Che succede al Teatro dell’Opera di Roma
Come si è arrivati al licenziamento collettivo di orchestra e coro, che dovranno diventare un servizio esterno all'istituzione
Giovedì 2 ottobre il consiglio di amministrazione del Teatro dell’Opera di Roma – che è presieduto dal sindaco di Roma Ignazio Marino – ha approvato una procedura per fare in modo che orchestra e coro siano gestiti con un servizio esterno (esternalizzazione) e l’avvio della conseguente procedura di licenziamento collettivo. La decisione è arrivata dopo mesi di crisi, dissidi, accuse interne e scioperi. Lo scorso 14 settembre, inoltre, Riccardo Muti aveva annunciato la sua rinuncia a dirigere l’Aida e gli altri appuntamenti previsti per la stagione. Muti era stato nominato Direttore Onorario a vita nel 2011.
Il licenziamento riguarderà 182 persone. La procedura prevede dei giorni per le trattative sindacali e altri giorni per la trattativa nei tavoli istituzionali (dura al massimo 75 giorni). Poi si procederà al licenziamento effettivo: nei prossimi tre mesi tutti i dipendenti manterranno posto e stipendio. L’idea è di trovare un soggetto esterno che si faccia carico di gestire i servizi di orchestra e coro. I risparmi conseguenti al licenziamento saranno di circa 3,4 milioni di euro.
Il Teatro dell’Opera
Il Teatro dell’Opera di Roma è il teatro che a Roma è dedicato all’opera lirica e al balletto: il suo primo nome fu Teatro Costanzi, da quello del suo costruttore e primo gestore, Domenico Costanzi, un imprenditore di origine umbra che si occupava principalmente della costruzione di alberghi. Nel 1874, dopo aver comprato una serie di terreni tra la stazione ferroviaria (allora in costruzione) e via del Corso, Costanzi fece costruire prima l’Hotel Quirinale (su via Nazionale) e poi il teatro collegato all’albergo attraverso un passaggio sotterraneo.
Inizialmente il teatro non ebbe molto successo e il figlio di Costanzi (che aveva preso il posto del padre alla sua morte) ne cedette la gestione amministrativa, nel 1907, all’impresario Walter Mocchi. Nel 1926 il Comune di Roma acquistò e assunse la gestione del teatro che divenne “Teatro Reale dell’Opera”. In quegli anni fu completato e ampliato. Fu inaugurato per una seconda volta il 27 febbraio del 1928 e con l’avvento della Repubblica prese il nome attuale: “Teatro dell’Opera”. Nel 1958 fu di nuovo ristrutturato. Nel novembre del 2000 è stata costituita una Fondazione di cui sono soci fondatori lo Stato, il Comune di Roma e la Regione Lazio.
La situazione economica
I debiti del Teatro, negli ultimi tre anni, sono stati calcolati dal nuovo consiglio d’amministrazione intorno ai 25 milioni di euro. Solo nel 2013 il deficit ha superato i 12 milioni, come risulta dall’ultimo bilancio. La crisi del Teatro (di questo come di molti altri in Italia) si era aggravata con la diminuzione e i tagli degli stanziamenti per il Fondo unico per lo spettacolo, il meccanismo attraverso il quale il governo italiano fornisce sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese del cinema, della musica, della danza e appunto del teatro: tra il 2008 e il 2013 il Teatro dell’Opera aveva già affrontato tagli al personale per 10 milioni di euro (circa 150 dipendenti). Nell’agosto del 2013 era stata approvata la cosiddetta legge “Valore cultura” (legge 112/2013) promossa dall’allora ministro dei Beni e delle Attività culturali Massimo Bray: stabiliva, per le Fondazioni lirico-sinfoniche in stato di crisi, l’accesso a un fondo di 75 milioni di euro a certe condizioni:
– presentare entro 90 giorni un piano industriale di risanamento;
– ridurre fino al 50 per cento del personale tecnico amministrativo;
– interrompere i contratti integrativi.
Il Teatro dell’Opera di Roma (430 dipendenti in totale) aveva dunque presentato il suo piano di ristrutturazione aziendale che prevedeva il tagli di una cinquantina di dipendenti e maggiore flessibilità di orari e di prestazioni: questo avrebbe sbloccato oltre 20 milioni di euro di fondi governativi. L’alternativa, prevista sempre dalla legge Bray, era quella di una liquidazione amministrativa coatta.
Il piano proposto dal soprintendente Carlo Fuortes era stato accettato dalla maggioranza dei dipendenti (iscritti a Cisl e Uil), ma non dai lavoratori e dalle lavoratrici delle due sigle minoritarie, Cgil e Fials Cisal che sono però la maggioranza nell’orchestra e che rappresentano il 25 per cento dei lavoratori. Il piano di salvataggio era dunque rimasto sospeso: senza le firme di tutti il piano non poteva essere presentato e accettato da Palazzo Chigi (il lavoro in teatro è a prestazione collettiva).
Si era anche raggiunto un accordo sindacale a livello nazionale per indire un referendum che si è svolto il 19 settembre: la Fials non aveva partecipato e la Cgil del teatro, contravvenendo agli accordi fatti in precedenza, lo ha boicottato. E tutto questo tra scioperi, spettacoli sospesi, proteste e divisioni interne tra dipendenti sempre più aspre.
Il sovrintendente Fuortes, Ignazio Marino e Dario Franceschini
La decisione del licenziamento è stata «una scelta molto dura e sofferta» ha commentato il sovrintendente Carlo Fuortes spiegando però che l’alternativa sarebbe stata la chiusura. Il sindaco di Roma Ignazio Marino (PD) ha precisato che alla base della decisione c’è una motivazione economica: «Alla vigilia di Natale del 2013 è stato deliberato l’inizio del risanamento da quel disavanzo disastroso che avevamo trovato al momento del mio insediamento. Poi purtroppo una serie di situazioni hanno determinato una perdita di biglietteria, una fuga degli sponsor che vogliamo invece attrarre. Il doloroso e recente messaggio del maestro Muti ha determinato una frenata degli abbonamenti e una fuga degli sponsor. Ci troviamo con un risanamento avviato ma con differenza di entrate di 4,2 milioni di euro per l’anno prossimo». E il ministro della Cultura Dario Franceschini ha detto: « È un passaggio doloroso ma necessario per salvare l’Opera di Roma e ripartire».
Il sindacato
Marco Piazzai, segretario del sindacato Fials-Cisal del teatro, primo trombone dell’orchestra, ha invece detto che si tratta di un licenziamento ingiustificato e discriminatorio: «Che ci fanno oltre 280 tecnici e amministrativi al Teatro dell’Opera di Roma? In tutto ci sono circa 470 assunti a tempo indeterminato e solo 180 formano l’orchestra e il coro. Parliamo di famiglie di persone che guadagnano 1800-1900 euro al mese per il coro e in media 2000-2100 euro per gli orchestrali, circa 90 a tempo indeterminato».
E Paolo Terrinoni, segretario generale della Fistel Cisl di Roma e del Lazio, il sindacato che ha promosso il referendum tra i lavoratori che ha dato parere positivo al piano industriale proposto dal sovrintendente Carlo Fuortes, ha detto: «Ora l’unica strada per i lavoratori sembra essere quella di riunirsi in cooperative, di fatto smembrando l’orchestra e il coro, e permettendo al Teatro di scegliersi i lavoratori. Non si possono esternalizzare i servizi».
Nel frattempo, la Corte dei Conti ha aperto un’inchiesta sul Teatro dell’Opera di Roma sulle presunte spese eccessive della della precedente gestione, ovvero quella affidata al predecessore, di Fuortes, il sovrintendente Catello De Martino.