L’Italia rimanda il suo ambasciatore al Cairo
Tra molte critiche: il precedente era stato richiamato più di un anno fa per la scarsa collaborazione dell'Egitto nelle indagini sull'uccisione di Giulio Regeni
Il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano ha annunciato ieri la decisione di mandare al Cairo, la capitale dell’Egitto, l’ambasciatore Giampaolo Cantini. L’Italia aveva richiamato il suo ultimo ambasciatore in Egitto, Maurizio Massari, un anno e quattro mesi fa, a causa della scarsa collaborazione delle autorità egiziane nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni, dottorando di 28 anni ucciso al Cairo all’inizio del 2016 in circostanze ancora poco chiare. Il governo italiano aveva accusato in molte occasioni le autorità egiziane di nascondere elementi di indagine. Diverse inchieste giornalistiche avevano inoltre mostrato come il governo egiziano o alcune sue parti fossero in realtà coinvolte nell’uccisione di Regeni, che in Egitto stava facendo delle ricerche sui sindacati indipendenti dei venditori di strada, considerati una minaccia dal presidente egiziano Fattah Abdel al Sisi (qui la versione lunga della storia). Per questi motivi la decisione del governo italiano di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo, seppur non completamente inaspettata, è stata contestata da diverse parti, tra cui i genitori di Regeni.
La decisione del governo italiano è arrivata lo stesso giorno nel quale la procura del Cairo ha trasmesso alla procura di Roma gli atti relativi a un nuovo interrogatorio a cui sono stati sottoposti i poliziotti che si occuparono degli accertamenti sulla morte di Regeni: la trasmissione degli atti è stata definita dal governo italiano “un passo avanti nella collaborazione” tra le due procure, ma non è stato l’unico motivo che ha convinto il ministero degli Esteri a riavviare una più solida collaborazione diplomatica con l’Egitto. In realtà, scrive la Stampa, il governo stava lavorando da tempo per rimandare il suo ambasciatore al Cairo. I sostenitori di tale posizione sarebbero stati soprattutto tre ministri: Marco Minniti, ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ministro degli Esteri, e Roberta Pinotti, ministro della Difesa. A luglio Nicola Latore, presidente della Commissione Difesa del Senato e considerato molto vicino a Minniti, aveva guidato una delegazione di rappresentanti del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e di Forza Italia al Cairo, per chiedere al governo egiziano più collaborazione. La visita al Cairo era stata anticipata da alcune visite di persone vicine al presidente Sisi a Roma, per cercare di ristabilire completamente i rapporti bilaterali tra i due paesi.
Dopo l’annuncio del ministero degli Esteri, la famiglia di Giulio Regeni ha diffuso un comunicato criticando la decisione. Nel comunicato si legge, tra le altre cose: «Ad oggi, dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio. […] La decisione di rimandare ora, nell’obnubilamento di ferragosto l’ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte».
Quando parla di depistaggi, la famiglia Regeni si riferisce ai presunti tentativi delle autorità egiziane – diventati piuttosto evidenti nel corso del tempo – di chiudere il caso sull’uccisione di Regeni senza alcuna prova. Per esempio il 24 marzo dello scorso anno il ministro degli Interni egiziano scrisse su Facebook che il caso era risolto: disse che i colpevoli erano quattro membri di una banda criminale «specializzata nel fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi». Il governo diffuse le foto del passaporto di Regeni, della sua carta d’identità italiana, di una carta di credito e del suo tesserino dell’Università di Cambridge, tutto materiale che secondo gli agenti era stato trovato in possesso del gruppo: dovevano essere prove per sostenere l’ultima teoria del governo, ma finirono per essere l’ennesimo elemento che sembrava mostrare un qualche tipo di coinvolgimento delle forze di sicurezza egiziane. Venne fuori che al momento della scomparsa di Regeni il capo della banda criminale si trovava a più di 100 chilometri dal luogo del sequestro. E c’erano altre cose che non tornavano: per esempio le autorità egiziane non seppero spiegare il motivo per cui dei criminali comuni avrebbero dovuto torturare Regeni per una settimana intera prima di ucciderlo.
Il governo italiano non ha mai rotto i rapporti diplomatici con l’Egitto, nonostante le critiche dell’ultimo anno e mezzo. La decisione di mandare un nuovo ambasciatore potrebbe essere legata anche alla necessità di avere un rappresentante diplomatico in uno dei più importanti paesi del mondo arabo, soprattutto in un momento in cui l’Italia si trova a gestire diverse crisi, tra cui quella della Libia, paese nel quale l’Egitto è coinvolto da tempo.