La legge francese contro gli sprechi alimentari dei supermercati
È stata approvata dal Parlamento, costringerà i supermercati a donare cibo invenduto in beneficenza (e come funziona in Italia?)
Giovedì 21 maggio l’Assemblea nazionale francese – la camera bassa del Parlamento – ha approvato all’unanimità tre emendamenti a una legge sulla transizione energetica che prevedono alcune misure contro gli sprechi alimentari nei grandi supermercati. Il promotore degli emendamenti è l’ex ministro con delega all’agroalimentare Guillaume Garot, del Partito Socialista: Garot ha presentato gli emendamenti insieme ad alcuni parlamentari sia della maggioranza che dell’opposizione. Grazie al voto di oggi, d’ora in poi i supermercati delle grandi catene non potranno buttare via o distruggere i prodotti alimentari invenduti, ma saranno obbligati a donarli ad associazioni di beneficenza. Oltre che ai poveri e ai senzatetto, il cibo recuperato sarà utilizzato per mangimi animali e per la produzione di compost per l’agricoltura. I rivenditori con una superficie di oltre 400 metri quadrati dovranno stipulare degli accordi con le associazioni benefiche entro luglio del prossimo anno, altrimenti rischieranno multe fino a 75 mila euro e fino a due anni di carcere.
Con questa nuova legge il governo francese spera di riuscire a dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2025. Garot ha spiegato, riferendosi a un metodo usato dai supermercati per evitare che le persone raccolgano il cibo dai loro contenitori per i rifiuti: «È scandaloso vedere versare candeggina nei cassonetti insieme a cibo commestibile». Jacques Creyssel, capo della FCD, la principale federazione di commercianti e distributori francesi, ha però criticato la legge, spiegando che i grandi supermercati sono responsabili solo del 5 per cento degli sprechi alimentari e che in molti casi ci sono già accordi con associazioni di beneficenza: i grandi supermercati, ha detto Creyssel, sono già tra i principali donatori di cibo. Secondo alcune stime, ogni francese butta via dai 20 ai 30 chili di cibo all’anno, che equivalgono in totale a un valore stimato compreso tra i 12 ai 20 miliardi di euro. I rappresentanti della grande distribuzione sono preoccupati che i nuovi obblighi costringeranno i supermercati a spendere molti soldi per organizzare le procedure di stoccaggio e distribuzione del cibo invenduto.
Ad avere sollevato qualche dubbio sulla nuova legge sono anche alcune associazioni di beneficenza, che non sono sicure di riuscire a organizzare le operazioni di raccolta e distribuzione, soprattutto per i prodotti con scadenza tassativa (quelli che cioè non presentano la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”). Olivier Berthe, presidente di “Restos du cœur”, ha detto che la nuova legge rappresenta una costrizione anche per le organizzazioni, che dovrebbero poter scegliere la quantità e la qualità del cibo che ricevono, accettando solo quello di cui hanno realmente bisogno. Secondo la legge, tuttavia, spetta ai supermercati fornire il cibo pronto per il consumo: non devono essere le associazioni a dividere quello commestibile da quello andato a male. Michel-Edouard Leclerc, a capo del gruppo Leclerc, ha detto che ora bisogna impegnarsi a organizzare la raccolta da parte delle organizzazioni, sostenendo la necessità di un piano di aiuti che permetta loro di dotarsi di camion con celle frigorifere.
In Italia gli sprechi alimentari legati alla grande distribuzione sono in diminuzione, grazie ad alcune iniziative di recupero promosse dai supermercati e da associazioni come ad esempio la Onlus Banco Alimentare (vicina al movimento cattolico Comunione e Liberazione) o Last Minute Market. Nel 2014 Banco Alimentare ha recuperato dal settore della grande distribuzione oltre quattromila tonnellate di cibo, ridistribuite a migliaia di organizzazioni di beneficenza in Italia. Il Corriere della Sera nel 2013 aveva scritto sul cibo invenduto nei supermercati: «L’81% viene indirizzato a enti di smaltimento per concimare il terreno o produrre energia. L’11% viene venduto ad aziende che lo utilizzano per l’alimentazione animale o la produzione di mangimi. Il 10% viene invece viene conferito a food bank o enti caritativi (6,4%) o venduto in mercati secondari (1,1%).»