Gli americani più integrati di tutti
L'Economist racconta il ceppo etnico più numeroso degli Stati Uniti, e il meno visibile: i tedeschi
Secondo i dati dell’ufficio del censimento statunitense nel 2013, il gruppo etnico più grande degli Stati Uniti d’America – se si separano i 53 milioni di ispanici, o “latinos”, nei singoli ceppi messicano-americano, cubano-americano e così via – è forse il meno conosciuto e visibile: quello germanico. Su un totale di 316 milioni di abitanti, infatti, sono 46 milioni i Deutschamerikaner, cittadini americani di discendenza germanica, un numero che supera quello della popolazione di origini irlandesi (33 milioni) ed è quasi doppio rispetto a quello degli anglo-americani (25 milioni).
La massiccia immigrazione tedesca negli Stati Uniti d’America cominciò verso la metà del diciannovesimo secolo ed era composta di una parte della borghesia urbana, ma soprattutto da contadini provenienti dalle campagne, i quali abbandonarono la propria nazione dopo la repressione della rivoluzione del 1848, in cui la popolazione si rivoltò contro il re prussiano Federico Guglielmo IV e l’aristocrazia terriera chiedendo l’emanazione di una costituzione e la formazione di un parlamento. L’origine in larga parte rurale degli immigrati tedeschi è uno dei motivi per cui le comunità germaniche si stabilirono prevalentemente negli stati centrali del Midwest e si misero a coltivare le grandi superfici di terreni liberi. Questa predilezione per le tranquille distese dell’entroterra tenne quei nuovi americani, in un certo senso, ai margini della vita pubblica statunitense, a differenza di altri gruppi – come quelli italiano o polacco – che stabilendosi invece in prevalenza nelle città costiere ebbero maggiore visibilità nell’immaginario nazionale e una partecipazione più diretta all’attività politica e sociale nazionale.
Le idee progressiste del socialismo tedesco che gli immigrati delusi dalla rivoluzione fallita si portarono dietro, tuttavia, ebbero un’importante influenza sulla politica locale, specie in quella di stati come North Dakota, Wisconsin, South Dakota e Nebraska, dove la popolazione di origine germanica ancora oggi supera il 40 per cento del totale. Si riferisce a questa eredità culturale lo storico John Gurda quando, interpellato in un articolo dell’Economist di questa settimana, dice che “germanesimo, socialismo e birra rendono Milwaukee (la più popolata area metropolitana del Wisconsin, NdR) diversa”. La città da 604mila abitanti situata sulle rive del lago Michigan, infatti, è l’unica tra le principali degli Stati Uniti d’America a essere stata governata per molti decenni da sindaci socialisti, di cui due (Emil Seidel e Frank Zeidler) proprio di origini germaniche.
In una realtà sociale come quella statunitense che fa del melting pot (il cosiddetto “crogiolo di culture”, in cui diverse provenienze etniche e religiose si amalgamano all’interno di una stessa società) una caratteristica essenziale e un punto d’orgoglio, quella germanica è sempre stata invece una maggioranza piuttosto silenziosa, specie dalla Prima guerra mondiale in avanti, periodo in cui negli Stati Uniti d’America crebbe un marcato sentimento anti-tedesco. Durante quegli anni, racconta l’Economist, gli americani di origine germanica vennero in diversi casi aggrediti per strada, l’insegnamento della loro lingua madre fu bandito dalle scuole, i libri tedeschi bruciati e la propaganda si spinse fino alla cucina: uno dei piatti tipici che gli immigrati avevano importato dalla madrepatria – i sauerkraut, crauti fermentati che accompagnano i piatti principali della tradizione tedesca – fu ribattezzato “liberty cabbage” (cavoli della libertà).
Alla fine di questo periodo, molti germano-americani smisero di parlare tedesco e anglicizzarono i propri nomi, nel tentativo di nascondere il più possibile le proprie origini. Durante la Seconda guerra mondiale il sentimento anti-germanico fece sì che circa diecimila cittadini americani di origine tedesca fossero arrestati e imprigionati come “enemy aliens”, ossia nemici stranieri. Il presidente degli Stati Uniti d’America del tempo, Franklin Delano Roosevelt, scelse di nominare numerosi comandanti militari con cognomi di chiara derivazione germanica per combattere proprio la Germania nazista, ma l’Olocausto e le violenze perpetrate dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale spinsero ulteriormente il gruppo etnico tedesco a tacere per quanto possibile sulle proprie origini e a sforzarsi a un’integrazione maggiore e all’assunzione di una nuova identità americana.
Quest’atteggiamento ha caratterizzato anche il comportamento delle grandi aziende fondate da germano-americani, come Pfizer, Boeing, Steinway, Levi Strauss o Heinz – poco propense a sbandierare le proprie origini come un punto d’orgoglio, a differenza di altre con diverse origini europee – e dai politici nazionali, che solo nel 2010 hanno fondato il primo “comitato elettorale germanico” al Congresso USA, un gruppo che ora può contare su circa 100 componenti che si occupano di promuovere affari e investimenti, ma anche di tutelare la comune eredità culturale. Oltre ad essere rilevante per numero, la parte di popolazione rappresentata da questo comitato elettorale è anche piuttosto benestante: i discendenti degli immigrati germanici hanno un reddito medio superiore del 18 per cento, un tasso d’istruzione più elevato e un livello di disoccupazione più basso rispetto alla media statunitense.
(nella foto, un momento della annuale “German Heritage Fest” di Millcreek Township, Pennsylvania, agosto 2014 AP Photo/Erie Times-News, Christopher Millette)