Il rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici
È uno dei più duri e chiari che siano stati prodotti fino a oggi: per evitare cambiamenti irreversibili entro il 2100 si dovranno abbandonare completamente i combustibili fossili
Domenica 2 novembre l’IPCC, la conferenza intergovernativa sui cambiamenti climatici sponsorizzata dalle Nazioni Unite, ha pubblicato un rapporto dopo una settimana di incontri e discussioni a Copenaghen, in Danimarca. Le conclusioni dell’IPCC contenute nel documento sono molto nette: entro il 2050 più di metà dell’energia del pianeta dovrà essere prodotta da fonti a basse emissioni di inquinanti atmosferici (tra cui l’energia nucleare), mentre i combustibili fossili dovranno completamente essere eliminati come fonte di energia entro il 2100. Questa riduzione, dice il rapporto, è assolutamente necessaria per limitare a 2°C l’incremento di temperatura sulla Terra nel corso dei prossimi cento anni.
Se queste indicazioni non saranno seguite, «le continue emissioni di gas serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti di lunga durata in tutte le componenti del sistema climatico, aumentando la possibilità di severe, pervasive e irreversibili conseguenze per l’umanità e per l’ecosistema». Le uniche soluzioni per raggiungere gli obiettivi fissati nel rapporto sono lasciare le riserve di combustibili fossili dove si trovano al momento, cioè sottoterra, oppure sviluppare tecnologie in grado di “catturare” le emissioni di gas serra. Visto che queste tecnologie non sono state ancora sviluppate in maniera efficace, l’utilizzo di fonti di energie rinnovabili o a basse emissioni sembra l’unica soluzione a breve termine.
Il rapporto pubblicato domenica è una sorta di sintesi degli altri rapporti pubblicati negli ultimi 13 mesi dall’IPCC. Un anno fa, alla fine del settembre 2013, l’IPCC aveva pubblicato un documento in cui diceva che c’era una possibilità pari al 95 per cento che il riscaldamento globale fosse causato dall’uomo. Negli altri rapporti, l’IPCC aveva affrontato l’impatto dell’aumento delle temperature (che aveva definito “duro, diffuso e irreversibile”) e le possibili soluzioni .
Il rapporto ha ricordato nuovamente che il periodo tra il 1983 e il 2012 è stato probabilmente il più caldo degli ultimi 1.400 anni. I primi effetti del riscaldamento globale sono già rilevabili nella crescente acidificazione degli oceani, nello scioglimento dei ghiacci artici e nella minore rese dei campi in diverse parti del mondo. Inoltre, senza un intervento deciso, la temperatura potrebbe innalzarsi fino a 5° rispetto all’epoca pre-industriale entro la fine del secolo. La soglia di aumento oltre la quale ci sono gravi pericoli per l’ambiente e l’uomo è stata fissata a 2°C.
Nelle sue conclusioni il rapporto è stato molto chiaro e insolitamente duro, un fatto che è stato accolto positivamente dagli attivisti per l’ambiente e meno positivamente dai paesi esportatori di fonti fossili. I delegati di Bolivia e Arabia Saudita, ad esempio, sono riusciti ad eliminare alcuni paragrafi particolarmente duri dal documento finale. Il rapporto comunque non lascia molti dubbi su quale deve essere la direzione da adottare nei prossimi anni e specifica che entro il 2050 sarà necessario produrre con energie rinnovabili almeno l’80 per cento delle necessità energetiche del mondo.