Tre ministri turchi si sono dimessi
In seguito a uno scandalo per corruzione che ha coinvolto i loro figli e sta provocando una crisi di governo, oltre che grandi proteste
Nella mattinata di mercoledì 25 dicembre tre ministri turchi si sono dimessi, a seguito di un’inchiesta per corruzione che nei giorni scorsi ha coinvolto i loro figli. Alle dimissioni del ministro dell’Economia Zafer Caglayan e del ministro degli Interni Muammer Guler sono seguite, poche ore dopo, quelle del ministro dell’Ambiente Erdogan Bayraktar: i figli di Caglayan, Guler e Bayraktar erano stati arrestati sabato scorso insieme ad altre 21 persone (tra cui il direttore generale della banca di stato Halkbank), suscitando in Turchia uno scandalo molto ripreso dai media e provocando – scrive AP – “una delle più gravi crisi politiche in più di dieci anni di governo del primo ministro Tayyip Erdogan”.
Il ministro Bayraktar – che, come gli altri due, ha negato di aver mai agito illegalmente durante il suo mandato – ha annunciato le sue dimissioni in un’intervista telefonica in diretta sulla televisione di stato NTV, durante la quale ha rinnovato la stima nei confronti del presidente Erdogan, ma lo ha anche invitato a dimettersi. Secondo le notizie riprese dalla stampa turca, nei giorni scorsi la polizia aveva trovato e sequestrato a casa del direttore di Halkbank circa 3,3 milioni di euro in contanti nascosti in una scatola di scarpe, e più di 730 mila euro erano stati trovati a casa di Baris Guler, il figlio del ministro degli Interni.
Sia il ministro Guler che il ministro Caglayan – come anche lo stesso Erdogan – hanno parlato di un “complotto” contro il governo e messo in discussione la correttezza delle indagini, che si basano principalmente su alcuni trasferimenti di denaro in Iran nell’ambito di una presunta corruzione relativa agli appalti di alcune opere edilizie. Guler ha detto che i file delle intercettazioni utilizzati dalla polizia nell’inchiesta sarebbero stati manomessi, e che i soldi ritrovati dalla polizia a casa di suo figlio sarebbero il ricavo della vendita di una loro villa. «È evidente che l’operazione è una sporca cospirazione contro il nostro governo, il nostro partito e il nostro paese», ha detto il ministro Caglayan, che ha specificato di aver presentato le dimissioni «per permettere che la verità venga alla luce».
La notizia degli arresti ha provocato una serie di proteste che, nella notte tra domenica 22 e lunedì 23 dicembre, hanno anche portato a scontri violenti tra manifestanti e polizia in piazza Kadikoy, a Istanbul. Le proteste di questi ultimi giorni si aggiungono peraltro alle grandi manifestazioni dello scorso giugno, organizzate da numerosi gruppi contrari alle politiche del governo Erdogan.
La settimana scorsa il primo ministro Erdogan ha denunciato l’inchiesta per corruzione come un tentativo di screditare il governo da parte di oppositori politici turchi e stranieri – ha parlato di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” – in vista delle prossime elezioni locali che si terranno a marzo: dal 2002, Erdogan ha vinto le elezioni tre volte consecutivamente, a capo di una coalizione di partiti (AKP) conservatori e nazionalisti, basando principalmente il successo delle sue campagne sulla crescita economica del paese e sulla lotta contro la corruzione, sebbene molti critici lo accusino da tempo per il carattere sempre più autoritario del suo governo.
Le dimissioni dei tre ministri sono arrivate piuttosto inaspettatamente, scrive AP: ci si attendeva piuttosto che Erdogan togliesse progressivamente l’incarico ai ministri coinvolti indirettamente nello scandalo, all’interno di un rimpasto di governo comunque previsto nei prossimi mesi (alcuni ministri sono candidati come sindaci alle elezioni locali e lasceranno l’incarico di governo). Come risposta alle accuse di corruzione mosse contro il suo governo, nei giorni immediatamente successivi agli arresti Erdogan ha rimosso dall’incarico circa 30 ufficiali di polizia, tra cui Huseyin Capkin, il capo della polizia di Istanbul, tra i più noti e importanti comandanti di polizia ad aver condotto le indagini.
Diversi commentatori, avallando indirettamente la tesi del “complotto”, ritengono che gli arresti di questi giorni e le risposte di Erdogan siano l’ultima espressione di una lotta di potere che si consuma da molto tempo in Turchia, tra l’ala dell’AKP più vicina a Erdogan e quella più vicina a Fethullah Gülen, un religioso musulmano che vive negli Stati Uniti, in Pennsylvania, e i cui numerosi alleati e seguaci – secondo diversi media nazionali – avrebbero un certo peso all’interno della magistratura e delle forze di polizia. Gülen – che ha lasciato la Turchia nel 1999, accusato di tramare contro il governo – ha negato qualsiasi coinvolgimento negli ultimi avvenimenti.
Da sinistra verso destra: il ministro degli Interni Muammer Guler, il ministro dell’Ambiente Erdogan Bayraktar e il ministro dell’Economia Zafer Caglayan, all’aeroporto di Ankara, martedì 24 dicembre 2013. (AP Photo)