienti per causare l’allagamento di porzioni di territorio molto più ampie, con conseguenti danni economici e rischi per la popolazione.
Gli studi citati dal GFDL rilevano inoltre che le tempeste più intense stanno diventando ancora più forti negli ultimi anni. Per quanto riguarda la forza dei venti, è stato per esempio calcolato che a ogni grado di aumento della temperatura media dovuto al riscaldamento globale i venti si rafforzano di circa 8 chilometri orari. I cicloni tropicali con venti più forti mai registrati si sono verificati negli ultimi due anni, a conferma dell’andamento indicato dalle ricerche. Venti più forti fanno aumentare il rischio di danni a edifici e alberi, portano alla produzione di un maggior numero di detriti che possono ostacolare il deflusso delle acque e rendono ancora più pericolose le aree costiere durante le tempeste.
Negli ultimi anni i meteorologi hanno osservato, nella pratica, conferme ai fenomeni previsti dai modelli matematici sull’andamento del clima. Uragani di grandi dimensioni come Harvey e Irma portano venti molto forti al suolo, ma essendo così estesi impiegano comunque giorni prima di sorvolare un’intera area geografica: il lento passaggio fa sì che le piogge restino intense e battenti per lunghi periodi a livello locale. Il lento movimento di queste tempeste negli ultimi anni è stato acuito dai cambiamenti climatici dovuti all’attività dell’uomo, che hanno portato alla creazione di nuove aree di alta pressione e di correnti, che incidono sulla velocità dei sistemi nuvolosi.
Su Scientific American, il docente di scienze dell’atmosfera Michael E. Mann (Pennsylvania State University, Stati Uniti) spiega che un secondo approccio, molto importante, per valutare gli effetti dell’attività dell’uomo sul clima e gli uragani dipende dal confronto di diversi scenari “con e senza l’impatto dei gas serra prodotti dalle attività umane, in modo da identificare un andamento” e capirne la causa. Mann fa l’esempio di un giocatore di baseball che grazie agli steroidi riesce ad aumentare il suo numero di home run: benché non si possa dire con certezza quali home run siano merito degli steroidi, sappiamo comunque che c’è stato un aumento della probabilità di farne. La stessa cosa avviene più o meno con gli uragani: gli steroidi sono l’aumento dell’anidride carbonica e il giocatore di baseball sono le tempeste.
Per capire se ci sia qualcosa che sta andando storto e in che misura, i climatologi considerano due versioni del mondo: uno è quello reale con l’aumento della CO2 e la temperatura media globale che sta aumentando, l’altro è una simulazione su come andrebbero le cose senza gli attuali livelli di gas serra fuori scala. Alcuni studi valutano i cambiamenti delle probabilità che si verifichi un dato evento, altri si occupano di come può cambiare l’intensità di dati eventi atmosferici, da qui la difficoltà a confrontare tra loro gli studi e farsi un’idea più chiara.
Le quattro conclusioni del GFDL sono basate sulla letteratura scientifica a oggi disponibile e sono un buon punto di riferimento per dire che gli effetti del riscaldamento globale hanno conseguenze anche sugli uragani. Come è naturale nell’ambito della ricerca, ci sono studi ancora dibattuti e messi alla prova da altre analisi. Saranno quindi necessari anni prima di avere risposte definitive, ma questo non significa che le prove raccolte finora debbano essere sottovalutate o che si debbano rinviare le soluzioni da attuare per ridurre le emissioni di CO2 e di conseguenza gli effetti del riscaldamento globale.