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  • Mercoledì 23 luglio 2014

La fisica delle particelle spiegata a una Pulce

Che è il modo con cui Marco Delmastro chiama sua figlia di cinque anni, nel suo libro sul Bosone di Higgs e i bicchieri d'acqua

È uscito per Laterza il libro Particelle familiari. Le avventure della fisica e del bosone di Higgs, con Pulce al seguito di Marco Delmastro, fisico delle particelle al CERN di Ginevra, dove lavora all’esperimento ATLAS, e autore dell’ottimo blog scientifico Borborigmi di un fisico renitente. Delmastro prova a spiegare un argomento considerato solo per addetti ai lavori, la fisica delle particelle, attraverso i dialoghi con familiari (la moglie e la figlia di cinque anni, ribattezzate la Signora delle Lettere e la Pulce) e amici (l’Ingegnere e la Zia Omeopatica) ai quali vuole far capire con un linguaggio comprensibile a tutti in cosa consiste il suo lavoro e la sua ricerca.

***

Persi in un bicchiere d’acqua

Nel bel mezzo del soggiorno, la Pulce sta giocando con i mattoncini delle costruzioni. Da qualche tempo ha abbandonato la versione per neonati con cui si è intrattenuta nei primi anni della sua vita, quella coi pezzi grossi e possibilità limitate, ed è orgogliosamente passata alla versione classica, che lei chiama «i mattoncini dei grandi». Da un giorno all’altro, la varietà dei pezzi è cresciuta a dismisura, e le possibilità si sono moltiplicate. Alcuni mattoncini sono ancora un po’ piccoli per le sue dita, ma sono molti gli adulti – io in prima fila! – che non perdono occasione per contribuire a costruire il castello o l’astronave di turno.
La Pulce interrompe un momento la costruzione della torre (ultimamente i suoi progetti sono sempre torri, che ospitano principesse in difficoltà in attesa di principi galanti) per andare a bere un bicchiere d’acqua. Lo trangugia in un fiato, ed esita un istante, con il bicchiere vuoto in mano, prima di ripartire di corsa verso il suo cantiere: «Papà – mi dice guardandomi intensamente –, l’altro giorno dicevi che potevamo tagliuzzare tutte le cose fino a scoprire i mattoncini minuscoli che le compongono. Io mi ricordo, sai? C’erano dei mattoncini che si chiamavano come il verso delle papere. Con quali mattoncini facciamo l’acqua?».
Mi accoccolo su un tappeto vicino alle fondamenta della torre, e prendo due mattoncini quadrati di colore blu, e uno uguale di colore verde. Qualche giorno fa, tagliuzzando un foglio di carta, avevo accennato alla Pulce che tutte le cose sono composte da mattoncini che chiamiamo quark, che, per quanto ne sappiamo oggi, sembrano essere i componenti fondamentali della materia. Contando sulla sua memoria formidabile, mentre incastro i due pezzi blu con quello verde le racconto che esistono diversi tipi di quark, che si combinano come i mattoncini. Abbiamo dato loro dei nomi strani, per esempio «su» e «giù». Se mettiamo insieme due quark «su» e un quark «giù», come questi due mattoncini blu e quello verde, otteniamo una particella che si chiama «protone». Se invece mettiamo insieme un mattoncino blu e due mattoncini verdi, ne facciamo un’altra che si chiama «neutrone».
«Come fanno a stare insieme? – chiede la Pulce incuriosita – Si incastrano come i mattoncini?».
Sarebbe troppo facile. Abbiamo scoperto che ci sono altre particelle che tengono insieme i quark come se fossero una colla. Non a caso, le chiamiamo «colloni», anche se, a dire tutta la verità, usiamo la parola inglese con lo stesso significato, «gluoni». Smonto il primo protone, e infilo tra i mattoncini blu e quello verde un paio di mattoncini trasparenti e sottili, a rappresentare i gluoni. La Pulce, ormai entusiasta del gioco, fa lo stesso con i mattoncini del neutrone.
Cosa ci manca per fare dell’acqua? Dobbiamo fare un paio di atomi di idrogeno, e uno di ossigeno. Per il primo le cose sono semplici: prendiamo un mattoncino giallo, della dimensione più piccola che troviamo, e gli facciamo fare l’elettrone. Adesso dobbiamo metterne uno a girare intorno al protone per fare l’atomo di idrogeno. La Pulce ha pronta la soluzione: recupera un mattoncino bianco, lungo e sottile, e attacca ad una estremità la pila di quark e gluoni che fanno un protone, e il mattoncino giallo che fa l’elettrone. Un’ottima idea: gli elettroni hanno carica elettrica negativa, i protoni positiva, e tra di loro passeggiano i messaggeri dell’interazione elettromagnetica, i fotoni, responsabili di tenere insieme i nuclei e gli elettroni dentro gli atomi.
Estremamente concentrata, la Pulce costruisce un altro protone esattamente uguale al primo, tutto da sola. Per l’atomo di ossigeno le cose sono più laboriose: dobbiamo costruire otto protoni e otto neutroni, e poi assemblarli in una grossa palla usando qualche gluone aggiuntivo. Ci fermiamo a metà strada, con un primo grumo di due protoni e due neutroni: è una particella alfa, un nucleo di elio, di quelle usate da Rutherford per bombardare la lamina d’oro e cercare di scoprire la struttura degli atomi. Finita la palla di otto protoni e otto neutroni, passiamo agli elettroni. La Pulce scava nella scatola, conta e riconta, e diligente pesca tanti mattoncini gialli quanti sono i protoni che abbiamo infilato nel nucleo dell’atomo di ossigeno, e altrettanti mattoncini bianchi stretti e lunghi, per attaccare gli elettroni alla palla centrale. Alla fine dell’impresa, abbiamo ottenuto un nucleo di ossigeno che assomiglia a una margherita aliena, o forse a un ragno. Arriva il passaggio delicato: attacchiamo altri due mattoncini bianchi al nucleo di ossigeno, senza però gli elettroni gialli al fondo. All’altra estremità incastriamo i mattoncini gialli dei due piccoli atomi di idrogeno, con i due protoni dei rispettivi nuclei a penzolare all’estremo opposto. Abbiamo fatto una molecola d’acqua, tutta di mattoncini.
«Sai quante di queste ce n’erano nel bicchiere che hai appena bevuto? – chiedo alla Pulce, che sta facendo volare la molecola di mattoncini in giro per la stanza, come fosse un’astronave – Approssimativamente tremilionitrecentocinquantamila miliardi di miliardi!».
La Pulce non riesce a immaginare un numero così grande, ma le è ben chiaro che, se davvero avesse abbastanza mattoncini per rappresentare tutte le molecole d’acqua dentro un bicchiere, non basterebbe la sua stanza a contenerle: «Pensa che torre potremmo fare per le principesse! – ridacchia entusiasta – Devono essere ben piccole queste particelle, papà!».
La Signora delle Lettere si affaccia sulla porta: è venuta l’ora di rimettere a posto. Decidiamo che la torre della principessa resterà montata in vista del gioco di domani, mentre possiamo tranquillamente disfare la molecola d’acqua. La Pulce concepisce solo due stati possibili per i suoi mattoncini: o completamente montati in qualche struttura, o riposti nella scatola, accuratamente separati per forma e colore. Con calma meticolosa stacca ogni mattoncino che componeva protoni, neutroni e nuvole elettroniche, e li riordina in mucchietti. Alla fine, la molecola d’acqua è ridotta a una pila di elettroni gialli e a due cataste di quark blu e verdi, affiancate a un gruppetto di gluoni trasparenti e a uno di fotoni bianchi.
«Con questi tipi di mattoncini possiamo fare tutto quanto, papà? – chiede la Pulce prima di raccoglierli, un po’ sospettosa – Anche… i gatti? Le matite colorate? I libri di fiabe?».
In effetti, questi componenti fondamentali – quark «su» e «giù» a comporre protoni e neutroni, elettroni che girano loro intorno – sembrano bastare per costruire tutte le sostanze che incontriamo nella vita quotidiana. A dire il vero, però, le cose sono ben più complicate. Nel corso dei decenni, non appena i fisici inventavano un nuovo modo per osservare le proprietà della materia, nuovi mattoncini continuavano a saltare fuori inaspettatamente, in un insieme che sembrava sempre più caotico. Ci è voluto parecchio tempo per fare ordine, e non è stato affatto semplice.
Approfittando dello squillo del telefono che richiama la Signora delle Lettere, ricostruisco al volo un neutrone con due mattoncini verdi, uno blu, e i gluoni sottili e trasparenti. Poi, stacco d’improvviso uno dei mattoncini blu e, davanti agli occhi esterrefatti della Pulce, le racconto della magia che può trasformare un quark «giù» in uno «su», lanciando fuori un mattoncino tozzo e largo di color arancione, che battezzo sul campo «Willy bosone» tra le risate della Pulce. Lei intanto rigira tra le mani il neutrone trasformato: «Non è più com’era prima, adesso sembra più quell’altro suo amico di prima, il protone!».

Proprio così. E mentre il neutrone muta in protone per la trasformazione di un quark «giù» in uno «su», io continuo con le magie: Willy bosone, il mattoncino arancione che fa ridere la Pulce, ha appena il tempo di allontanarsi dal neonato protone che lo faccio sparire da una parte, sostituendolo con un piccolo mattoncino giallo e uno di quei pezzi rotondi, trasparenti e rossi che usiamo per costruire i fari delle automobili di mattoncini. La Pulce mi ha visto benissimo prendere il primo dal mucchietto degli elettroni, ma è incuriosita dal secondo. Le spiego che si tratta di un neutrino, una particella leggerissima e molto timida, che per anni se n’è andata in giro senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Anzi, le spiego meglio mentre ribalto il pezzettino rosso a testa in giù, si tratta di un anti-neutrino, il gemello-al-contrario del neutrino. Le confido in un orecchio il nome della magia che abbiamo appena fatto, quella che muta un neutrone in un protone e butta fuori un elettrone e un neutrino: il «decadimento beta», una delle forme di radioattività. Ma la Pulce è ormai presa dall’idea dei mattoncini gemelli-al-contrario: «Tutti i mattoncini ne hanno uno?», chiede ribaltando a testa in giù anche un elettrone.
Tutti i mattoncini hanno un gemello-al-contrario; lo zoo si allarga e le magie pure. Se avvicino un mattoncino giallo, uno degli elettroni che giravano intorno ai nuclei di idrogeno e ossigeno fino a poco fa, al suo gemello al contrario, il positrone, ecco che entrambi spariscono, lasciando al loro posto un mattoncino bianco stretto e lungo, un fotone. Ma a volte, se elettrone e positrone hanno abbastanza energia, si crea un mattoncino bianco ben più largo e tozzo, simile nella forma a Willy bosone, che decidiamo di chiamare Zippo.
Mentre la Pulce scava nella scatola in cerca di altri bosoni Zippo, io prendo un quark «su» e uno «giù», ribalto il secondo per farne il gemello-al-contrario (un anti-quark, ormai il trucco è chiaro), li attacco con un gluone trasparente e faccio un pione, di quelli con carica elettrica positiva. Adesso anche la Pulce vuole partecipare: le faccio allora ribaltare il quark «su» per appiccicarlo a un quark «giù»: ecco un pione con carica elettrica negativa. A guardarlo, sembra proprio il gemello-al-contrario di quell’altro! Se invece mettiamo insieme due mattoncini blu, dei quali uno dei due sia il gemello-alcontrario dell’altro, e due mattoncini verdi gemelli allo stesso modo, facciamo un pione neutro.
È il momento di svelare alla Pulce il prossimo segreto. I protoni e i neutroni che abbiamo formato con i quark «su» e «giù» e i gluoni nascondono anche quark di altri tipi, che possono far capolino di tanto in tanto. I fisici se ne sono inizialmente accorti facendo sbattere i protoni contro bersagli costituiti da sottili fogli di metallo. Dopo l’urto, dall’altra parte del bersaglio, apparivano protoni, neutroni, pioni di ogni tipo, elettroni, positroni, e persino neutrini (anche se all’epoca nessuno li vedeva). Tra la folla sbucavano però anche particelle come queste: un mattoncino quadrato blu, di quelli che abbiamo usato fino ad adesso, e un mattoncino quadrato rosso, preso di fresco dalla scatola, attaccati con i soliti gluoni. Oppure un mattoncino quadrato verde e uno rosso. Oppure, un mattoncino blu, uno verde e uno rosso. I fisici, che ancora non avevano afferrato le regole del gioco dei mattoncini quadrati, le chiamavano particelle «strane», perché non ne capivano bene il senso. Le prime due che abbiamo costruito sono state battezzate «kaoni», uno carico elettricamente, l’altro neutro. La terza particella, quella con tre mattoncini, «lambda».
Spiego alla Pulce le regole per costruire tutte le particelle composte dai mattoncini quadrati, i quark. Può prendere tre mattoncini del colore che preferisce, oppure due, ricordandosi che uno dei due è un gemello-al-contrario. Nel primo caso costruisce una particella che i fisici chiamano «barione», nell’altro un «mesone».
Il gioco si fa persino più divertente, perché la Pulce può usare i mattoncini quadrati blu, verdi e rossi che abbiamo impiegato fino ad ora, ma anche mattoncini quadrati viola, per fare le particelle «affascinanti». Quando ero bambino, i mattoncini delle costruzioni venivano in un numero di colori limitato, ma la Pulce ha ricevuto in regalo anche dei mattoncini moderni, con un sacco di sfumature in più. Unendo due mattoncini viola, la Pulce ed io costruiamo una particella chiamata «J/ψ» – «jey-psai», come dice la Pulce, che però non si accontenta. La stanza si riempie allora di ogni sorta di combinazione. Mesoni e barioni, le particelle formate da due o tre quark, compongono la famiglia degli «adroni», che prendono il nome dalla parola greca «adros», «forte»: la colla che le tiene insieme è infatti molto robusta!
La Pulce vorrebbe costruire qualche particella forzuta ancora più grande, mettendo insieme quattro o persino cinque mattoncini quadrati. Ma devo deluderla: fino ad oggi nessuno ha osservato adroni di quel tipo. In compenso, tiro fuori dalla scatola anche qualche mattoncino quadrato nero, a giocare il ruolo dei quark «belli». Le possibilità aumentano ancora, e adesso sul pavimento ci sono esemplari di mesoni allo stesso tempo strani e affascinanti, oppure affascinanti e belli, e persino uno che è fatto da due quark belli (il preferito dalla Pulce: la particella «upsilon», il mesone bellissimo!). Alcuni adroni hanno un tocco di «su» o di «giù», più o meno ribaltati sulla testa, oppure di entrambi i «su» e «giù». Sono passati dieci minuti, e il pavimento del soggiorno è cosparso di particelle, senza ordine apparente.
Invece di rimettere tutto a posto, come dovrei fare se fossi un genitore responsabile, mi faccio prendere dall’entusiasmo. Mentre la Pulce è impegnata con gli adroni, io tiro fuori dalla scatola due nuovi mattoncini gialli, uno un po’ più grosso di quello usato per gli elettroni, l’altro ancora più grande. Faccio fare al primo il muone, il cugino pesante dell’elettrone che abbiamo già incontrato nel capitolo precedente. Il secondo mattoncino giallo, più largo e più lungo, farà il «tauone» (risate della Pulce salutano la sua comparsa), un altro cugino ancora più pesante. Per far loro compagnia, cerco due pezzi rotondi e trasparenti blu e verdi, di quelli che normalmente usiamo per fare i lampeggianti delle auto della polizia e dei pompieri. Sono simili a quel pezzo rosso che abbiamo usato prima per il decadimento beta: anche la squadra dei neutrini si popola.
«Questi mattoncini gialli di diverse dimensioni, con i loro amici timidi e silenziosi, formano invece la famiglia dei “piccolini”, i “leptoni”, dal greco “leptos”, piccolo», tento di spiegare alla Pulce, provando a separarli dagli adroni.
La Pulce ha però esaurito la scorta d’attenzione che un bambino della sua età può dedicare a spiegazioni del genere. Senza che possa farci nulla, una pila di incantevoli «jey-psai» viola viene impropriamente coronata da un mazzo di neutrini dell’elettrone e del muone rossi e verdi, e un paio di «upsilon» e «lambda» raccolte a caso dal pavimento montano su un’improbabile carrozza fatta di bosoni Willy e Zippo.
«Mi sembrava di avervi chiesto di rimettere tutto a posto – tuona dalla porta la Signora delle Lettere, che ha finito la telefonata, e non è affatto entusiasta della spianata di mattoncini sul tappeto –. Guardate invece che caos avete combinato!».
«Sono le particelle di papà, mamma – strilla la Pulce, indicando un po’ a caso nel mucchio –. Ma non si capisce niente! Ci sono quelle strane e quelle belle e quelle incantevoli. E poi Willy e Zippo, e i fari delle macchinine che sono timidi e non li vede nessuno, e puoi mettere i pezzi gialli al contrario e se li avvicini fanno “puf!” e diventano bastoncini bianchi…».
«Anche a me sembra un gran bazar! – taglia corto la Signora delle Lettere – Un bazar che adesso voi due rimetterete immediatamente nella scatola, alla svelta e senza stare a separare i pezzi! Poi andrete entrambi a lavarvi le mani. Di corsa: la cena è pronta!».
L’occhiata di rimprovero che ricevo non ammette repliche. La Pulce ed io buttiamo gli adroni così come sono nella scatola. Non abbiamo tempo di smontare i singoli quark, o di rimettere in ordine i leptoni. Quasi come per i fisici dell’inizio degli anni Settanta, il nostro zoo delle particelle è caotico, variegato, e assai poco comprensibile.

Lo zoo delle particelle

Si è fatto tardi. La Pulce dorme, la Signora delle Lettere legge un romanzo accucciata sul divano, la casa è finalmente silenziosa. Tra una cosa e l’altra, la scatola dei mattoncini, con il suo carico di particelle da smontare, è rimasta fuori, in mezzo al soggiorno. Quasi senza accorgermene, mi ritrovo a sollevare il coperchio, e a raccogliere un esemplare di ognuno dei pezzi che la Pulce ed io abbiamo usato nella baraonda di poco prima.
Sul tavolino allineo i tre mattoncini gialli, dal più piccolo al più grande: l’elettrone, il muone, la particella tau. Sopra ciascuno metto un piccolo pezzo rotondo e trasparente di diverso colore, rosso, blu, verde: il neutrino dell’elettrone, quello del muone, e quello del tau. Ecco ricomposti i leptoni, i «piccolini» della Pulce. Sono tre famiglie, ognuna formata da una particella con carica elettrica e dotata di una certa massa, e da un compagno neutrino, leggerissimo ed elettricamente neutro.
Poco più in là, allineo in una struttura simile i mattoncini quadrati che rappresentavano i quark. Inizio con la coppia blu e verde, «su» e «giù», up e down, la prima con cui abbiamo giocato. Li sistemo nelle stesse posizioni dove, nel campo dei leptoni, stanno l’elettrone e il suo neutrino. Li segue a fianco la coppia dei mattoncini viola e rosso, «affascinante» e «strano», charm e strange, piazzati in modo simile al muone e al suo neutrino. Infine, sistemo il mattoncino nero, il quark «bello», beauty (o anche bottom, «basso»), nella posizione che tra i leptoni è occupata dalla particella tau. Manca il suo compagno, l’ultimo quark ad essere stato scoperto, quando tutti ormai erano convinti della sua esistenza: il quark «alto», top, il più pesante dei sei. Per lui recupero dalla scatola un mattoncino quadrato grigio, e lo metto sopra quello nero: adesso anche la compagine dei quark è completa. Come per i leptoni, ci sono tre famiglie, ognuna composta da una coppia di quark.
Ho finito con i componenti della materia, perlomeno con quelli che conosciamo. A essere pignolo, dovrei affiancare a ciascuno dei dodici mattoncini un gemello-al-contrario, un identico mattoncino appoggiato a testa in giù a rappresentare l’antiparticella di ognuno, leptone o quark. Ma cosa fare con i neutrini? Ipotizziamo infatti che esista un’antiparticella per ciascun neutrino, proprio come ne esiste una per ognuno degli altri tre leptoni, e per ogni quark. Siccome però è così difficile misurare come si comportano i neutrini, non ne siamo veramente sicuri. Per semplicità, decido dunque di fermarmi ai primi dodici componenti: lo zoo delle particelle di materia è completo. Mancano solo i guardiani dello zoo, i messaggeri delle interazioni.
Dalla scatola estraggo un mattoncino bianco lungo e sottile, di quelli che la Pulce ed io avevamo utilizzato per attaccare gli elettroni ai nuclei atomici all’inizio del gioco: un fotone. È il messaggero dell’interazione elettromagnetica, quella che mette in relazione – con un’attrazione o una repulsione, a seconda del segno della carica elettrica – le particelle cariche: i tre leptoni carichi (elettrone, muone e tau) e tutti i quark. Ogni particella con una carica elettrica può emettere e assorbire un fotone, mentre un fotone con sufficiente energia può trasformarsi in una coppia composta da una qualunque particella carica, e dalla sua antiparticella. Quando una particella incontra il suo gemello-al-contrario, i due si fondono e spariscono, trasformando tutta la loro energia, inclusa quella associata alla loro massa (ricordate i triangoli rettangoli di Einstein?) in un fotone. Meglio, in due fotoni o più, ma su questo punto sorvolo: le ragioni sono un po’ troppo oscure perché possa spiegarle alla Pulce, e non cambierebbero di molto le regole del gioco.
Allineo il mattoncino lungo e bianco di fianco allo schieramento di leptoni e quark, poi prendo dalla scatola il quadratino sottile e trasparente. È un gluone, quello che abbiamo usato per tenere insieme i quark nelle particelle che la Pulce chiamava «forzute»: protoni, neutroni, e tutta la numerosissima famiglia degli adroni. Il gluone (o meglio, i gluoni, perché ne esistono di otto tipi diversi!) è il messaggero di quell’interazione che chiamiamo «forte», quella che tiene confinati i quark negli adroni. Per due quark appiccicati all’interno di un adrone, l’interazione forte è diversa, decine di volte più forte dell’attrazione elettromagnetica dovuta alla loro carica elettrica. Ed è talmente forte che nessuno può osservare i quark aggirarsi da soli per il mondo. Li ritroviamo solo in compagnia all’interno degli adroni, e questa è una delle ragioni per cui ci è voluto parecchio tempo per immaginarne l’esistenza, e per verificarla con un’evidenza sperimentale.
Sotto il gluone allineo il grosso mattoncino arancione che avevamo battezzato Willy bosone, e il suo compagno bianco, Zippo. Sono i bosoni W e Z, i mediatori dell’interazione responsabile di certe forme di radioattività, che chiamiamo interazione «debole» perché la sua portata è decisamente corta: l’intensità dell’interazione debole tra due quark confinati in un adrone è circa mille volte inferiore di quella elettromagnetica, e diminuisce drammaticamente se li allontanate un po’.
Ciò che il bosone W fa – la prima magia che ha stupito la Pulce nel pomeriggio – è trasformare ogni membro delle sei famiglie di particelle allineate sul tavolo nel suo compagno. Un elettrone che emette un bosone W si trasforma in un neutrino elettronico, un quark up in un quark down, e così via. Con un meccanismo analogo, una volta prodotto, un bosone W si disintegra in una coppia familiare: un muone e un (anti-)neutrino muonico, per esempio, oppure un quark charm e un (anti-)quark beauty. Il bosone W ha anche lui una carica elettrica, positiva o negativa: il bosone W emesso da un elettrone si porta via la sua carica elettrica negativa, lasciando sul campo un neutrino elettronico, privo di carica elettrica.
Il bosone Z trasmette la stessa interazione debole del bosone W, ma è elettricamente neutro. Quando viene emesso, non trasforma la particella da cui proviene, ma la lascia inalterata. A sua volta, invece di disintegrarsi nella coppia di particelle di una certa famiglia, preferisce generare una coppia particella-antiparticella, in modo del tutto simile a ciò che fa il fotone. Le somiglianze con il fotone sono tali che i fisici a un certo punto hanno sospettato che l’interazione elettromagnetica e quella debole fossero due facce dello stesso fenomeno, che hanno battezzato «interazione elettrodebole». La differenza principale tra la manifestazione elettromagnetica e quella elettrodebole va cercata nella massa dei diversi messaggeri, che determina la portata dell’interazione. Il fotone, senza massa, trasporta l’interazione elettromagnetica a distanze virtualmente infinite. I bosoni W e Z hanno entrambi una massa considerevole, pari rispettivamente a circa ottanta e novanta volte quella del protone. Questa massa limita enormemente l’intensità della loro azione, il loro spazio di manovra, e la durata della loro vita.
La Signora delle Lettere sistema il segnalibro tra le pagine del suo romanzo e viene a ispezionare cosa sto combinando con i mattoncini sul tavolo. Le mostro la semplicità dello schema, e le spiego come le dodici particelle di materia e i mediatori delle tre interazioni sono tutto quello che ci serve per descrivere la materia e i suoi comportamenti microscopici: «Una volta passati dai mattoncini alle equazioni, lo chiamiamo Modello Standard. Da quando lo abbiamo inventato non ci ha mai traditi – le dico con un certo orgoglio –. Descrive tutto quello che vediamo, e fino ad oggi tutte le sue predizioni si sono avverate, con la precisione più estrema».
«Sembra molto semplice – fa la Signora delle Lettere –, decisamente più ordinato e comprensibile del caos che c’era sul pavimento prima di cena!».
È vero. Nella silenziosa tranquillità della serata, questo schema appare simmetrico, logico, facile da seguire. Per i fisici delle particelle della mia generazione, e per quelli che sono venuti dopo, tutto ha sempre avuto questo aspetto ordinato e semplice. L’ultimo mattoncino che ho aggiunto, il quark top, è stato scoperto un paio di anni prima che mi laureassi. All’epoca, nessuno dubitava più della sua esistenza: la simmetria dello schema era troppo perfetta, perché mancasse proprio l’ultimo tassello. Si trattava solo di scoprire che massa avesse, e di avere abbastanza energia per produrlo in un laboratorio.
Per i fisici delle generazioni precedenti le cose non sono state così semplici. Occorreva fare ordine nello zoo, trovare una logica nelle particelle che venivano scoperte l’una dietro l’altra, apparentemente senza uno schema definito. È stato un esercizio molto lungo, che ha coinvolto intere generazioni di scienziati.
Mentre giocherello con il mattoncino giallo più piccolo, lancio il mio amo con naturalezza: «Ogni epopea ha un inizio. Nel nostro caso la lunga caccia incomincia nel 1897».
La Signora delle Lettere, che ama profondamente i racconti, abbocca al volo. Si siede al tavolo, e la storia può cominciare.