Il referendum in Ungheria è fallito
Il quorum non è stato raggiunto, ma tra i votanti ha vinto con il 98 per cento la posizione del primo ministro Orbán contro le quote sui migranti
Il referendum sui migranti per cui si è votato in Ungheria domenica 2 ottobre non ha raggiunto il quorum e non è pertanto valido. Il referendum, voluto dal primo ministro Viktor Orbán del partito di destra Fidesz, chiedeva ai cittadini se accettare o meno la quota di richiedenti asilo assegnata all’Ungheria secondo il piano di distribuzione previsto dall’Unione Europea per la gestione della crisi migratoria dell’ultimo anno: hanno votato circa il 40 per cento degli aventi diritto e il “no” ha vinto con il 98 per cento dei voti, ma affinché il risultato fosse politicamente vincolante per il Parlamento sarebbe stato necessario raggiungere il quorum del 50 per cento dell’elettorato.
Il voto aveva soprattutto un valore politico: il sistema di quote entrato in vigore nel settembre 2015 per gestire il flusso straordinario di migranti è fallito ed è stato di fatto superato dall’accordo fra Unione Europea e Turchia. Per di più, le quote assegnate a ciascun paese sono sempre state volontarie: la Commissione ha cercato di aumentare la pressione politica sugli stati che non hanno voluto aderire, senza grande successo (l’Ungheria, per esempio, non ha accolto nemmeno un richiedente asilo fra quelli coinvolti dal sistema).
Ferenc Gyurcsany, leader del principale partito di opposizione Coalizione Democratica, ha detto di considerare il fallimento del referendum come una sconfitta per il governo e le sue politiche ostili ai migranti, e in generale il fallimento al referendum ha un valore simbolico piuttosto forte per chi sta lavorando per migliorare le politiche di accoglienza e integrazione dei migranti in Europa. Un portavoce del governo, tuttavia, ha dato un’interpretazione opposta spiegando che il Parlamento dovrà comunque sostenere il progetto del governo: «Il 50 per cento [dei votanti] avrebbe fatto la differenza perché il Parlamento non avrebbe dovuto prendere una decisione, ma il Parlamento è d’accordo con il governo su questa decisione e il referendum rafforza il mandato del governo».
Come scrive BBC, il risultato del referendum può essere considerato sia una sconfitta che una vittoria per Orbán, che non è riuscito a convincere abbastanza persone ad andare a votare ma che è stato sostenuto dalla quasi totalità di quelle che lo hanno fatto. Con il referendum Orbán sperava di ottenere abbastanza forza politica per i futuri negoziati dell’Unione Europea sulle politiche migratorie e avviare una “contro rivoluzione”, come la chiama lui, all’interno dell’Unione Europea nella speranza che altri paesi seguissero l’esempio dell’Ungheria, e ci è riuscito solo in parte. In un breve discorso ha parzialmente riconosciuto la sconfitta dicendo che «un referendum valido è sempre meglio di un referendum non valido», aggiungendo però che l’alto numero di “no” tra i votanti gli dava un forte mandato per «assicurarsi che non saremo costretti ad accettare in Ungheria persone con cui non vogliamo vivere».
La Commissione Europea aveva già fatto sapere che un referendum non avrebbe potuto modificare la legislazione dell’Unione Europea, e quindi nemmeno gli accordi sulle quote. Giovedì scorso, tuttavia, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker aveva fatto qualche apertura all’Ungheria dicendo che i paesi che non vogliono accogliere richiedenti asilo potranno aiutare il resto dell’Unione in altro modo, ad esempio fornendo mezzi e risorse per migliorare il controllo dei confini, una delle proposte fatte da Orbán e da altri leader dell’Europa orientale.