Emmanuel Macron, in breve
Cose da sapere sul candidato che ha ottenuto il risultato più sorprendente al primo turno delle presidenziali francesi, e fino a due anni fa era sconosciuto
Emmanuel Macron è diventato uno dei due candidati – insieme a Marine Le Pen – che si contenderà la presidenza della Francia nel ballottaggio del 7 maggio, ottenendo al primo turno più voti di tutti gli altri candidati (ha ottenuto il 23,8 per cento dei voti, contro il 21,5 di Le Pen). Macron si dimise da ministro nell’agosto del 2016 e aveva mostrato da subito di voler trovare maggior protagonismo nella politica francese: quando si è candidato da indipendente, però, pochi gli davano delle possibilità, soprattutto per le cose molto europeiste che Macron diceva in tempi in cui sono popolari soprattutto idee di altro tenore.
Macron ha una storia politica breve nel centrosinistra, ma evita le definizioni e dice di non essere «né di destra né di sinistra»: durante la campagna elettorale è stato definito “liberale di centrosinistra”, “centrista” e “moderato”. È giovane – ha 39 anni – ed è un oratore carismatico, suona il pianoforte e, come scrisse Bloomberg a settembre, “mescola apprezzamenti alle riforme di mercato con appelli all’unità sociale”. Si è formato alla École nationale d’administration concludendo gli studi nel 2004, ha lavorato presso Rothschild & Cie Banque, una banca d’affari del gruppo Rothschild, e per questo Le Pen lo ha accusato di essere espressione di una “elite globale” che vuole controllare la Francia. Dal 2006 al 2015 è stato iscritto al Partito Socialista. Durante i suoi comizi dice cose che nessun altro candidato francese dice, per esempio «l’Europa siamo noi. Bruxelles siamo noi. Abbiamo bisogno dell’Europa». Macron si definisce un “progressista liberale” in economia, ma è di sinistra sulle questioni sociali: parla della libertà di praticare ognuno la propria religione in uno stato laico e dice che non bisogna cedere a coloro «che promuovono l’esclusione, l’odio o la chiusura in noi stessi».
Quando era ministro, Macron era stato definito da diversi giornali francesi «il più liberale della squadra di governo» e la sua prima proposta di legge sulle liberalizzazioni aveva da subito fatto molto discutere. Il suo nome è infatti legato alla legge che avrebbe dovuto mettere fine alla settimana lavorativa di 35 ore in Francia, che però poi è stata ammorbidita a tal punto da far scrivere allo storico François Huguenin su Le Figaro che «la sua timidezza ha tradito ogni pretesa di riforma». Macron si era poi dimesso da ministro il 30 agosto 2016. Dopo le dimissioni ha fondato un suo partito di centro che si chiama En Marche! (“In marcia!”).
Macron si è ufficialmente candidato a metà novembre, criticando nel suo discorso quelli che chiama «i blocchi» che, secondo lui, paralizzano la Francia: «Il sistema ha smesso di proteggere coloro che doveva proteggere. (…) La politica vive ormai per se stessa ed è più preoccupata della propria sopravvivenza che non degli interessi del paese». Per giustificare la sua candidatura fuori dai partiti tradizionali, ha evidenziato la «speranza» che intende rappresentare, in particolare tra i giovani: «Il mio obiettivo non è riunire la destra o la sinistra, ma riunire i francesi». Più di recente ha definito le primarie una «querelle de clans» (una disputa interna ai partiti). I suoi comizi in campagna elettorale sono sempre stati affollatissimi, e senza i pullman organizzati di solito per i candidati dei partiti tradizionali.
Lo scorso novembre Macron ha pubblicato un libro che si intitola Révolution, e in cui doveva essere contenuto il programma politico alla base della sua candidatura alle presidenziali. In realtà il libro indica soprattutto la linea politica di Macron senza entrare nei dettagli delle riforme che vorrebbe proporre e sostenere. Macron si rivolge al “campo progressista” degli elettori e delle elettrici che non si identificano in modo monolitico né con la destra né con la sinistra: si rivolge a ecologisti, liberali, centristi, socialdemocratici, ma soprattutto a chi non sente di avere un’affiliazione politica precisa. Macron parla di semplificazione, decentralizzazione, protezione e liberazione: dice di essere «il candidato del lavoro» perché vuole essere «il candidato della giustizia». È a favore di un abbassamento del costo del lavoro attraverso le agevolazioni fiscali per le imprese, vuole «ridurre il divario tra retribuzione lorda e netta» eliminando alcuni contributi pagati da dipendenti e autonomi e vuole una semplificazione della struttura pubblica. Ha poi proposto di «rilanciare lo spirito imprenditoriale» del paese facilitando le decisione di prendersi dei rischi durante le proprie carriere lavorative e difendendo «un diritto universale alla mobilità professionale»: a differenza della destra, non vuole la riduzione progressiva dei sussidi di disoccupazione.
Macron dice che la globalizzazione ha favorito i più ricchi dei paesi già sviluppati e le classi medie dei paesi in via di sviluppo. Le classi medie dei paesi sviluppati, invece, si sono indebolite e per questo è soprattutto su di loro che bisogna intervenire: «Le classi medie si sono costruite socialmente, politicamente, ideologicamente sul concetto di progresso e sulla convinzione che i loro figli avrebbero vissuto meglio dei loro genitori. Questo non è più vero». Dice che il programma di François Fillon non è liberale dal punto di vista economico, ma al contrario profondamente conservatore perché difende le rendite e non favorisce la mobilità sociale: in sostanza «favorisce solo coloro che hanno già avuto successo»: «in Francia si confonde molto spesso il liberalismo con il conservatorismo perché non abbiamo una tradizione liberale. Ho grande rispetto per François Fillon, ma è soprattutto un conservatore».
Macron ha infine proposto un pensionamento differenziato a seconda delle carriere lavorative e parla molto di istruzione: è a favore di una maggiore autonomia delle università e degli istituti scolastici e in materia di sicurezza ha promesso «10 mila posti di lavoro per poliziotti e gendarmi». Vorrebbe creare una «polizia di prossimità» e ricostruire «un’intelligence territoriale». Dice che la Francia non può bastare a se stessa e che l’Europa unita è fondamentale sia nella lotta al terrorismo che per affrontare i flussi migratori. Pensa che la vera sovranità non sia nazionale ma europea, e che chiudere le frontiere per proteggere la Francia dai rischi della globalizzazione (come propone Marine Le Pen) sia un’ingenuità.