La foto della bandiera rossa sul Reichstag
Fu scattata 70 anni fa sul tetto del parlamento tedesco a Berlino, è l'immagine simbolo della fine della Seconda guerra mondiale
Nelle prime ore del mattino del 2 maggio 1945, il tenente Yevgeny Khaldei, un giornalista dell’Armata Rossa (l’esercito dell’Unione Sovietica), salì sul tetto del Reichstag, la sede del parlamento tedesco e il luogo dell’ultima disperata difesa dei soldati nazisti di fronte all’avanzata dei sovietici. Arrivato in cima, Khaldei scattò quella che è diventata una delle fotografie più famose del Ventesimo secolo: un soldato russo che sventola la bandiera sovietica sullo sfondo delle rovine di Berlino. Quella fotografia è diventata il simbolo della fine della Seconda guerra mondiale, il più violento conflitto a cui l’umanità abbia mai assistito.
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Ancora oggi non è chiaro chi fu il soldato a sventolare la bandiera: i ricordi dei protagonisti si sono mischiati con la propaganda sovietica dell’epoca. Ad esempio, l’immagine più diffusa e conosciuta è stata alterata: i censori sovietici aggiunsero del fumo sullo sfondo, per dare alla fotografia un effetto più drammatico, mentre furono cancellati alcuni dettagli, come i molti orologi da polso indossati da uno dei soldati, segno che probabilmente l’uomo aveva partecipato a diversi saccheggi. Secondo Khaldei, l’autore della foto, il soldato che stringe la bandiera era il diciottenne ucraino Alexei Kovalyov, mentre secondo la versione ufficiale sul tetto erano presenti altri due soldati, un russo e un georgiano.
Chiunque ci fosse sul tetto del Reichstag quel giorno, non era il primo soldato russo ad arrivare là in cima. Il 30 aprile, tre giorni prima, una pattuglia di soldati era riuscita a entrare nel Reichstag e a sventolare la bandiera sovietica dal tetto, ma nelle ore successive le SS che presidiavano il palazzo erano riuscite a respingerli con un ultimo contrattacco. La battaglia durava oramai da due settimane: era cominciata il 16 aprile, quando l’esercito russo aveva lanciato l’ultima offensiva della guerra: la conquista delle alture di Seelow, a est di Berlino, l’ultima linea di difesa nazista prima della capitale tedesca. Era una battaglia dall’esito scontato: per ognuno dei circa 100 mila difensori tedeschi c’erano almeno dieci soldati russi.
L’attacco a Berlino fu condotto senza alcun riguardo per i civili e per gli stessi soldati russi. Il dittatore sovietico, Josiph Stalin, era terrorizzato dall’idea che Hitler potesse riuscire a fuggire o che le truppe inglesi e americane potessero entrare in città prima dell’Armata Rossa. Stalin prese personalmente il comando delle operazioni e mise in competizione i suoi due principali comandanti su chi per primo sarebbe arrivato in città. I due generali inviarono moltissimi uomini minacciando e spesso facendo fucilare chiunque si rifiutasse di andare all’attacco. Moltissimi russi, comunque, non avevano bisogno di essere incoraggiati, poiché avevano avuto familiari uccisi, violentati o torturati nei lunghi anni in cui la Germania nazista aveva occupato grandi porzioni della Russia.
Il 20 aprile, dopo aver subito decine di migliaia di perdite tra morti e feriti, i russi riuscirono a circondare completamente Berlino. Quel giorno, il 56esimo compleanno di Adolf Hitler, l’artiglieria russa cominciò a bombardare Berlino. Andò avanti fino al 2 maggio, usando sulla città una quantità di esplosivo superiore a quella lanciata nel corso di tutti i bombardamenti aerei alleati. A Berlino c’erano ancora 45 mila soldati dell’esercito regolare tedesco e altri quarantamila anziani e ragazzini della milizia, reclutati in tutta fretta, male armati e male addestrati (nell’ultimo video in cui compare Hitler, qui sotto, si vede il dittatore consegnare medaglie ad alcuni di questi bambini-soldato). La situazione dei tedeschi era disperata, ma Hitler e i suoi generali non diedero a nessuno la possibilità di arrendersi. Come ha raccontato nel suo libro Armageddon lo storico Max Hastings, per le strade in rovina della città giravano pattuglie di SS incaricate di impiccare ai lampioni chiunque cercasse di disertare.
Le tattiche spietate di Hitler e dei suoi generali servirono soltanto a ritardare l’inevitabile. Dopo una settimana di combattimenti, i nazisti controllavano soltanto pochi chilometri quadrati di città intorno al Reichstag: dei centomila difensori ne erano rimasti appena diecimila. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile, Hitler sposò la sua compagna Eva Braun e poche ore dopo si suicidò ingoiando una capsula di cianuro e sparandosi alla tempia. Gli uomini delle SS sapevano che non sarebbero mai stati presi prigionieri e si radunarono intorno e all’interno del Reichstag per organizzare una disperata resistenza. Tra di loro c’erano molti uomini della “legione straniera” nazista: francesi, spagnoli e olandesi che avevano indossato la divisa delle SS quando sembrava che i nazisti stessero vincendo la guerra. Per due giorni questi uomini riuscirono a respingere gli attacchi sovietici, perdendo e riconquistando il Reichstag diverse volte.
Alle sei di mattina del 2 maggio il generale Helmuth Weidling, comandante tedesco di Berlino, uscì dal suo bunker sotterraneo e si consegnò ai russi. Poche ore dopo venne firmata la resa della città e alle 15, per la prima volta in due settimane, l’artiglieria russa smise di sparare. Poche ore prima Khaldei aveva raggiunto il tetto del Reichstag, camminando in mezzo ai corpi degli ultimi difensori, e aveva scattato la sua fotografia. Nonostante il simbolismo che ha acquistato quell’immagine, la guerra in Europa non terminò quel giorno: sarebbe durata fino all’8 maggio. Per la città di Berlino il peggio non era ancora terminato. Più di centomila berlinesi erano morti nella battaglia, molti altri sarebbero stati uccisi nei giorni successivi e migliaia di donne sarebbero state violentate in una delle più spietate vendette dell’ultimo secolo.