La Nigeria va malissimo
Aveva una delle economie africane più promettenti, ma ora il paese è in gravissime difficoltà a causa del calo del prezzo del petrolio e della corruzione
di Paul Wallace e David Malingha Doya – Bloomberg
L’acciaieria di Ajaokutau si trova su un sito grande quattro volte Manhattan lungo le rive del fiume Niger, e sarebbe dovuta diventare il simbolo della modernità e della prosperità della Nigeria, invece che del suo fallimento. Le imprese russe incaricate della costruzione dell’impianto iniziarono i lavori nel 1979 e le stime sulle spese complessive per la sua realizzazione vanno da circa 3,5 a poco meno di 9 miliardi di euro. La società statale proprietaria dell’acciaieria la definisce «il fondamento dell’industrializzazione nigeriana». L’impianto non ha ancora prodotto acciaio. «Il punto non è farla ripartire, ma avviarla», ha detto dal suo ufficio di Lagos Frank Jacobs, che gestisce un’azienda che produce una specie di vino di ananas ed è a capo della principale associazione industriale nigeriana. «Se si parla di farla ripartire significa che ha già lavorato in passato. Non è così. Non esiste un paese che possa industrializzarsi senza l’acciaio».
La Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa, è passata dell’essere una terra promessa per i suoi abitanti e gli investitori stranieri allo spreco delle sue fortune. La settimana scorsa il declino del paese è sembrato compiuto quando il suo vicepresidente ha detto che la Nigeria sta attraversando la peggiore crisi economica di sempre. Il valore della moneta locale, la naira, è diminuito drasticamente e si prevede che quest’anno la produzione cali per la prima volta dal 1991, dopo aver registrato negli anni Duemila tassi di crescita superiori all’8 per cento.
La Nigeria continua a essere fortemente danneggiata dalla cattiva gestione e dalla corruzione che dilagavano negli anni della grande espansione economica trainata dal petrolio. I problemi del paese sono emersi in maniera più evidente con il calo dei prezzi dell’energia. Le infrastrutture sono in stato di grande degrado e nel paese ci sono frequenti blackout: la Nigeria produce un decimo dell’energia elettrica del Sudafrica, che però ha un terzo degli abitanti della Nigeria (180 milioni).
Il gruppo di estremisti islamisti di Boko Haram ha portato il caos nel nordest del paese, uccidendo decine di migliaia di persone e lasciando 250mila bambini bisognosi di aiuti alimentari. Altri gruppi hanno fatto esplodere oleodotti e terminal per le esportazioni nella zona del delta del Niger, a sud, portando la produzione del greggio al minimo da quasi trent’anni a questa parte. I 36 stati della Nigeria hanno gravissimi problemi di liquidità e molti insegnanti, pensionati e dipendenti pubblici non vengono pagati da mesi. Il governatore dello stato di Imo, che ha 4 milioni di abitanti, ha accorciato la settimana lavorativa a tre giorni, chiedendo ai suoi dipendenti di coltivare la terra nei restanti due giorni feriali. Si sta addirittura riducendo la quantità di proteine assunta dai nigeriani con l’alimentazione, secondo il capo della Nestlé nel paese. L’impresa edile francese Bouygues SA ha bloccato alcuni progetti e prevede di lavorare meno per il governo nigeriano per il rischio di non essere pagata. «Gli ultimi due anni sono stati terribili», ha raccontato André Guillou, vicepresidente di Bouygues in Nigeria, «è il caos».
Sul sito di 240 chilometri quadrati di Ajaokuta, a tre ore d’auto verso sud dalla capitale Abuja, le mucche pascolano sui terreni dove avrebbero dovuto essere immagazzinati metalli ferrosi, carbone e calce, e migliaia di case destinate agli operai rimangono vuote e senza finestre. Sul fiume c’è un ponte ferroviario che non è mai stato usato perché non c’è una linea che lo colleghi ai porti o ai centri di produzione. L’acciaieria ha prodotto – a intermittenza – pali, cavi e parti di macchinari, e sono state aperte banche, ospedali e scuole per la comunità locale. «Ho lavorato un po’ nell’acciaieria, ma per ora non c’è ancora molto da fare», ha raccontato Sulaiman Abubakar, un uomo di 56 anni con nove figli che vive vicino a Ajaokuta, e che da giovane ha studiato metallurgia per trovare lavoro nell’impianto. Oggi Abubakar guida un keke, una versione nigeriana di un risciò a motore, e vuole che i suoi figli diventino ingegneri. «Quando l’acciaieria inizierà a produrre troveranno lavoro», ha detto, «noi speriamo ancora che succeda perché non abbiamo altro».
Ad Ajaokuta è difficile immaginare che in passato gli investitori si entusiasmassero per le possibilità che la Nigeria sembrava offrire. Nell’aprile 2011 Fidelity Investments, una società americana che si occupa di servizi finanziari, aveva coniato l’espressione “MINTs” per indicare Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia come i mercati emergenti del futuro, un’opinione che fu rafforzata da Jim O’Neill, un ex economista di Goldman Sachs. La società di consulenza McKinsey aveva detto che la Nigeria aveva il potenziale per crescere del 7 per cento annuo fino al 2030, il che avrebbe permesso al paese di superare l’economia di Paesi Bassi, Malesia o Thailandia.
Poi arrivò la crisi del petrolio del 2014, che fece scappare gli investitori stranieri e crollare l’economia. Nonostante la Nigeria fosse comunque destinata a subire gli effetti negativi del calo del prezzo del petrolio, fu la reazione del governo a peggiorare le cose, secondo Martina Bozadzhieva, un’analista di Frontier Strategy Group. L’anno scorso il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, che negli anni Ottanta era un comandante militare, è tornato al potere – questa volta attraverso il voto – sfruttando l’ottimismo degli elettori, che credevano che avrebbe combattuto la corruzione e rivitalizzato l’economia. A Buhari ci sono voluti sei mesi per formare un governo, mentre il bilancio del 2016 è stata approvato a maggio. Buhari contava anche sul fatto che il governatore della banca centrale nigeriana Godwin Emefiele stabilizzasse la naira, probabilmente per fermare l’aumento dei prezzi del cibo e dei trasporti. Invece, l’inflazione è aumentata moltissimo raggiungendo il 18 per cento, il livello massimo da 11 anni, mentre le aziende faticano a pagare ai fornitori esteri i macchinari e le materie prime che non trovano in Nigeria. Da giugno, quando Emefiele ha rinunciato ai tentativi di sostenere la naira, la moneta è scesa del 40 per cento rispetto al dollaro.
L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato la Nigeria di cinque livelli, fino a quello “spazzatura”, dicendo che l’economia del paese è andata peggio del previsto per via degli attacchi alle strutture petrolifere e le politiche di cambio di Buhari. «La fiducia in Buhari sta evaporando molto velocemente», ha detto Bozadzhieva, la cui società fornisce consulenza a multinazionali come Coca-Cola e General Electric. «Le aziende sono quasi sul punto di dire che in Nigeria è tutto un disastro. D’accordo, c’è stato un calo del prezzo del petrolio, ma ci sono paesi che l’hanno gestito molto meglio».
© 2016 – Bloomberg