Cos’era Sochi
Un documentario e un reportage raccontano la vita in quella che era la più importante meta di turismo estivo dell'Unione Sovietica, e come è cambiata da allora
L’aeroporto di Sochi – quando nel marzo del 2009 il fotografo Rob Honstra e il filmmaker Arnold van Bruggen, entrambi olandesi, ci arrivarono per la prima volta – assomigliava più a una vecchia stazione degli autobus sovietica che a uno scalo turistico internazionale. Sochi era una dimessa città di medie dimensioni, ancora aggrappata al ricordo che molti russi avevano di lei quando era la più importante meta di turismo estivo dell’Unione sovietica: la Riviera Russa. In città non c’era un porto commerciale e tutti i prodotti dovevano arrivare passando per l’unica strada: una stretta e tortuosa via costiera che non era stata progettata per il traffico pesante ed era sempre bloccata da un gigantesco ingorgo.
Quando nel 2007, con una cerimonia a Città del Guatemala, il comitato olimpico aveva assegnato le Olimpiadi invernali alla semi-sconosciuta città costiera di Sochi, Honstra e van Bruggen erano stati molto sorpresi e incuriositi. Da allora, e per sei anni, hanno viaggiato, documentato e raccontato la città di Sochi e la vasta e complicata regione che ci sta intorno, sapendo che per molti versi l’arrivo delle Olimpiadi l’avrebbe cambiata. Rob Honstra più recentemente ha riassunto così la situazione di quel piccolo pezzo di mondo che le Olimpiadi hanno toccato questa volta.
Mai prima di Sochi le Olimpiadi erano state tenute in una regione che contrasta così acremente con il glamour dei Giochi. A solo venti chilometri di distanza c’è la zona di guerra dell’Abkhazia. A est, le montagne del Caucaso si allungano nelle oscure e impoverite regioni della Cecenia e dell’Ossezia del Nord. Sulla costa, spalla a spalla ci sono il vecchio sanatorio dell’era sovietica e alcuni dei più costosi alberghi e locali della Riviera Russa. Nel 2014 l’area intorno a Sochi sarà irriconoscibile.
Quello che è uscito dal lavoro di Honstra e van Bruggen – che hanno finanziato i loro viaggi con un misto di crowdfunding (piccole donazioni raccolte online) e finanziamenti pubblici – è The Sochi Project, un vastissimo documentario il cui materiale – fatto di foto, video e appunti di qualsiasi tipo – è stato diviso tra un libro, The Sochi Project: An Atlas of War and Tourism in the Caucasus (Aperture, 2013), e un sito Internet, www.thesochiproject.org.
The Sochi Project racconta le vite e le storie delle persone di Sochi: racconta del vecchio sanatorio Metallurg, dei grandi alberghi con casinò e strip club, della gente che ogni estate ci va in vacanza e di quelli che invece ci vivono e lavorano tutto l’anno e che delle Olimpiadi sono un po’ scettici. E racconta anche quello che succede a poche ore di macchina da dove si stanno tenendo le Olimpiadi, le grandi tensioni e i conflitti che attraversano tutto il nord Caucaso, una delle regioni più povere e violente della Russia. Honstra e van Bruggen hanno viaggiato in tutta la regione e sono stati più volte fermati e interrogati sia dalla polizia che dai ribelli ceceni, ma sono a riusciti a raccontare un pezzo di questa storia che ottiene meno attenzioni dai media e dall’opinione pubblica.
L’approccio fotografico di Honstra e van Bruggen combina diversi stili documentaristici. In The Sochi Project ritratti di persone, di paesaggi e di architettura sono mescolati insieme a vecchie foto di famiglia ritrovate durante il viaggio, mappe e altri tipi di materiale visivo. A differenza di altri lavori fotografici più tradizionali, inoltre, The Sochi Project è ricchissimo di sezioni di testo che raccontano e contestualizzano le foto e il resto del materiale.