La Turchia contro Charlie Hebdo
Il governo ha oscurato i siti Internet che mostrano la copertina con Maometto, ha ispezionato la sede di un giornale laico e considera le vignette "un'aperta provocazione"
Da due giorni in Turchia c’è un ampio dibattito riguardo l’opportunità di pubblicare e diffondere le vignette del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, obiettivo di un attentato terroristico lo scorso 7 gennaio a Parigi. Il quotidiano turco Cumhuriyet – di opposizione e di sinistra – aveva annunciato di voler pubblicare come supplemento all’edizione del giornale di mercoledì 14 gennaio una selezione delle vignette dell’ultimo numero di Charlie Hebdo, escludendo comunque quelle ritenute “potenzialmente offensive” alle diverse sensibilità religiose. Due editorialisti di Cumhuriyet hanno però deciso di pubblicare all’interno dello spazio a loro dedicato la discussa copertina del nuovo numero, con Maometto che tiene in mano un cartello con scritto “Je suis Charlie”, provocando la reazione del governo turco.
Nella notte tra il 13 e il 14 gennaio la polizia turca ha compiuto un’ispezione a sorpresa per verificare che sulla prima pagina di Cumhuriyet non fosse stato raffigurato Maometto. Le Monde scrive che non avendo trovato contenuti ritenuti offensivi per l’Islam, la polizia ha permesso la diffusione di Cumhuriyet, non accorgendosi però che all’interno del giornale – a pagina 5 e a pagina 12 – era stata pubblicata in piccolo la copertina del nuovo Charlie Hebdo (Cumhuriyet ha avuto grossi problemi in passato per le sue posizioni su laicità e Islam: tra il 1990 e il 1995 sette suoi giornalisti furono uccisi da estremisti islamici). Nel corso della giornata di mercoledì, comunque, il governo turco ha adottato delle misure per limitare la pubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo anche online: ha ordinato la chiusura di tutti i siti che mostravano la nuova copertina con Maometto, tra cui Birgun.net, internethaber.com, Thelira.com, T24.com.
Intanto giovedì tre importanti riviste satiriche turche, Leman, Penguen e Uykusuz, hanno deciso di uscir con la stessa copertina: la scritta “Je suis Charlie” e lo sfondo nero, come segno di solidarietà verso Charlie Hebdo.
Il governo turco era presente alla grande marcia repubblicana che si è tenuta a Parigi domenica 11 gennaio a favore dell’unità e della libertà di espressione: assieme agli altri capi di stato e di governo c’era il primo ministro Ahmet Davutoğlu, appartenente al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP, la sigla in turco), lo stesso partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Nonostante il gesto simbolico della partecipazione alla marcia per Charlie Hebdo, il governo di Ankara – accusato in passato di voler islamizzare forzatamente la società turca – si è opposto alla pubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo riguardanti l’islam: il vice-primo ministro turco, Yalçın Akdoğan, ha scritto su Twitter: «Coloro che pubblicano immagini relative al nostro sublime profeta e che disprezzano i sentimenti sacri dei musulmani verranno considerati dei provocatori». Giovedì 15 gennaio il primo ministro Davutoğlu ha detto che la libertà di espressione non dà il diritto di insultare e ha accusato il primo ministro israeliano Banjamin Netanyahu di avere commesso “crimini contro l’umanità come quelli commessi dai terroristi responsabili del massacro di Parigi” (Davutoğlu si è riferito all’attacco contro la Navi Marmara del 31 maggio 2010 e all’ultima guerra nella Striscia di Gaza).
La Turchia è un paese a maggioranza musulmana, anche se ha una lunga tradizione di laicità sostenuta soprattutto dall’esercito e ispirata al fondatore dello stato moderno turco, Mustafa Kemal Atatürk. Già in passato il presidente Recep Tayyip Erdoğan era stato duramente criticato per forzare un’islamizzazione della società turca e per imporre dei limiti significativi alla libertà di espressione, come l’arresto di importanti giornalisti e la chiusura temporanea di Twitter e Youtube (Erdoğan è presidente dall’agosto del 2014, mentre dal 2003 al 2014 ha ricoperto il ruolo di primo ministro: dal 2003 è considerato comunque il politico più potente della Turchia).