Un anno di vita su Marte alle Hawaii
Sei persone hanno vissuto per un anno in isolamento su un vulcano delle Hawaii per simulare le condizioni di vita su Marte: sono uscite ieri
Dopo un anno di isolamento, domenica 28 agosto un gruppo di sei persone ha concluso un esperimento di lunga durata finanziato dalla NASA per simulare la vita su Marte. I sei non hanno mai lasciato la Terra, né hanno trascorso un solo minuto sul quarto pianeta più distante dal Sole: hanno però partecipato a una simulazione – restando per un anno in isolamento – allo scopo di comprendere meglio quali problemi potrà affrontare in futuro un equipaggio umano quando sbarcherà davvero sul suolo marziano. La sperimentazione è stata condotta su uno dei pendii del Mauna Loa, un vulcano delle Hawaii, scelto per le condizioni estreme del terreno e del clima, in parte paragonabili proprio a quelle di Marte. L’iniziativa fa parte del progetto HI-SEAS (Hawaii Space Exploration Analog and Simulation), avviato con una prima sperimentazione nel 2013 e ora al termine del suo quarto test, che ha tenuto impegnate e in isolamento sei persone per un anno intero.
La NASA si è data l’obiettivo di raggiungere Marte con una squadra di astronauti entro i prossimi 20 anni, un piano molto ambizioso e che ha ricevuto qualche critica perché ritenuto irrealizzabile, per lo meno dai più scettici e nei tempi indicati. L’esplorazione con esseri umani di Marte comporterà lo sviluppo di nuove tecnologie, a partire dalle astronavi per arrivarci (Marte si trova a una distanza media da noi di 225 milioni di chilometri; periodicamente si riduce a 56 milioni di chilometri grazie ai movimenti orbitali dei due corpi celesti). Inoltre, dovranno essere sperimentati nuovi sistemi per garantire la sopravvivenza degli astronauti una volta raggiunto Marte, che oltre a sabbia e sassi non ha molto altro da offrire. Per questo motivo da più di quattro anni quelli di HI-SEAS stanno sperimentando un modulo abitativo, una sorta di grande tensostruttura a forma di cupola, sul Mauna Loa, studiando al tempo stesso l’evoluzione dei rapporti sociali tra i partecipanti ai loro esperimenti, costretti a vivere insieme per lungo tempo con risorse e spazi ridotti.
La cupola è stata montata a 2.400 metri di altitudine sul vulcano e da fine agosto 2015 è stata la casa di sei persone, tre uomini e tre donne: un fisico, un ingegnere spaziale, un esperto di suolo, un architetto, un medico e un astrobiologo. I ricercatori di HI-SEAS li hanno lasciati soli per 12 mesi, seguendoli a distanza e tenendo sotto controllo le loro attività. La frequenza dei rifornimenti verso la cupola è stata mantenuta molto bassa, come quella che potrebbe esserci per chi un giorno vivrà su Marte: le consegne di cibo avvenivano ogni 4 mesi, mentre quelle di acqua ogni 2 mesi. Altre ricerche, condotte da altre organizzazioni, si stanno concentrando sulla possibilità di creare coltivazioni sul suolo marziano e creare sistemi per produrre acqua, un po’ come faceva Matt Damon nel film The Martian di Ridley Scott.
Per un anno i sei partecipanti hanno potuto comunicare con l’esterno solo tramite una sorta di sistema di messaggistica simile alle email. Per rendere più realistiche le comunicazioni, ogni messaggio inviato e ricevuto arrivava con circa 20 minuti di ritardo, il tempo che impiegano più o meno i dati a essere trasmessi nello Spazio da Marte alla Terra e viceversa. L’impossibilità di comunicare in tempo reale potrebbe essere una delle principali frustrazioni per gli equipaggi che un giorno saranno sul suolo marziano, pensano i ricercatori, perché potrebbe complicare le cose soprattutto in eventuali momenti di emergenza. A distanza di milioni di chilometri, comunque, gli equipaggi saprebbero da subito di essere soli nel senso più letterale del termine.
The #HISEAS crew has emerged after a year in isolation! pic.twitter.com/7Y0eTUTwBs
— HI-SEAS (@HI_SEAS) August 28, 2016
L’isolamento sul vulcano poteva essere interrotto con breve escursioni all’esterno, a patto di farle indossando uno scafandro, una sorta di grande tuta che imita quelle spaziali che dovranno essere usate su Marte. Le tute erano dotate di bombole per l’ossigeno, quindi ogni escursione poteva durare poche decine di minuti, in modo da rendere più realistica l’attività fuori dalla cupola.
Quelli di HI-SEAS hanno inserito sensori di vario tipo negli ambienti del modulo abitativo, per rilevare in modo discreto ma accurato le attività dei sei ospiti. Ognuno di loro doveva indossare un “sociometro”, un dispositivo simile a un cercapersone per valutare la frequenza delle sue interazioni sociali, utilizzando vari parametri compresi i rumori ambientali. Non erano invece presenti telecamere, per evitare di falsare il comportamento dei partecipanti e rendere quindi ancora più realistica la simulazione. La compilazione di un rapporto settimanale da parte di ciascuno ha permesso di ottenere altri dati e informazioni sulle loro interazioni sociali. È stato anche sperimentato una specie di videogioco basato sulla realtà virtuale per interagire con altre persone diverse da quelle nella cupola, e alleviare quindi la sensazione di solitudine e isolamento dei partecipanti.
La vita su Marte alle Hawaii è stata animata da HI-SEAS con diverse simulazioni, talvolta un po’ sadiche. Una di queste ha previsto, per esempio, un’emergenza legata a un’improvvisa emissione anomala di radiazioni solari, che ha richiesto l’ideazione di un piano per risolverla, mettendo alla prova la capacità dei sei partecipanti di collaborare e sacrificarsi gli uni per gli altri. In un’altra occasione quelli di HI-SEAS hanno proposto di risolvere alcuni problemi che richiedevano di improvvisare strumenti e soluzioni per affrontarli. In un anno ci sono stati inoltre imprevisti reali, come la mancanza di elettricità e la rottura di alcune strumentazioni, cosa che potrebbe accadere molto plausibilmente anche su Marte e con conseguenze difficili da prevedere per la sopravvivenza degli equipaggi.
Nel complesso i rapporti tra i sei partecipanti sono stati buoni, anche se non sono mancati litigi per cose piuttosto banali, talvolta dovuti alla stanchezza o a classiche difficoltà per la convivenza forzata con le stesse persone per molto tempo. Come classici coinquilini in un appartamento in città, alcuni hanno litigato per la trasandatezza dei loro compagni o per il mancato svolgimento di qualche compito, che spettava a turno a ogni partecipante. Gli psicologi di HI-SEAS hanno comunque incontrato qualche difficoltà nell’analizzare l’evoluzione dei comportamenti nella cupola, in parte perché già in fase di selezione erano state scelte sei persone volenterose, ottimiste e piuttosto stoiche.
La prima missione di HI-SEAS iniziò a metà aprile del 2013 e durò per quattro mesi, con una collaborazione tra gli atenei statunitensi Cornell University e University of Hawaii, finanziata dalla NASA. In quel caso parteciparono 8 persone, ma solo sei di queste completarono tutti i 120 giorni di permanenza. Nel 2014 fu organizzata una seconda missione di altri quattro mesi, nell’ottobre del 2014 ci fu una terza sperimentazione durata otto mesi. La missione che si è conclusa ieri è stata la più lunga finora realizzata e i risultati della simulazione saranno confrontati con quelli delle precedenti, per identificare similitudini e nuovi sistemi per migliorare la convivenza dei partecipanti. Sono già previste almeno altre due missioni, la prima delle quali inizierà nel gennaio del 2017, concentrate soprattutto sulla tipologia di esperti da selezionare in modo da creare un equipaggio con conoscenze e competenze simili a quelle necessarie per sopravvivere a un lungo viaggio spaziale e alla vita su Marte.
HI-SEAS è a oggi la ricerca e la sperimentazione più completa e seria nell’ambito delle simulazioni per missioni spaziali di lunga durata fuori dall’orbita terrestre. Non è però ancora chiaro se iniziative come questa siano sufficienti fino in fondo per comprendere e prevedere le difficoltà che incontreranno gli equipaggi nelle loro missioni verso Marte. Per questo motivo, tra le proposte avanzate dalla NASA ci sono esperimenti nell’orbita terrestre e in quella lunare, in modo da verificare anche l’affidabilità delle astronavi. L’ambiente di prova potrebbe essere lo spazio cislunare, la regione tra l’atmosfera terrestre e la Luna. Gli astronauti viaggeranno su astronavi intorno al nostro satellite naturale sperimentando manovre, assetti e sistemi per lavorare e sopravvivere senza avere un sostegno diretto dalla Terra.