Le classifiche sulla libertà di stampa sono una cosa seria?
In quella diffusa oggi l'Italia è al 77° posto, sotto paesi come El Salvador e Burkina Faso: è possibile? Come sono decise le posizioni?
Oggi tutti i giornali italiani parlano del “World Press Freedom Index“, la classifica in cui ogni anno l’organizzazione non governativa Reporter Senza Frontiere (RSF) ordina i paesi del mondo sulla base di quanto è libera la loro stampa. L’Italia, come sempre negli ultimi anni, è andata molto male: si trova al 77° posto su 180. Davanti all’Italia ci sono paesi che difficilmente si possono definire campioni di democrazia.
Per esempio al 58° posto c’è El Salvador, il paese con il più alto tasso annuale di omicidi al mondo: ci sono cento omicidi ogni 100 mila abitanti (cento volte il tasso italiano), quasi tutti causati dalle potentissime organizzazioni criminali locali. La stessa RSF ammette che in Salvador la stampa è peraltro apertamente minacciata dal regime e diversi giornalisti sono stati uccisi negli ultimi anni. Al 42° posto c’è il Burkina Faso, un paese che non ha grandi organizzazioni editoriali e dove negli ultimi mesi si sono succeduti colpi di stato, attacchi di al Qaida e le prime elezioni democratiche negli ultimi 27 anni (il Burkina ha incredibilmente ottenuto posizioni in classifica superiori all’Italia anche quando era una dittatura). Al 76° posto è considerata poco più libera dell’Italia la Moldavia, considerato uno dei paesi più corrotti d’Europa, dove è molto sentita la presenza e la pressione dei media filo-russi.
Per capire come è possibile che l’Italia si trovi così in basso nella classifica, bisogna guardare più da vicino la metodologia utilizzata da RSF. Per stilare la classifica si usano alcuni criteri qualitativi e altri quantitativi. La prima parte è formata da un questionario che RSF distribuisce ai suoi partner in tutto il mondo: si tratta di associazioni, gruppi e singoli giornalisti, scelti a discrezione di RSF. La lista dei partner non viene diffusa (per proteggerli, dice RSF). Questi partner rispondono al questionario assegnando un punteggio da 1 a 10 a una serie domande raggruppate in sei argomenti: pluralismo, indipendenza dei media, contesto e autocensura, legislatura, trasparenza e infrastrutture. I vari punteggi in ognuno degli argomenti vengono “pesati” diversamente con una complicata formula matematica con la quale si ottiene un primo punteggio, il cosiddetto “ScoA”.
Il secondo punteggio, quello quantitativo, viene elaborato tenendo conto del numero di giornalisti uccisi nel paese, di quelli arrestati, di quelli minacciati e di quelli licenziati. Anche questi valori vengono pesati in maniera differente: un giornalista ucciso conta più di un giornalista arrestato, per esempio. Il risultato di questa formula viene a sua volta inserito in un’altra formula insieme allo “ScoA”. Dati quantitativi su violenze e minacce sommati allo “ScoA” producono il secondo punteggio, lo “ScoB”. Nello “ScoB” l’analisi quantitativa sugli abusi pesa per il 20 per cento, mentre il resto del punteggio deriva dallo “ScoA”. Nella classifica finale, RSF utilizza il dato più alto tra “ScoA” e “ScoB”.
Si tratta di un metodo molto complesso, che RSF ha raffinato nel corso degli anni – un grosso cambiamento di metodologia è avvenuto nel 2013 – e che è stato discusso e criticato su diverse riviste specializzate. La cosa più importante da capire è che si basa in gran parte sulle opinioni soggettive di enti e persone scelte da RSF, e questo ha causato negli anni diverse critiche al rapporto. RSF è stata accusata di avere tra i suoi partner personaggi legati all’opposizione cubana e venezuelana, per esempio, che quindi nel valutare i loro paesi potrebbero non essere stati completamente obiettivi; cose simili possono essere successe anche in altri paesi. Gran parte del punteggio – almeno l’80 per cento – deriva dalle valutazioni dei partner di RSF ed è quindi influenzato dalla loro sensibilità personale e dal loro contesto: un “4” assegnato in Italia, insomma, non ha necessariamente lo stesso valore di un “4” assegnato in El Salvador.
Di certo è una metodologia che rischia di portare a risultati bizzarri, o difficilmente spiegabili. Tra 2013 e 2014 per esempio, l’Italia ha perso 24 posizioni in un solo anno, scendendo dal 49° al 73° posto. Tra le ragioni fornite da RSF per questo calo c’è stato un aumento delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti, con «un grande incremento di attacchi alle loro proprietà, specie le automobili». Sono aumentate anche le cause di diffamazione che RSF giudica infondate, passate da 84 nel 2013 a 129 nei primi dieci mesi del 2014. Per il 2015, l’anno a cui si riferisce il rapporto appena uscito, RSF non è scesa altrettanto nei dettagli per spiegare un’ulteriore perdita di quattro posti in classifica, ma segnala comunque altre motivazioni. Queste motivazioni sono il numero di giornalisti sotto protezione della polizia (tra i 30 e i 50, ma il rapporto lo dice citando Repubblica) e il processo in cui sono coinvolti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, giornalisti autori di due libri sugli scandali nella Chiesa cattolica. Il processo di Nuzzi e Fittipaldi ha influito negativamente sul punteggio italiano anche se, di fatto, avviene in uno stato che non è l’Italia bensì il Vaticano.