Il nuovo rapporto sul clima
Secondo gli scienziati che studiano la questione per conto dell'ONU il riscaldamento globale avrà un impatto “duro, diffuso e irreversibile”, con cui dovremo fare i conti
Lunedì 31 marzo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organizzazione intergovernativa che si occupa dello studio del cambiamento climatico per conto delle Nazioni Unite, ha pubblicato la seconda parte del suo rapporto sul clima, nel quale si dice che probabilmente il riscaldamento globale avrà un impatto “duro, diffuso e irreversibile” sul nostro pianeta. Le nuove conclusioni dell’IPCC erano molto attese, perché da queste deriveranno le scelte politiche dei prossimi anni per contrastare il riscaldamento globale. L’organizzazione, che nei prossimi mesi diffonderà altre due parti del rapporto, è stata spesso criticata dagli scettici sulle teorie del cambiamento climatico, ma le informazioni contenute nel documento e basate su migliaia di ricerche scientifiche lasciano pochi dubbi sul tema delle variazioni climatiche.
Il rapporto è stato approvato dopo una settimana di dibattito e confronto tra i membri dell’IPCC riuniti a Yokohama in Giappone. Alcuni partecipanti nei giorni scorsi avevano espresso dubbi sul tono del documento, ritenuto eccessivamente allarmistico. L’ampia maggioranza degli esperti ha comunque concordato sul fatto che i dati raccolti in questi anni forniscono prove schiaccianti sulla portata e le dimensioni del riscaldamento globale su scala planetaria. Il rapporto spiega che per ora quasi tutti gli ecosistemi riescono a reggere temperature più alte, ma che al loro aumentare progressivo potrebbero nascere seri problemi con conseguenze per gli esseri umani.
Secondo gli esperti, i cambiamenti del clima registrati negli ultimi decenni hanno già avuto un impatto sui sistemi naturali e “tutti su questo pianeta saranno in qualche modo interessati”, come ha detto il primo responsabile dell’IPCC, Rajendra Pachauri. I partecipanti hanno ricordato che fino a qualche tempo fa l’umanità ha sostanzialmente danneggiato il clima senza rendersene conto, mentre ora ci sono ricerche e dati che non rendono l’ignoranza una scusa accettabile.
Il nuovo rapporto è basato su circa 12mila studi scientifici, pubblicati negli ultimi anni attraverso il meccanismo della revisione paritaria (“peer review”), in cui le ricerche sono controllate e vagliate da esperti esterni prima di essere diffuse. Si occupa in primo luogo di quali potranno essere gli effetti del riscaldamento globale nel medio periodo, tra 20-30 anni. Le aree ritenute più a rischio sono l’Artico e le barriere coralline, che ospitano milioni di diverse specie viventi. Nel caso in cui le temperature aumentino di circa 2 °C il rischio per questi ecosistemi è ritenuto estremamente alto, soprattutto se combinato con il fenomeno dell’acidificazione degli oceani, dovuto in primo luogo alla più alta concentrazione di anidride carbonica prodotta dall’uomo nell’atmosfera.
A causa delle acque più calde, l’IPCC prevede che ci potranno essere migrazioni di massa di numerose specie marine, alla ricerca di habitat più adatti per la loro esistenza. Questi spostamenti potrebbero compromettere diversi ecosistemi e al tempo stesso diventare un problema per l’alimentazione di intere popolazioni, perché si modificherebbe la disponibilità di specie ittiche per la pesca in alcune parti del mondo.
Le cose non andranno meglio sulla terraferma. Con l’aumento delle temperature, molti animali si sposteranno in aree dove fa meno caldo, con grandi migrazioni o iniziando a vivere costantemente a quote più alte. Il fenomeno interesserà anche la vegetazione, con conseguenze per l’agricoltura. Le stime parlano di una riduzione nella produzione di diversi tipi di coltivazioni pari al 25 per cento entro il 2050. Le cose potrebbero peggiorare oltre quella data, con ulteriori problemi alimentari legati all’aumento della popolazione planetaria. Sul fenomeno incideranno i fenomeni meteorologici, che saranno più estremi con grandi piogge e alluvioni e periodi protratti di siccità.
La prima parte del rapporto diffusa a settembre 2013 aveva definito “inequivocabile” il riscaldamento dell’aria, degli oceani e del suolo, riconducendolo in primo luogo alle attività umane, ritenute la “causa dominante” nei processi che stanno portando le temperature ad aumentare. L’IPCC aveva inoltre ricordato che dagli anni Cinquanta del Novecento in poi sono stati osservati cambiamenti climatici “senza precedenti” da decenni e alcuni da millenni fa.
L’IPCC è stato fondato allo scopo di “fornire al mondo una visione scientifica chiara sullo stato delle attuali conoscenze sul cambiamento climatico e sui suoi potenziali impatti sull’ambiente e in ambito socio-economico”. Il gruppo è stato messo insieme da due organismi delle Nazioni Unite: l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Ha pubblicato diversi rapporti sullo stato del clima mondiale, commissionati dai governi di 195 paesi che basano (o dovrebbero basare) parte delle loro politiche energetiche e ambientali sui dati contenuti nelle ricerche. Gli scienziati che collaborano all’IPCC lo fanno su base volontaria.