Come funzionano i fondi all’editoria
Quali giornali prendono i finanziamenti, diretti o indiretti, in base a quali criteri e di quanti soldi parliamo: una guida per capire la questione per bene, una volta per tutte
di Giulia Siviero – @glsiviero
La questione italiana dei finanziamenti pubblici all’editoria – che ritorna ciclicamente nel dibattito pubblico, e torna fuori ogni volta che si parla della crisi dei giornali – è piuttosto complicata: ci sono varie forme di contributi (diretti, indiretti o tutti e due insieme), qualcuno può riceverli, altri ne sono esclusi, ci sono numerose leggi di riferimento. E ci sono, infine, diverse posizioni sulla loro legittimità o meno: c’è chi vuole abolirli, chi ripensarli e chi lasciarli così come sono. Gli argomenti di chi li pensa necessari si possono, semplificando, riassumere nella difesa della pluralità delle informazioni e delle opinioni, nella conseguente tutela dei giornali più piccoli e nel riequilibrio di una disparità che deriva dagli investimenti pubblicitari. Chi invece vuole abolirli (e il Movimento 5 Stelle si è fatto portavoce di questa richiesta presentando un disegno di legge) sostiene che è un costo troppo oneroso per lo Stato e che il finanziamento non rende libera l’informazione ma al contrario la condiziona.
Esistono due tipi di finanziamento all’editoria. I contributi diretti, distribuiti in base a vari criteri (ci torneremo) e di cui possono usufruire solo alcuni, e i contributi indiretti a cui possono avere invece accesso tutte le testate, purché cartacee.
Quali testate vengono finanziate?
Nella loro forma diretta, i finanziamenti riguardano solo tre tipologie di giornali: i giornali organi dei partiti politici, quelli delle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche e che fanno riferimento a «enti morali», quelli cioè per le comunità italiane all’estero. Il loro elenco con relativi importi, è sul sito del governo, nelle pagine del Dipartimento per l’editoria e va dall’anno 2003 all’anno 2012.
Dalle tabelle relative all’anno 2012 risulta che il finanziamento per imprese editoriali è andato a 45 testate tra cui, per esempio: Avvenire (che con € 4.355.324,42 è anche il più finanziato), Europa (€ 1.183.113,76), Il Foglio (€ 1.523.106,65), Italia Oggi (€ 3.904.773,62), Il Manifesto (€ 2.712.406,23), L’Unità (€ 3.615.894,65). Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il Giornale, Il Fatto, Libero e altri tra i maggiori quotidiani nazionali non hanno dunque ricevuto contributi pubblici diretti. Tra chi ha ricevuto contributi in quanto imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali, ci sono 136 testate: tra quelle che hanno ricevuto i contributi più consistenti ci sono: Famiglia Cristiana (€ 142.069,68), Rho Settegiorni (€ 127.551,95), Quaderni di Milano (€ 139.389,12), Il Giornalino (€ 136.708,56), Il Biellese (€ 121.326,79). Scrive l’Espresso: «La maggioranza dei quotidiani italiani, che rappresentano il 90 per cento del totale delle copie diffuse in Italia, non riceve contributi diretti» e che «solo il 10 per cento delle copie diffuse, attualmente percepisce un contributo pubblico».
I contributi indiretti
I contributi indiretti sono piuttosto difficili da quantificare: per i quotidiani o i periodici che sono classificati nella categoria dei prodotti “stampabili”, che hanno indicato il prezzo di vendita in copertina o in un allegato comprendente anche il titolo e l’indicazione dell’editore, è previsto un regime fiscale agevolato del 4 per cento sul 20 per cento delle copie stampate. Tale regime è detto “monofase” perché corrisposto una sola volta da un solo soggetto: l’editore. E questo per semplicità: tutti i soggetti che intervengono nei passaggi successivi (che sono molti e diversi: distributori, commercianti e rivenditori) e fino alla vendita restano fuori dall’imposta. Se per esempio si stampano 100 mila copie si paga l’IVA al 4 per cento su 20 mila copie e le altre 80 mila sono considerate esenti IVA (i giornali non sono l’unico bene che gode di questo regime agevolato, anzi).
Fino al marzo del 2010 i contributi indiretti comprendevano anche delle agevolazioni postali per la spedizione degli abbonamenti: erano stati previsti nel dicembre del 2003 con il decreto legge n. 353. Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria provvedeva a rimborsare Poste italiane della somma corrispondente alle riduzioni complessivamente applicate: tali agevolazioni sono state sospese, ma i rimborsi pregressi dovuti a Poste non ancora estinti. Nel capitolo relativo a “Ricavi e crediti verso lo Stato” della Relazione annuale finanziaria di Poste relativa al 2012 risultano infatti «crediti per circa 251 milioni di euro relativi a Integrazioni tariffarie al settore editoriale». Oltre a quelle postali sono state sospese anche le agevolazioni sul prezzo della carta stabilite in passato in base alle tirature medie.
I contributi diretti e le leggi di riferimento
I contributi diretti consistono invece nell’erogazione diretta da parte dello Stato alle imprese editrici che presentino una serie di requisiti di un contributo – che è in realtà un rimborso perché avviene l’anno dopo sull’anno prima – calcolato in base a diversi parametri (vendite, distribuzione, tiratura, costi o altro). La prima norma organica sul finanziamento pubblico diretto è stata approvata nel 1981 con la legge 416 del 5 agosto. Con numerosi decreti e leggi successivi sono stati precisati o modificati i requisiti per ricevere tali finanziamenti di volta in volta allargando o restringendo – ed è il caso degli ultimi anni – la griglia dei criteri per accedervi. Il risultato dei vari interventi è stato comunque un sistema normativo piuttosto frammentario a cui, in anni più recenti, si è cercato di porre rimedio.
In particolare, è stato emanato un decreto (il 223 del novembre 2010) che ha semplificato la documentazione per accedere ai contributi e il procedimento di erogazione, che ha incluso fra i requisiti una percentuale minima di copie vendute (su quelle distribuite) e ha previsto nuove modalità di calcolo per i contributi diretti, riferite all’effettiva distribuzione della testata (invece che al criterio della tiratura come in passato e che aveva, per così dire, “drogato” il mercato: per ricevere i contributi si potevano stampare le copie necessarie e poi buttarle nel cestino). Inoltre, ha stabilito che in caso di insufficienza delle risorse, i contributi dovessero essere distribuiti in modo proporzionale tra chi ne aveva diritto. Si tratta dell’eliminazione del cosiddetto “diritto soggettivo”: i contributi, da lì in poi, sono stati calcolati non solo in base alle singole e legittime richieste, ma su un meccanismo proporzionale che oltre alle richieste teneva conto dei fondi complessivamente disponibili.
Un ulteriore riordino dei contributi con nuovi criteri di calcolo e liquidazione sono stati stabiliti con il decreto legge n. 63 del 18 maggio 2012 convertito in legge il 16 luglio 2012 (n. 103), quello su cui si basano attualmente i finanziamenti. L’obiettivo dichiarato era:
(…) razionalizzare l’utilizzo delle risorse, attraverso meccanismi che correlino il contributo per le imprese editoriali agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale.
La legge – che ha notevolmente irrigidito i criteri di finanziamento – è intervenuta in particolare, sui requisiti di accesso ai contributi (artt. 1 e 1-bis); sui criteri di calcolo (artt. 2 e 1-bis) e sulla modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita (art. 4).
Chi può accedere ai contributi?
I principi su cui si basa la legge del 2012 sono fondamentalmente due: una percentuale minima di vendita e un numero minimo di dipendenti. Si stabilisce che la testata debba essere venduta nella misura di almeno il 35 per cento delle copie distribuite se è locale e del 25 per cento se è nazionale: «si considera testata nazionale quella distribuita in almeno 3 regioni e con una percentuale di distribuzione in ciascuna regione non inferiore al 5 per cento della propria distribuzione totale». Per copie distribuite si intendono quelle «poste in vendita in edicola o presso punti di vendita non esclusivi, tramite contratti con società di distribuzione esterne, non controllate né collegate all’impresa editrice richiedente il contributo e quelle distribuite in abbonamento a titolo oneroso». Non rientrano, invece, quelle diffuse e vendute «tramite strillonaggio, quelle oggetto di vendita in blocco, da intendersi quale vendita di una pluralità di copie ad un unico soggetto, nonché quelle per le quali non sia individuabile il prezzo di vendita».
Per avere accesso ai contributi le imprese editoriali devono aver impiegato, nell’anno di riferimento del contributo, un numero minimo di dipendenti, con prevalenza di giornalisti, regolarmente assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato: almeno 5 se sono quotidiani, almeno 3 se sono periodici. Inoltre è stato eliminato, per ottenere i contributi, il limite delle entrate pubblicitarie che non dovevano essere superiori al 30 per cento dei costi complessivi dell’impresa. Infine, l’obbligo di avere adottato il divieto di distribuzione degli utili (legge 250/1990) è stato esteso a tutte le imprese che percepiscono contributi diretti.
Questi requisiti si applicano a: quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (come per esempio Il Manifesto); quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro che abbiano avuto accesso ai contributi entro il 31 dicembre 2005 (come per esempio Avvenire); quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (come per esempio Primorski Dnevnik, giornale pubblicato a Trieste e unico quotidiano della minoranza di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia).
I controlli
La legge del 2012 ha inoltre reso più rigido il meccanismo della certificazione e dei controlli alle testate che vogliono avere accesso ai finanziamenti o che già li hanno percepiti. I dati relativi alla tiratura, alla distribuzione e alla vendita devono essere certificati da una società di revisione iscritta nell’albo della CONSOB. I codici a barre presenti sulle testate sono garanzia di tracciabilità delle vendite stesse.
Da una serie di accertamenti della Guardia di Finanza è risultato per esempio che 13 testate dal 1998 al 2011 hanno commesso delle violazioni. Qui c’è l’elenco con i contributi per cui è stata decisa la revoca, e che arrivano a un totale di 64.347.348,53 di euro: riguardano, tra gli altri, L’Avanti, quotidiano diretto fino al 2011 da Valter Lavitola, coinvolto in diverse indagini giudiziarie, Libero, Il Nuovo Riformista.
Quanto?
l calcolo dei contributi diretti si basa sulla somma di una parte che potremmo definire fissa e una parte variabile. La prima può arrivare fino al 50 per cento dei costi sostenuti: i costi ammissibili sono stati specificati nel decreto dell’8 marzo 2013 e fanno riferimento alle “spese vive” sostenute da un giornale: l’acquisto della carta, il costo per la stampa e la distribuzione, il costo per il personale dipendente e il costo per l’acquisto di servizi da agenzie di stampa o agenzie fotografiche. Non più affitti o consulenze come un tempo. La seconda – diversificata per quotidiani nazionali, quotidiani locali e periodici – si basa sulle singole copie vendute (e non più su quelle distribuite): fino a 0,25 euro a copia per i quotidiani nazionali, fino a 0,40 euro per i periodici e fino a 0,20 euro per i locali.
Sono stati inoltre fissati differenti limiti massimi ai valori complessivi delle due quote e che per i quotidiani non possono superare un massimo di 3.500.000 euro complessivi, per i periodici un massimo di 300 mila euro complessivi e per i quotidiani locali un massimo di 1 milione e 500 mila euro. Infine si è stabilito che l’importo complessivo corrisposto a ciascuna impresa non potesse comunque superare quello erogato nel 2010.
L’articolo 3 della stessa legge prevede di favorire il passaggio all’editoria digitale. In particolare, stabilisce che le imprese editrici già destinatarie dei contributi per l’anno 2011 possono continuare a percepire i contributi qualora la testata sia pubblicata, anche non unicamente, in formato digitale. La testata in formato digitale deve essere accessibile online e produrre (con almeno 10 articoli al giorno) almeno 240 uscite per i quotidiani, 45 per i settimanali, 18 per i quindicinali e 9 per i mensili. La misura del contributo cui hanno diritto le imprese per la pubblicazione della testata in formato digitale è articolata in una quota pari (per i primi due anni) al 70 per cento dei costi sostenuti (e definiti da un decreto dell’11 marzo 2013) e una quota di 0,10 euro corrisposta per ciascuna copia digitale venduta in abbonamento (tale importo non può essere comunque superiore all’effettivo prezzo di vendita di ciascuna copia digitale).
La quota complessiva messa a disposizione per i contributi diretti all’editoria è diminuita di anno in anno. Nel 2010 era di 150 milioni, nel 2012 si è passati a 80 per arrivare a 52 del 2013. L’articolo 167 della legge di stabilità approvata dal governo Letta lo scorso dicembre prevede un «fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria» da 120 milioni di euro nei prossimi tre anni: 50 milioni per il 2014, 40 milioni per il 2015 e 30 milioni per il 2016. Lo scopo è «incentivare gli investimenti delle imprese editoriali, anche di nuova costituzione, orientati all’innovazione tecnologica e digitale, all’ingresso di giovani professionisti qualificati nel campo dei nuovi media» e «sostenere le ristrutturazioni aziendali e gli ammortizzatori sociali».
E all’estero?
Da una ricerca del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford sui sistemi di finanziamento pubblico all’editoria in vigore in 6 paesi occidentali (Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Finlandia e Stati Uniti) risulta che la situazione del nostro paese non è così anomala: confrontando i dati ufficiali i ricercatori hanno dimostrato infatti che l’Italia è penultima come stanziamento pubblico complessivo a sostegno di stampa e tv pubblica, e ultima come spesa pro capite (43 euro contro i 130 della Finlandia). Andrea Zitelli su ValigiaBlu, spiega come funziona in Europa:
La Francia presenta, ad esempio, aiuti diretti che comprendono agevolazioni nelle tariffe di trasporto ferroviario dei quotidiani, aiuti alla modernizzazione della rete di vendita, fondi specifici per favorire la diffusione mondiale della stampa francese. Ma anche indiretti con tariffe postali e aliquota dell’Iva (al 2,10%) agevolate. Lo Stato francese è quello che spende di più con i suoi 1,2 miliardi di euro per finanziare i propri media. Numeri che hanno favorito la presentazione di una prossima riforma del settore.
Ma anche per gli altri Paesi del vecchio continente benefit di vario genere sono garantiti per favorire il pluralismo informativo. Se in Irlanda e in Gran Bretagna sono assenti gli aiuti diretti da parte dello Stato – ma non quelli indiretti – e in Germania e in Spagna i contributi spettano ai Länder e delle Comunità Autonome, gli altri Stati europei come il Lussemburgo, la Svezia, i Paesi Bassi, il Portogallo e i Paesi Bassi hanno un sistema che li prevede e che i ricercatori suddividono in quattro sezioni: «contributi erogati in modo indifferenziato alla stampa; contributi selettivi destinati a sostenere pubblicazioni deboli sotto il profilo della raccolta pubblicitaria; contributi costituiti dal finanziamento di progetti specifici; contributi misti, che combinano più elementi». Infine, nella maggiora parte di questi Paesi non sono esclusi aiuti all’editoria di partito.