I morti sul lavoro in Qatar per i Mondiali
Entro il 2022 saranno quattromila, prevede un documento: Jonathan Mahler di Bloomberg si chiede se e quando la FIFA farà qualcosa a riguardo
di Jonathan Mahler - Bloomberg – @jonathanmahler
È arrivato il momento di definire i Mondiali di calcio del 2022, che si terranno in Qatar, per quello che rappresentano davvero: una crisi umanitaria. L’ultimo e più importante motivo per chiamarli in questo modo è contenuto in un rapporto della International Trade Union Confederation intitolato delicatamente “Le accuse contro il Qatar”. Il rapporto contiene diversi fatti notevoli, inclusa una stima sconvolgente: circa quattromila operai immigrati moriranno sul proprio posto di lavoro prima dell’inizio dei Mondiali.
Il dato, fra l’altro, è ottimistico: circa 1200 operai sono già morti a partire dal 2010, quando il Qatar aveva ottenuto la concessione di organizzare il torneo. E il numero di cantieri aumenterà: la decina di stadi che rimangono da ultimare sono solo una piccola parte dei progetti legati ai Mondiali. Nei prossimi anni verranno infatti costruiti un nuovo aeroporto, linee ferroviarie di metropolitana, nuove strade, più di cento alberghi e molte altre cose. Più ci avviciniamo al calcio di inizio della partita inaugurale e più operai immigrati – che già costituiscono la metà della popolazione del Qatar, di circa 2 milioni di persone – arriveranno in Qatar a centinaia di migliaia.
Potranno contare di dividere una stanza singola con altri undici colleghi – assieme a un unico bagno – in cantieri gestiti da capi dispotici e pattugliati da guardie di sicurezza. Lasciare il paese non è un’opzione contemplata: i capi sono soliti sequestrare i passaporti degli operai. Per chi è fortunato, dopo diversi anni di lavoro un dirigente dell’azienda lo lascerà tornare a casa per pochi giorni a visitare la famiglia; a condizione, però, di aver lasciato una cauzione di alcuni centinaia di dollari per rassicurare i capi riguardo il proprio ritorno.
Ma torniamo al rapporto e quei quattromila morti che prevede:
«Che la causa di morte sia definita un “incidente sul lavoro”, oppure sia dovuta a un attacco di cuore (causato magari dagli effetti mortali dell’eccessiva calura) o a una malattia contratta a causa delle squallide condizioni di vita, la ragione principale è sempre la stessa: le condizioni di lavoro.»
Inutile aggiungerlo, il Qatar è andato molto oltre le consuete deportazioni forzate delle persone più povere che spesso precedono grandi eventi sportivi di questo tipo. Nel corso del boom edilizio durante l’organizzazione dei Mondiali del 2014 in Brasile, avvenuto in modo piuttosto raffazzonato, sono morte sette persone. In preparazione dei Mondiali del 2010 in Sudafrica ne morirono due. Un altro termine di paragone è usato dal provocatorio titolo del magazine Deadspin: “Secondo un rapporto, per preparare i Mondiali del Qatar moriranno più persone che durante l’11 settembre”.
Come norma generale, la FIFA attribuisce la responsabilità per questo genere di comportamenti ai paesi organizzatori. La FIFA è solita ricordare di essere un’organizzazione calcistica e non un organo lesiglativo. Ha definito la situazione in Qatar «una questione complessa».
Data la spietata indifferenza del Qatar per un numero così alto di persone, paragonare l’atteggiamento del paese a un atto di terrorismo può non essere completamente fuori scala. E nonostante alla FIFA cerchino di rigirarla, rimangono complici di questa situazione. Quand’è che sarà passato il segno? Duemila morti non sono già un numero eccessivo? Che farà la FIFA quando la cifra supererà i tremila? La stima dell’International Trade Union Commission rappresenta un fallimento etico di dimensioni gigantesche. Permettere che diventi realtà sarebbe un atto criminale.
©Bloomberg 2014
nella foto: un operaio immigrato fotografato in un cantiere del Qatar (KARIM JAAFAR/AFP/Getty Images)