Cos’ha scoperto Philae sulla cometa
I suoi strumenti hanno trovato indizi della presenza di molecole organiche e hanno scoperto che la superficie di 67P è più dura del previsto: ma siamo ancora all'inizio
di Emanuele Menietti – @emenietti
Il lander Philae, atterrato lo scorso novembre sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko nell’ambito della missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ha rilevato la presenza di molecole organiche nell’atmosfera del corpo celeste nelle circa 60 ore in cui è rimasto attivo sulla sua superficie, prima di scaricarsi. I composti sono stati identificati dallo strumento COSAC (Cometary Sampling and Composition Experiment) attraverso una serie di suoi sensori, ma saranno necessarie settimane per analizzare tutti i dati e avere informazioni più precise. I ricercatori ipotizzano da tempo che le comete trasportino elementi necessari per la vita, come il carbonio, e nell’estate scorsa alcune rilevazioni della sonda Rosetta avevano suggerito la presenza di alcuni composti organici.
I dati raccolti da Philae
L’atterraggio di Philae sulla cometa, che si trova ormai a oltre 514 milioni di chilometri dalla Terra, è stato piuttosto complicato: il lander è rimbalzato sulla superficie due volte, compiendo di fatto tre atterraggi. Il primo è avvenuto nel punto calcolato dall’ESA, ma i rimbalzi lo hanno poi portato a distanziarsi dall’area prevista di circa un chilometro finendo in un punto, ancora da trovare di preciso, poco illuminato dal Sole e di conseguenza non adatto a ricaricare a sufficienza le batterie di Philae attraverso i suoi pannelli solari. Il lander ora è inattivo, in uno stato di ibernazione, ma grazie a una batteria primaria caricata prima della sua missione ha potuto raccogliere nei due giorni seguenti all’atterraggio una grande mole di dati, che ora i ricercatori devono analizzare.
Dura come il ghiaccio
I team di ricerca responsabili dei dieci strumenti a bordo di Philae hanno iniziato a dare qualche informazione sui loro esperimenti. Il gruppo che si è occupato di MUPUS (Multi-Purpose Sensors for Surface and Sub-Surface Science), una sorta di piccolo martelletto che ha provato a conficcarsi nella cometa, ha spiegato che nonostante il progressivo aumento della potenza fornita al martello, non è stato possibile scalfire più di tanto la superficie di 67P. La cometa, almeno superficialmente e nel punto in cui è atterrato Philae, è dura come il ghiaccio e molto più resistente del previsto. L’analisi dei dati è comunque solo all’inizio e i ricercatori di MUPUS comunicheranno altri risultati nelle prossime settimane.
Anche i ricercatori che si sono occupati dello strumento SESAME (Surface Electrical, Seismic and Acoustic Monitoring Experiment) hanno confermato che la superficie di 67P non è morbida come si era immaginato, pensando che potesse avere caratteristiche simili a quelle di una palla di neve. Philae è atterrato in un posto duro e con uno strato di polvere superiore al previsto. Stando alle rilevazioni dello strumento, nella zona non c’è una particolare attività e al di sotto del lander c’è uno strato di acqua ghiacciata.
Molecole organiche
I risultati più interessanti per quanto riguarda la composizione della cometa dovrebbero comunque arrivare dalle analisi che effettueranno gli strumenti COSAC e PTOLEMY, ammesso che si sia verificato il prelievo di campioni di suolo. Questo compito spettava allo strumento SD2 (Sampling, Drilling and Distribution) messo a punto dal Politecnico di Milano. Stando ai dati, la piccola trivella di SD2 ha eseguito regolarmente l’intera procedura che prevedeva la perforazione della cometa, la raccolta di campioni e la loro consegna ai sensori di COSAC e PTOLEMY per le analisi. SD2 si è mosso come doveva, ma i ricercatori devono ancora studiare i dati per capire se sia riuscito o meno a consegnare il materiale raccolto. Philae nel suo ultimo atterraggio non è finito in una posizione molto stabile e questo potrebbe avere complicato il prelievo dei campioni.
Come da programma COSAC ha comunque fatto qualche rilevazione dell’atmosfera intorno alla cometa, ed è così che i suoi sensori hanno rilevato la presenza di molecole organiche. Ora si tratta di capire di che tipo di molecole si tratta. In estate gli strumenti della sonda Rosetta, che orbita intorno a 67P, avevano trovato indizi circa la presenza di acqua, monossido di carbonio e anidride carbonica, probabilmente fuoriusciti da uno degli strati della cometa. Era stata anche rilevata la presenza di ammoniaca, metano e metanolo.
Vita e comete
Nel 2009 la NASA annunciò di avere scoperto grazie alla sonda Stardust la presenza di glicina, un composto organico (amminoacido) degli esseri viventi, nel materiale emesso dalla cometa Wild-2 osservata nel 2004. La scoperta ha confermato precedenti osservazioni e rilevazioni sulla presenza di composti organici per lo meno nel nostro sistema solare. I dati raccolti da Philae potrebbero dare nuove importanti conferme, grazie a una analisi diretta e sul campo dei composti che si trovano in una cometa.
Le comete sono relativamente piccole e si pensa che siano costituite quasi interamente da ghiaccio. Gli astronomi ritengono che siano le tracce rimaste dopo la condensazione di una grande nebulosa da cui ebbe origine il sistema solare in cui viviamo. Facendola semplice, una nebulosa è un enorme ammasso di polvere, idrogeno e plasma i cui meccanismi possono portare alla formazione di stelle e pianeti. Le aree periferiche della nebulosa erano fredde al punto tale da permettere all’acqua di trovarsi allo stato solido (ghiaccio), cosa che portò alla formazione delle comete.
Ogni cometa segue una sua orbita che la porta periodicamente ad avvicinarsi al Sole: il calore fa sublimare gli strati più esterni di ghiaccio (la sublimazione è il passaggio istantaneo dallo stato solido a quello gassoso senza passare per quello liquido). In questa fase intorno al nucleo delle comete si forma una “chioma” di vapori. Il vento solare e la pressione della radiazione del Sole spingono parte del vapore in direzione opposta rispetto a quella in cui viaggia la cometa quando si avvicina al Sole (perielio), portando alla formazione di quella che chiamiamo “coda”. La coda può essere lunga milioni di chilometri, al punto tale da essere ben visibile dalla Terra, come avvenne nel 1997 con la cometa Hale-Bopp.
Da tempo gli astronomi ipotizzano che le comete abbiano avuto in qualche modo un ruolo nel portare la vita sul nostro pianeta. La ricerca di composti organici che sta eseguendo la missione Rosetta potrebbe aiutare a capire qualcosa di più su quel processo, ammesso sia mai avvenuto.
Lungo viaggio
Philae intanto continua a viaggiare su 67P a una velocità di oltre 67mila chilometri orari avvicinandosi al Sole. I ricercatori dell’ESA sperano che in primavera le condizioni di luce nel punto in cui è finito il lander migliorino, in modo che i suoi pannelli solari possano ricevere raggi a sufficienza per caricare le batterie e fare uscire Philae dall’ibernazione. La missione continua comunque anche grazie alla sonda Rosetta, che sta inseguendo la cometa orbitandole intorno. Nei prossimi mesi scattarà nuove fotografie e raccoglierà dati su come cambiano le cose su 67P man mano che la temperatura aumenta con l’avvicinamento al Sole.