Cosa vuole fare Starbucks a Milano
Il negozio che aprirà in piazza Cordusio è di un tipo che per ora esiste solo a Seattle, molto grande e a metà tra una torrefazione e un bar
Martedì 28 febbraio la catena di caffetterie americana Starbucks ha presentato il progetto per aprire il suo primo negozio in Italia, a Milano: sarà in piazza Cordusio, a un paio di minuti a piedi da piazza del Duomo. A ospitarlo sarà Palazzo Broggi, conosciuto anche come palazzo delle Poste: è un imponente edificio costruito tra il 1899 e il 1901 e già sede della Borsa di Milano e poi – appunto – delle Poste Italiane. L’annuncio di Starbucks è stato preceduto da una serie di polemiche riguardo alle palme piantate in piazza Duomo per via di un progetto finanziato da Starbucks, che per questo ha speso 200mila euro. In generale, è la stessa apertura di una caffetteria di Starbucks in Italia – di cui si parla a intermittenza da diversi anni – a non piacere a qualcuno, che solitamente usa come argomenti la tradizione legata alla produzione di caffè in Italia, che verrebbe secondo questo ragionamento in qualche modo danneggiata dall’apertura di un bar americano.
Quella che aprirà a Milano, intanto, non è un normale bar di Starbucks (di quelli che quasi tutti si sono abituati a vedere nelle grandi città in giro per il mondo): è una cosiddetta Roastery, cioè un locale grande e arredato in modo più elegante del solito nel quale viene prodotto il caffè, in modo che i clienti possano vedere le varie fasi della lavorazione, una torrefazione insomma. Per ora nel mondo ce n’è solo una, a Seattle (la città dove è nata la società), ma ne apriranno anche una a Shangai nel 2017 e una a New York e una a Tokyo nel 2018. Recentemente, Starbucks ha annunciato che progetta di aprirne tra le 25 e le 30 nei prossimi anni. Howard Schultz, fondatore e amministratore delegato della società, ha spiegato al Corriere della Sera: «il cliente vedrà tubi che attraverseranno i soffitti nei quali passano i grani. Potrà comprare le miscele e i nostri prodotti legati al marchio. Poi ci sarà la tecnologia: wifi super veloce, musica con i partner di Spotify, servizi di pagamento fintech». Il locale sarà grande quasi 2500 metri quadrati, e servirà molti dei caffè tra quelli venduti da Starbucks nel mondo, e Schultz ha detto che «ci saranno cinque nuovi caffè realizzati con tecnologie ideate da noi, oltre al tradizionale espresso. Ci sarà per esempio il nitro caffè [che si ottiene estraendolo a freddo dal chicco di caffé con l’azoto liquido], infusioni di caffè e bevande fredde».
Starbucks collaborerà con Princi, una famosa catena di panetterie di Milano, per i prodotti da forno che saranno venduti nelle Roastery di tutto il mondo. Dopo l’apertura della Roastery, il gruppo imprenditoriale italiano Percassi – che collabora con Starbucks per le aperture in Italia – aprirà alcuni altri Starbucks a Milano, nel 2018: «ciascuno sarà progettato accuratamente e curato per rispettare la comunità locale e l’unicità del contesto milanese. Adottare un approccio rispettoso e misurato nell’apertura dei negozi è al centro della strategia di Starbucks a Milano». Normalmente, ha detto Schultz per dare un’idea dell’investimento, per aprire un negozio Starbucks (quelli normali, molto più piccoli delle Roastery) occorrono almeno 500mila dollari. Cento persone lavoreranno direttamente nel negozio, ma insieme agli altri locali, sempre secondo Schultz, saranno creati 350 posti di lavoro.
La diffusa diffidenza nei riguardi di Starbucks ha reso complicata e rallentato l’apertura di caffetteria della società in Italia. Il caso delle palme, poi, ha in qualche modo confermato questo scetticismo, in un modo che ha anche sorpreso Schultz, che a Repubblica ha detto: «il dibattito sulle palme ci ha stupiti. Quando entriamo in una città nuova, soprattutto in una interessante e dinamica come Milano, vogliamo dare subito qualcosa alla comunità. Lo facciamo prima di aprire la caffetteria, è una sorta di captatio benevolentiae e anche per questo la reazione ci ha stupiti così tanto». Schultz è sembrato però fiducioso, nell’intervista al Corriere: «Mi dicono che i milanesi all’inizio criticano ma poi si affezionano».