Cosa fu l’accordo di Sykes-Picot
Fu firmato tra Francia e Regno Unito cento anni fa oggi: secondo l'ISIS e molti altri è la causa di tutti i mali del Medio Oriente
Sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo si cominciò a parlare di ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) nel giugno del 2014, quando qualche migliaia di miliziani a bordo di pick-up Toyota attaccarono a sorpresa alcune città nel nord dell’Iraq. Nel giro di poche settimane, l’ISIS conquistò Mosul, la seconda città dell’Iraq, occupò alcuni dei valichi al confine con la Siria e arrivò a poche decine di chilometri da Samarra e Baghdad. Tra le molte e sorprendenti conquiste militari, i miliziani dell’ISIS celebrarono soprattutto la cancellazione dell’odiata frontiera tra Iraq e Siria, una linea che le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano tracciato quasi un secolo prima senza troppo riguardo per le popolazioni che abitavano quei territori. Nel luglio del 2014 il capo dell’ISIS, Abu Bakr al Baghdadi, pronunciò un discorso nella moschea di Mosul, la sua prima ed unica apparizione in pubblico fino ad oggi. Baghdadi citò anche la cancellazione della frontiera e disse che l’ISIS non si sarebbero fermato «fino a che non avremo piantato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione Sykes-Picot».
“Sykes-Picot” è un nome che in Occidente è stato in gran parte dimenticato, tranne che dagli esperti di Medio Oriente e dagli amanti delle cospirazioni: si riferisce agli incontri che si tennero durante la Prima guerra mondiale tra diplomatici britannici e francesi per decidere la spartizione di quello che oggi è il Medio Oriente. Portarono al raggiungimento di un accordo segreto, che non venne approvato dai Parlamenti dei due paesi né discusso in una conferenza internazionale. La data a cui viene fatta risalire la sua ratifica è il 16 maggio del 1916, esattamente cento anni fa.
In molti considerano l’accordo una delle cause principali dei problemi del Medio Oriente contemporaneo. I diplomatici dell’epoca sono stati accusati di aver disegnato le frontiere senza considerare le complicate divisioni religiose e le reti di fedeltà tribale che si sovrappongono nella regione (tutta questa storia ha anche assunto sfumature comiche, con confini che si dice siano il prodotto di una gomitata o di uno starnuto da parte di uno dei cartografi). Il risultato fu la creazione di stati disomogenei e difficili da governare con stabilità. Nel mondo arabo è molto diffusa l’idea che i guai del Medio Oriente siano colpa dell’Occidente e dell’accordo di Sykes-Picot: quando l’ISIS ha cancellato parte della frontiera tra Siria e Iraq, ha usato la stessa retorica per sostenere di avere messo fine agli accordi e di aver ripristinato l’antica unità della comunità musulmana.
Dare tutta la colpa all’Occidente, hanno scritto Steven A. Cook e Amr T. Leheta su Foreign Policy, non è altro che «un caso di cattiva storiografia e applicazione scadente delle scienze sociali». La realtà è che gli accordi di Sykes-Picot furono un pasticcio che quasi nessuna delle parti in causa aveva intenzione di rispettare. I negoziati non furono condotti da grandi diplomatici con la tuba, come dice la leggenda, ma da un gruppo di dilettanti, faccendieri e truffatori: Mark Sykes, il delegato britannico, era un parlamentare al suo primo incarico di governo, convinto che il mondo fosse manipolato da una cabala di ebrei; George Picot era un diplomatico francese, sostenitore di una Grande Siria che comprendeva l’attuale Turchia, la Siria, il Libano e parte dell’attuale Iraq. Una parte importante delle trattative fu condotta da un misterioso ufficiale arabo, comparso praticamente dal nulla, che con gli inglesi si finse un emissario dei nazionalisti arabi, e con i nazionalisti arabi un inviato del governo inglese.
L’accordo fu ultimato quando era ancora molto difficile prevedere chi avrebbe vinto la guerra: in Francia era in corso la grande battaglia di Verdun, mentre in Medio Oriente gli inglesi avevano subìto soltanto sconfitte. Nel clima di incertezza di quei mesi, l’accordo Sykes-Picot era soltanto una generica dichiarazione di intenti tra Francia e Regno Unito e conteneva un’altrettanto generica promessa di indipendenza ad alcuni leader tribali arabi in cambio di una ribellione armata contro l’Impero Ottomano, che all’epoca controllava l’odierno Medio Oriente. Nel testo degli accordi non c’erano mappe di stati con i rispettivi confini, ma soltanto “aree di influenza” che sarebbero dovute spettare a un paese piuttosto che ad un altro. Agli arabi sarebbe dovuta andare un’area indipendente che comprendeva gran parte delle odierne Siria, Giordania e Arabia Saudita, oltre a una piccola fetta di Iraq. Negli stessi mesi in cui l’accordo veniva sottoscritto, altri diplomatici in altri uffici stavano già lavorando ad altri accordi completamente diversi da quello sottoscritto da Sykes-Picot.
Una mappa del Medio Oriente inclusa nel carteggio tra George Picot e Mark Sykes (Royal Geographical Society)
I confini come li conosciamo oggi furono disegnati molti anni dopo, in una serie di conferenze dopo la fine della guerra. La grande rivolta annunciata dagli arabi in cambio dell’indipendenza non si era materializzata e per Francia e Regno Unito fu facile rimangiarsi la loro promessa di indipendenza. La “leggenda nera” dell’accordo Sykes-Picot nacque perché il leader bolscevico Lenin ne fece pubblicare la copia conservata negli archivi dello zar dopo la Rivoluzione di Ottobre. Fu un grande scandalo all’epoca, perché l’accordo era rimasto segreto fino ad allora, mentre pubblicamente Francia e Regno Unito si erano impegnate a non suddividersi quello che rimaneva dell’Impero Ottomano prima di aver concluso la guerra e consultato le popolazioni locali.
Ma anche spostare le critiche dall’accordo Sykes-Picot ai successivi trattati che portarono alla nascita del moderno Medio Oriente rischia di essere altrettanto futile. I diplomatici europei non furono così inaccurati, come invece si sostiene spesso, e nel loro lavoro cercarono per quanto possibile di conciliare le esigenze politiche con la realtà locale. All’epoca buona parte delle divisioni che oggi ci sembrano insanabili, come quella tra sciiti e sunniti, erano a malapena percepite e raramente davano origine a violenze etniche o religiose. Molti storici ritengono semplicistico attribuire alle frontiere artificiali tutti i problemi del Medio Oriente. Come notano Cook e Leheta, gran parte delle frontiere di tutto il mondo è il frutto di negoziati tra interessi politici contrapposti che raramente hanno portato a soluzioni geograficamente ed etnicamente omogenee. Raccontare le popolazioni locali come attori inerti nelle mani delle cospirazioni occidentali è da tempo ritenuto un atteggiamento paternalistico-orientalistico.
La situazione caotica che c’è in Siria è uno degli esempi migliori che spiegano come gli accordi sottoscritti dopo la Prima guerra mondiale abbiano una parte secondaria nel Medio Oriente di oggi. Nick Danforth ha ricordato sul New York Times come gli amministratori francesi cercarono di dividere la Siria in due entità: da una parte quella che volevano controllare direttamente, abitata da cristiani e alauiti (un gruppo religioso associato allo sciismo); dall’altra parte quella che volevano far governare agli arabi in maniera autonoma, abitata dai sunniti. All’epoca furono proprio i nazionalisti pan-arabi che si opposero all’idea degli amministratori francesi, al punto da convincerli ad amministrare la Siria come un’unica entità.
È strano come l’accordo Sykes-Picot sia diventato il sinonimo del tradimento dell’indipendenza araba e delle ingerenze dell’Europa in Medio Oriente, visto che il diplomatico britannico Mark Sykes fu tra i pochi a credere nella possibilità di creare una grande nazione araba indipendente. Nel corso dei negoziati, Sykes, che aveva iniziato le trattative su posizioni anti-arabe ed era convinto che il mondo fosse manipolato da una cospirazione ebraica, si convertì al sionismo e al nazionalismo arabo. Mentre preparava i testi dell’accordo sperava di creare un Medio Oriente dove ebrei e arabi avrebbero coesistito pacificamente, all’interno di stati indipendenti.