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  • Sabato 3 giugno 2017

Cosa è diventato “Blue Whale” in Italia

Valigia Blu ha fatto un resoconto completo di come un fenomeno di internet che potrebbe essere completamente inventato è diventato un'emergenza, per come è stato raccontato

(TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)
(TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)

Sul sito Valigia Blu Claudia Torrisi e Andrea Zitelli hanno messo insieme un resoconto completo e approfondito del cosiddetto “Blue Whale”, un misterioso fenomeno di internet nato in Russia che consisterebbe in una serie di prove da superare tra cui l’automutilazione, e che secondo qualcuno avrebbe spinto decine di adolescenti nel mondo al suicidio. In Italia si è parlato moltissimo di Blue Whale intorno alla metà di maggio, dopo un servizio delle Iene al riguardo: molti giornali ne hanno scritto con toni allarmistici, anche se non ci sono tuttora prove di nessun suicidio direttamente collegato al fenomeno. Della storia, in ogni caso, si parlava in Russia da diversi mesi: almeno dal maggio del 2016, quando il sito del periodico russo Novaya Gazeta pubblicò un’inchiesta sul tema. Da quel momento se ne sono occupati giornali e siti di tutto il mondo, ma nei vari passaggi la storia ha acquisito dimensioni probabilmente eccessive, e soprattutto quelle che erano soltanto ipotesi – spesso piuttosto fragili – sono state spacciate come vere. Valigia Blu ha anche dedicato una parte dell’articolo alla copertura di Blue Whale sui giornali. Oggi è diventato molto complicato capire se tutta la questione sia una leggenda metropolitana che ha attecchito particolarmente – l’ipotesi accreditata da Valigia Blu – o se ci sia in mezzo qualche elemento di verità.

Dopo il servizio delle Iene, il caso Blue Whale – la sfida che spingerebbe gli adolescenti al suicidio – è al centro di discussioni pubbliche e dell’attenzione mediatica. In questo post abbiamo ricostruito come nasce la storia che si configura come una vera e propria leggenda urbana. A oggi non ci sono evidenze di casi di suicidio legati a questa sfida. Analizzando il servizio andato in onda su Italia 1 ne evidenziamo errori, imprecisioni e debolezze giornalistiche. Nell’ultima parte dell’articolo proponiamo un approfondimento su come i media dovrebbero e non dovrebbero parlare di suicidio, soprattutto per evitare l’effetto di emulazione.

Come nasce la storia della “Blue Whale Challange”

L’articolo pubblicato di Novaya Gazeta su VK e “i gruppi della morte”

A maggio del 2016, il sito online russo d’informazione indipendente Novaya Gazeta pubblica un lungo articolo dal titolo “I gruppi della morte” a firma della giornalista Galina Mursalieva.

Nel pezzo si legge che all’interno del più grande social media russo VKontakte (VK) – fondato nel 2006 e con più di 350 milioni di utenti – ci sono migliaia di gruppi in cui gli adolescenti iscritti sono portati “sistematicamente e costantemente” tramite precise istruzioni e prove verso il suicidio, da “alcune persone adulte” (“ma chi sono?” si chiede la giornalista, “Fanatici spirituali, maniaci, satanisti, fascisti?”) che sfruttano il linguaggio, gli interessi e gli hobby dei giovani e la psicologia. Mursalieva ritiene che la maggior parte dei 130 suicidi tra il novembre del 2015 e l’aprile del 2016 in diverse città russe siano da collegare a questi gruppi online. La cosa preoccupante, continua la giornalista, è che i genitori non si sarebbero accorti di nessun cambiamento nel comportamento dei propri figli prima del suicidio.

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