È morto Henning Mankell
Aveva 67 anni, era uno scrittore noto in tutto il mondo soprattutto per i romanzi polizieschi con protagonista il commissario Wallander
Lo scrittore svedese Henning Mankell è morto nel sonno a Göteborg, in Svezia, nella notte tra domenica e lunedì: aveva 67 anni. I suoi libri polizieschi (genere a cui si era dedicato a un certo punto della sua vita) erano popolari e vendutissimi in tutto il mondo, come era famoso il personaggio del commissario Kurt Wallander, anche grazie a una serie tratta dai libri prodotta da BBC, con protagonista Kenneth Branagh. In Italia i suoi romanzi erano stati pubblicati soprattutto da Marsilio, ma anche da Mondadori e Rizzoli.
Mankell era nato a Stoccolma nel 1948, il padre era un giudice. Faceva lo scrittore fin da quando era molto giovane e aveva composto opere teatrali, romanzi, libri e sceneggiature per bambini, molti ambientati in Africa. Aveva vissuto in Norvegia collaborando con le attività del partito comunista di quel paese e a 22 anni era stato in Africa: nel 1985 a Maputo, in Mozambico, aveva fondato il Teatro Avenida che continuava a dirigere. Il successo arrivò alla fine degli anni Ottanta grazie al commissario Wallander, protagonista di “Assassino senza volto”, libro che aveva vinto il premio Glasnyckeln dedicato ai migliori romanzi gialli dei paesi scandinavi. Ne nacque una serie tradotta in più di quaranta lingue che ha venduto in tutto il mondo più di 40 milioni di copie. In un’intervista alla BBC Mankell aveva spiegato come era nato il personaggio di Wallander:
«Quando ho cominciato a scrivere “Assassino senza volto” mi sembrò che xenofobia e atteggiamenti razzisti fossero attitudini criminali, allora mi parve ovvio introdurvi una trama gialla. A quel punto ho realizzato che avevo bisogno di un agente di polizia. Wallander è stato creato per scrivere una storia sulla xenofobia e questo per me è molto importante. Non è cominciato con un detective, è cominciato con la storia e così è continuato per tutte le storie che ho scritto su di lui. Prima viene la storia, poi viene lui».
Nel 2001 Mankell aveva fondato una propria casa editrice, la Leopard Förlag, che aveva l’obiettivo di sostenere e aiutare i giovani scrittori africani e svedesi. Nel gennaio del 2014 aveva raccontato sul suo sito che gli era stato diagnosticato un tumore alla nuca e al polmone sinistro spiegando di averlo scoperto dopo essere andato da un ortopedico a Stoccolma per il dolore al collo. Aveva anche detto che il cancro poteva «essersi diffuso anche ad altre parti del corpo» e che «tutto quello che era normale fino a quel momento era sparito all’improvviso. Nessuno era morto di cancro nella mia famiglia. Avevo sempre pensato che sarei morto di qualcos’altro». Alla malattia aveva dedicato il suo ultimo libro, “Sabbie mobili. L’arte di sopravvivere”, pubblicato in Italia da Marsilio.
Mankell era molto impegnato politicamente: nel 2010 aveva partecipato alla Freedom Flotilla che aveva tentato di forzare il blocco navale israeliano imposto alla Striscia di Gaza e in Africa lavorava a diversi progetti sull’HIV per incoraggiare i genitori con questa malattia a lasciare una testimonianza scritta della loro storia, per i figli, ma anche per le generazioni future. Era sposato con Eva Bergman, regista e figlia di Ingmar Bergman, e aveva un figlio.