Il Canada comincia ad avere qualche problema con i migranti
Negli ultimi mesi Justin Trudeau è stato accusato sia da destra che da sinistra di non aver dato seguito alla proprie promesse di accoglienza e di aver messo in crisi il sistema
Il primo ministro del Canada Justin Trudeau, che aveva criticato fin dall’inizio e con forza il presidente degli Stati Uniti Donald Trump in materia di immigrazione ed espulsione e che ha dimostrato su questo tema posizioni invece molto aperte ed accoglienti, è stato costretto a ridimensionare il proprio messaggio a causa di alcuni recenti problemi nel sistema di richiesta di asilo del paese e di alcune conseguenti critiche che gli sono state rivolte dalle opposizioni.
Lo scorso gennaio, subito dopo la firma del presidente degli Stati Uniti del “travel ban” per limitare l’accesso negli Stati Uniti ai cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana e ai rifugiati, Trudeau aveva pubblicato un tweet che diceva: «A tutti coloro che scappano dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra, il Canada vi darà il benvenuto, indipendentemente dalla vostra fede. La diversità è la nostra forza. #WelcomeToCanada». Ogni anno le persone che chiedono asilo politico in Canada sono circa 26 mila, ma negli ultimi mesi è molto aumentato il numero di chi lo chiede provenendo dagli Stati Uniti, a seguito delle minacce e delle misure approvate da Trump relative all’inasprimento delle regole delle espulsioni degli immigrati illegali e degli stranieri privi di documenti che vivono negli Stati Uniti. Dall’inizio dell’anno si stima che più di 11.300 persone abbiano attraversato a piedi il confine tra il Canada e gli Stati Uniti e che gli arrivi siano aumentati nelle ultime settimane, con una media di circa 250 persone al giorno che spesso superano il confine in località remote e non custodite. Cioè non passando regolarmente dai punti di frontiera.
Nei giorni scorsi una rappresentante dell’opposizione, la conservatrice Michelle Rempel, che è ministra ombra del Canada alle politiche per l’immigrazione, ha accusato Trudeau di «dare false speranze alle persone che attraversano il confine» tra Stati Uniti e Canada e di aver messo in crisi, attraverso i suoi messaggi di apertura molto espliciti, il sistema di accoglienza che non riesce a sostenere, con tempi e con sistemi logistici adeguati, l’aumento degli arrivi degli ultimi mesi. Lo stadio olimpico di Montreal, in Québec, è stato trasformato in un centro di accoglienza temporaneo e attualmente ospita centinaia di migranti; con l’aiuto dei militari in Ontario, vicino al confine, è in allestimento un campo per 500 persone, ma tutti questi interventi potrebbero non essere sufficienti in previsione di quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi.
Nelle ultime settimane circa l’85 per cento di coloro che hanno attraversato il Canada è di nazionalità haitiana: dopo il terremoto del 2010 negli Stati Uniti sono arrivate circa 58 mila persone da Haiti. Lo status di protezione temporanea concesso loro scadrà però a gennaio del prossimo anno e se l’amministrazione di Trump decidesse di non prorogarlo il Canada potrebbe trovarsi a dover affrontare una nuova ondata di arrivi molto consistente.
Di fronte all’attuale situazione e a queste prospettive future, Trudeau ha dunque deciso di ammorbidire le proprie posizioni, almeno per quanto riguarda gli arrivi irregolari. Il primo ministro canadese ha infatti dichiarato che «La nostra è una società aperta e accogliente perché i canadesi hanno fiducia nel nostro sistema di immigrazione e nelle nostre leggi» ma ha anche aggiunto che non ci sarà «alcun vantaggio nell’entrare in Canada in modo irregolare. Dovete seguire le regole, e ce ne sono molte».
Diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Amensty International, e alcuni partiti di sinistra all’opposizione, hanno però a loro volta criticato le dichiarazioni di Trudeau, giudicandole fuorvianti. Al primo ministro chiedono infatti da tempo, per rendere effettive le sue promesse e per permettere una piena e reale accoglienza dei profughi, di sospendere l’accordo bilaterale firmato nel 2004 tra Canada e Stati Uniti. Il Safe third country agreement (Stca) impedisce di fatto al Canada di accogliere nel paese i rifugiati che provengono dagli Stati Uniti: stabilisce infatti che di regola sia competente a esaminare la domanda di asilo, fra i due paesi, quello di “last presence” del richiedente con la conseguenza che se una persona è entrata prima negli Stati Uniti non potrà vedere accolta la propria domanda in Canada venendo dunque immediatamente respinto. Questo espone i profughi a tentare di attraversare illegalmente il confine correndo molti pericoli. Trudeau ha però fatto sapere di non avere intenzione di sospendere l’accordo.