Cosa sono i voucher?
Perché si parla tanto dei "buoni lavoro" e perché li usiamo duecento volte più di dieci anni fa
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’INPS il numero di voucher, uno strumento che permette di pagare piccoli incarichi lavorativi, è cresciuto del 32 per cento nei primi dieci mesi del 2016. È un incremento che arriva dopo un altro aumento nei primi dieci mesi del 2015, quando il numero di voucher era cresciuto del 67 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. Questi numeri hanno generato molta preoccupazione: in molti pensano che l’aumento dei voucher implichi una crescente precarizzazione del mondo del lavoro in Italia.
Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato dei rischi dell’uso “improprio” dei voucher; la CGIL ha raccolto oltre 3 milioni di firme per un referendum che prevede, tra le altre cose, di abolire alcune norme sui voucher introdotte dal Jobs Act, la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi. Davanti a queste critiche crescenti anche il governo ha deciso di intervenire, aumentando la cosiddetta “tracciabilità” dei voucher e promettendo ulteriori interventi in caso il ricorso ai voucher continui ad aumentare. Ma cosa sono esattamente i voucher e perché sarebbero un problema?
Cosa sono
Il voucher è uno strumento introdotto per la prima volta nel 2003 con lo scopo di permettere la remunerazione legale di “mini-lavori” che altrimenti potevano essere pagati soltanto in nero: dalle ripetizioni scolastiche alle pulizie, passando per i lavori agricoli stagionali e quelli nel settore turistico. I voucher vengono acquistati dal datore di lavoro (si possono comprare anche in tabaccheria) che poi li consegna al lavoratore. Oggi il taglio più piccolo vale 10 euro e corrisponde a un compenso netto per il lavoratore di 7,5 euro (per ogni tipo di lavoro esiste un salario minimo orario, che vale sia che il pagamento venga effettuato con voucher o in altro modo). Il resto viene incassato dall’INAIL e dall’INPS, che in cambio forniscono una copertura contributiva e assicurativa.
Nel corso degli anni la possibilità di utilizzare i voucher è stata costantemente ampliata. Inizialmente erano uno strumento circoscritto a pochi settori e poche categorie di lavoratori, come disoccupati da oltre un anno, pensionati e studenti; oggi possono essere utilizzati da molte più persone e in quasi tutti i settori lavorativi. I momenti più importanti nella “liberalizzazione” sono stati le riforme del 2009 e del 2010, volute dal governo Berlusconi, e soprattutto quella Fornero del 2012, in cui vennero inseriti alcuni nuovi limiti ma la possibilità di pagare con voucher venne estesa notevolmente. Il Jobs Act del governo Renzi è intervenuto sui voucher solo alzando da 5 a 7 mila euro netti la cifra massima che è possibile guadagnare tramite voucher in un anno.
Oggi il voucher può essere utilizzato da quasi tutte le tipologie di lavoratori e di attività produttive, a patto che serva per retribuire lavori accessori e saltuari, che non siano fondamentali per l’attività dell’azienda. Ogni lavoratore può percepire tramite voucher un massimo di duemila euro dallo stesso committente nel corso di un anno e, dopo le modifiche introdotte dal governo Renzi, un massimo di 7 mila euro netti in totale nel corso dell’anno (il limite è rispettivamente di 3 mila e 2 mila euro per coloro che percepiscono forme di sostegno al reddito e pensionati).
Gli abusi
Secondo i critici, i voucher si prestano a diverse forme di abuso. Una delle più evidenti consiste nell’utilizzare il voucher per “mascherare” un lavoratore in nero. Per esempio, il gestore di un locale potrebbe impiegare un dipendente per otto ore di lavoro e acquistare un voucher in modo da retribuirlo regolarmente soltanto per una frazione del periodo effettivamente lavorato. In caso di visita di un ispettore del lavoro, gli basterebbe esibire il voucher e giustificare così la presenza del lavoratore proprio nel momento della visita. Per evitare questo problema, il governo ha deciso di aumentare la tracciabilità dei voucher. Dallo scorso settembre il datore di lavoro è tenuto a comunicare non soltanto il nome del lavoratore e il giorno in cui sarà svolto il lavoro, ma anche l’orario di inizio e quello di fine dell’attività.
La precarizzazione
Alcuni però criticano la natura stessa dei voucher, anche aldilà delle irregolarità che possono essere commesse nel loro utilizzo. Come ha scritto Marta Fana, consulente dell’OCSE e collaboratrice del Manifesto e del Fatto Quotidiano:
L’avanzata del precariato, rappresentata dall’esplosione dei voucher, non sembra sostanzialmente preoccupare il Governo, che prevede di gestire gli abusi attraverso una stretta sulle comunicazioni dell’utilizzo dei buoni lavoro. A prevalere è l’idea secondo cui lo sfruttamento e il lavoro povero sono da ostacolare solo nella misura in cui nascondano lavoro irregolare e non come circostanza del reale di per sè.
Negli ultimi anni il ricorso ai voucher è aumentato moltissimo: sono passati da mezzo milione nel 2008 a 121,5 milioni nei primi dieci mesi del 2016. Le ragioni di quest’aumento, però, non sono chiarissime. Una parte si deve alla crescente liberalizzazione nell’utilizzo dello strumento. Ma è durante il governo Renzi che il ricorso ai voucher ha avuto un incremento rapidissimo, passando dai 24 milioni venduti nel corso del 2013 ai 121,5 nei primi dieci mesi del 2016, nonostante il Jobs Act abbia modificato solo leggermente i regolamenti rispetto agli interventi del 2008-09 e del 2012.
Secondo alcuni, il Jobs Act potrebbe aver favorito i voucher perché rende altre forme di contratto a tempo determinato meno convenienti per i datori di lavoro. Altri sostengono che difficilmente i voucher possano essere sostitutivi di altre forme di contratto a tempo determinato, visto che da un singolo datore di lavoro è possibile ottenere annualmente soltanto cifre molto basse tramite i voucher: appena 2 mila euro netti, due mesi di uno stipendio basso.
Secondo il governo, l’aumento è in parte dovuto a un’emersione del lavoro nero, che era lo scopo originale dell’introduzione dei voucher. Quei lavori esistevano anche prima, pagati in nero; ora sono emersi grazie ai voucher. Il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha detto che questa può essere soltanto una spiegazione parziale dell’aumento. La crisi economica, probabilmente, ha avuto un ruolo almeno altrettanto importante perché ha costretto molte persone che hanno perduto la loro occupazione precedente ad accontentarsi di “mini-lavori”.
A questi fattori bisogna probabilmente aggiungere anche un fenomeno più semplice: i voucher sono stati uno strumento per anni sconosciuto a datori di lavoro e agli stessi lavoratori. Nel 2011, quando la crisi era già iniziata da tre anni e i voucher erano stati già sostanzialmente liberalizzati, furono venduti soltanto 15 milioni di tagliandi, un decimo della cifra che probabilmente risulterà venduta alla fine del 2016.