Il ministro Poletti: i voti all’università non servono a niente
«Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21»
Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, è intervenuto oggi all’apertura dell’evento Job&Orienta, organizzato a Verona e dedicato a formazione e mondo del lavoro. Poletti, rivolgendosi a un pubblico formato per lo più da studenti, ha parlato di istruzione e lavoro e più in generale del modo – secondo lui sbagliato – in cui immaginiamo il lavoro in Italia: legato a un posto e a un certo orario. Parlando del fatto che molti studenti passano troppo tempo all’università con l’ambizione di un voto alto, piuttosto che con quella di entrare il prima possibile nel mondo del lavoro, Poletti ha detto:
«Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21. Così un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare. In Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. Perché i nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo. Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente»
Più avanti, parlando del modo in cui in Italia pensiamo al lavoro, Poletti ha detto:
«Il lavoro non si fa in un posto: il lavoro è un’attività umana, si fa in mille posti. E’ un sabato notte, all’una, e io sono nel mio letto; quello è definibile luogo di lavoro? Per me no, però io sto lavorando, e sto rispondendo a una mail. E nel contratto di lavoro quell’ora fatta all’una di notte tra il sabato e la domenica com’è trattata? In nessuna maniera, perché sarebbe straordinario, notturno, festivo e costa mezzo miliardo. Ma noi possiamo continuare a pensare che il lavoro sia questa cosa: un’ora di energia fisica del somaro attaccato alla stanga del mulino ceduta in cambio di dieci euro? No. E’ un pezzo della nostra vita, che vuol dire creatività, consapevolezza, responsabilità, fantasia»