Cosa dicono i sondaggi sul referendum
Domani sarà l'ultimo giorno in cui potranno essere diffusi, per legge: il No è dato sempre più in vantaggio, ma il numero degli indecisi è ancora alto
Venerdì 18 novembre sarà l’ultimo giorno in cui sarà possibile diffondere sondaggi sul referendum sulla riforma costituzionale, che si terrà il 4 dicembre, secondo quanto prescrivono una direttiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che vieta «la pubblicazione o diffusione dei risultati degli stessi nei quindici giorni precedenti le consultazioni», e la legge sulla cosiddetta par condicio del 2000. È probabile che domani i giornali pubblichino un’ultima infornata di sondaggi, ma possiamo già farci un’idea di quali sono le tendenze basandoci su quelli pubblicati nelle ultime settimane.
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La tendenza è piuttosto chiara, per quelli che vogliono fidarsi dei sondaggi, come mostra la media messa insieme da YouTrend e aggiornata al 16 novembre: oggi il No è in netto vantaggio.
Gli ultimi sondaggi danno avanti il No con un distacco fra i tre e i dieci punti, mentre la media di YouTrend lo dà in vantaggio di sei punti. La tendenza sembra essersi consolidata nelle ultime settimane, anche in corrispondenza di un calo del numero degli elettori indecisi: a settembre il Sì e il No erano dati come molto vicini, a ottobre il No aveva guadagnato un piccolo vantaggio, poi c’era stato una specie di riavvicinamento e ora il Sì è nettamente dietro (secondo YouTrend ha perso 2,1 punti nell’ultimo mese). Da settembre a oggi solo due sondaggi hanno dato il No avanti di più di dieci punti, ed entrambi sono usciti a novembre. Qui c’è una lista di tutti i sondaggi effettuati nelle ultime settimane.
La media dei sondaggi sul referendum, messa insieme da YouTrend
Va considerato però che il numero degli indecisi è ancora altissimo: YouTrend stima che siano il 22,1 per cento delle persone contattate, anche se circolano cifre più alte (secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto Demopolis sono il 25 per cento, un quarto esatto delle persone contattate). È una cifra che può cambiare ancora molto, soprattutto via via che si avvicina la data del referendum: per questo dire che i sondaggi danno il No avanti è corretto, ma stiamo parlando di un vantaggio che va preso con grande cautela. Per fare un paragone con un’altra elezione avvenuta di recente: Nate Silver, il giornalista esperto di sondaggi e direttore del sito FiveThirtyEight, nei giorni precedenti alle elezioni americane aveva avvertito più volte che a questo giro l’esito sarebbe stato più difficile del solito da prevedere a causa dei moltissimi indecisi (che ancora a pochi giorni dal voto erano circa il 15 per cento delle persone contattate).
La media dei sondaggi secondo Wikipedia
Negli ultimi giorni stanno anche circolando sondaggi che hanno posto alle persone contattate domande laterali al referendum, per esempio sulla situazione politica o sulla fiducia nei vari personaggi politici. Ci sono elementi per pensare che il campo del Sì – cioè sostanzialmente un pezzo maggioritario del Partito Democratico e poco altro – arriverà più motivato alle elezioni di quello del No. Un sondaggio realizzato da IPSOS ha chiesto alle persone che ha contattato se il risultato del referendum cambierà l’Italia in meglio, in peggio o non cambierà niente: il 47 per cento delle persone ha risposto che le cose resteranno come prima – in questo conto vanno probabilmente inseriti gli indecisi e le persone che non intendono votare – mentre il 32 per cento ha detto che l’Italia cambierà “in meglio” e solamente il 9 per cento ha risposto che l’Italia cambierà in peggio. Secondo un altro recente sondaggio compiuto da Eumetra, il presidente del Consiglio Matteo Renzi è inoltre per distacco il leader che gode di più fiducia fra le persone intervistate: una su tre ha detto di avere “molta” o “abbastanza” fiducia in Renzi.
Ci sono però anche segnali opposti: in un recente sondaggio dell’Istituto Ixè, per esempio, il 69 per cento delle persone contattate ha risposto di avere “poca” o “nessuna” fiducia nell’attuale governo (e numeri simili circolano da tempo) cosa che potrebbe spingere loro a votare No per dare un segnale politico (e provocare molto probabilmente la caduta del governo stesso, anche se l’oggetto del referendum è un altro: lo dicono peraltro anche diversi politici sostenitori del No).
Cosa dice il divieto?
Le ultime regole per la diffusione dei sondaggi sono contenute nell’allegato della delibera dell’AGCOM 256 del 2010. All’articolo 7 comma 1 si legge:
Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni e fino alla chiusura delle operazioni di voto è vietato rendere pubblici o comunque diffondere i risultati, anche parziali, di sondaggi sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati realizzati in un periodo antecedente a quello del divieto.
Il divieto non riguarda insomma la possibilità di fare sondaggi, ma soltanto la loro diffusione. Negli ultimi 15 giorni di campagna elettorale, infatti, i partiti politici continuano a commissionare sondaggi agli istituti di ricerca. Gli stessi istituti continuano a fare sondaggi non solo perché c’è qualcuno li paga per farlo ma anche perché – banalmente – ne va del loro lavoro: la precisione dei loro modelli statistici deriva anche dal confronto di dati raccolti nelle settimane precedenti con i primi risultati reali che usciranno dal voto. In altre parole, i risultati dei sondaggi in questo periodo “girano” comunque tra gli addetti ai lavori, anche se non compaiono nei telegiornali e sui quotidiani (il divieto viene spesso aggirato, comunque).
La legge che in Italia vieta la pubblicazione dei sondaggi nei 15 giorni prima delle elezioni – la legge 28 del 2000, cioè la più importante di quelle sulla par condicio – non ha praticamente eguali in Europa e nel resto del mondo occidentale. Qualcosa di simile esiste in Francia, ma vale soltanto per le 24 ore precedenti al voto e per la pubblicazione degli exit poll nel giorno del voto (alle ultime elezioni sondaggi ed exit poll sono stati comunque diffusi dai media belgi). La legge italiana è più simile a quella del Mozambico, dove i sondaggi sono vietati per tutto il periodo della campagna elettorale. Il potere di controllare e di sanzionare chi viola questo divieto appartiene all’AGCOM, che elabora i regolamenti e può comminare multe dai 25 ai 250 mila euro.
La delibera è piuttosto chiara, e l’intento è non “influenzare” gli elettori (anche se in molti ne contestano il senso e l’efficacia). In realtà da qualche anno è possibile procurarsi dei sondaggi a ridosso di ogni elezione, anche se non si è degli addetti ai lavori: alcuni siti hanno scelto di dare conto di cosa dicono i sondaggi nei giorni precedenti il voto mascherandoli in altro modo, per esempio da previsioni su una corsa di cavalli o su quale fra i molti cardinali del conclave del Vaticano sarà eletto Papa.