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I pulsanti progettati per non funzionare

<p>Lo scorso 28 agosto l’<em>Oxford Dictionaries Online</em> ha inserito alcuni nuovi termini nel suo vocabolario tra cui la parola <em><a href="http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/selfie">selfie</a></em>, con questa definizione: &#8220;una fotografia che uno scatta a sé stesso, in genere con uno smartphone o una webcam e che viene caricata su un social media&#8221;. Detta così, <em>selfie</em> sembrerebbe un semplice sinonimo del più vecchio e utilizzato termine &#8220;autoscatto&#8221;, ma inserisce una novità che determina una differenza notevole col suo predecessore: la dimensione della rappresentazione e della condivisione dell&#8217;immagine.</p>
<p>Prima dell&#8217;affermarsi dei social media l&#8217;autoscatto era una &#8220;pratica&#8221; prettamente privata: le immagini, di solito sovraesposte o fuori fuoco a causa della difficoltà di scattare senza un mirino, rimanevano accantonate nei dischi rigidi o nelle schede di memoria, risultato della semplice voglia di sperimentare assecondando il proprio narcisismo con leggerezza. Ma con le comunità virtuali e in seguito coi social media, ma soprattutto con la diffusione degli smartphone e i servizi di condivisione di fotografie, che necessitano il più delle volte una &#8220;foto profilo&#8221; o un &#8220;avatar&#8221; (un&#8217;immagine scelta per rappresentarsi), le cose sono cambiate.</p>

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<p>La parola <em>selfie</em> circola più o meno dal 2005 ma la pratica di farsi autoritratti fotografici è precedente all&#8217;uso del termine; si parla dei primi anni 2000, ovvero prima che Facebook diventasse diffusissimo come oggi, quando milioni di persone cominciavano a sperimentare le novità del <em>social networking</em> (iniziando a condividere online le proprie informazioni personali, link o appunto fotografie) e pubblicare i propri autoscatti era molto comune soprattutto su MySpace. La “MySpace pic&#8221;, <a href="http://www.newyorker.com/online/blogs/elements/2013/06/the-return-of-the-selfie.html">come scrive Kate Losse sul <em>New Yorker</em></a>, &#8220;era un autoritratto amatoriale, con un flash accecante, spesso scattato di fronte allo specchio di un bagno&#8221;; con la diffusione di Facebook il termine &#8220;Myspace pic&#8221; iniziò ad avere una connotazione negativa e diventò un&#8217;indicazione di cattivo gusto: le &#8220;foto profilo&#8221; del nuovo social network erano più formali, messe a fuoco per bene e con una risoluzione migliore.</p>
<p>Dopo qualche anno le novità tecnologiche, tra cui la fotocamera frontale sugli smartphone (per scattare una foto guardando lo schermo, consentendo un&#8217;inquadratura e una messa a fuoco perfetta) e la diffusione delle applicazioni fotografiche come Instagram, fecero &#8220;rinascere&#8221; ed evolvere i <em>selfie</em>: oggi se ne vedono milioni, su ogni sito e social network, tutti se ne scattano uno, dal ragazzino al nonno <a href="http://www.theguardian.com/artanddesign/2013/apr/02/rise-and-rise-of-the-selfie">alle celebrità</a> come Lady Gaga, e siamo più o meno finiti tutti nel <em>selfie</em> scattato da qualcun altro (<a href="https://www.ilpost.it/2013/10/21/selfie/selfie-9/">persino Papa Francesco</a>).</p>
<p>Le differenze tra i <em>selfie</em> che vediamo oggi e le &#8220;MySpace pics&#8221; sono molte. Prima di tutto, Facebook ha una portata sociale enorme rispetto a MySpace: le fotografie (e i tag e i &#8220;Mi piace&#8221;) sono un segno del proprio valore sociale, della quantità e della qualità delle nostre relazioni ed interazioni, mentre i <em>selfies</em> di MySpace, con quelle facce riflesse nello specchio del bagno, avevano una dimensione più individuale e solitaria.</p>
<p>Poi c&#8217;è il discorso anagrafico: MySpace era una comunità virtuale particolarmente diffusa tra i teenager e questo si rifletteva sui contenuti delle fotografie pubblicate. Oltre ai <em>selfies</em> solitari le immagini più diffuse erano quelle di feste, di amici in compagnia, tutte situazioni tipiche dell&#8217;adolescenza. Oggi invece questa è una pratica molto diffusa anche tra gli adulti: nel 2012 <em>Time</em> ha inserito <a href="http://newsfeed.time.com/2012/12/04/top-10-news-lists/slide/selfie/">il termine <em>selfie</em></a> nella sua <em>Top 10 Buzzwords </em>(la lista dei 10 termini più alla moda di quell&#8217;anno), mentre secondo un sondaggio del 2013, <a href="http://www.bunburymail.com.au/story/1407035/selfies-just-as-much-for-the-insecure-as-show-offs/">i due terzi delle donne australiane</a> tra i 18 e 35 anni si scattano frequentemente dei <em>selfie</em>, la maggior parte dei quali viene postato su Facebook.</p>
<p>La diffusione dei <em>selfie</em> ha naturalmente stimolato un forte dibattito sociologico su grandi e importanti questioni come la rappresentazione, l&#8217;immagine, il narcisismo, l&#8217;ossessione per la bellezza a tutti i costi. La questione centrale però resta per molti la condivisione delle immagini, e in quest&#8217;ottica i <em>selfie</em> sono quasi l&#8217;opposto di una rappresentazione narcisistica: si pubblicano su internet per trovare conferme e rassicurazioni da parte degli altri (e non per il piacere individuale), per far sapere agli altri dove e con chi si è e per testimoniare un evento (la maggior parte dei <em>selfie</em> è scattata in vacanza, o durante una festa). Il <em>selfie</em> è quindi narcisistico solo nella misura in cui mostra una parte di noi stessi.</p>
<p>Gli autoritratti prima e i <em>selfie</em> poi, <a href="http://www.nytimes.com/2013/10/20/sunday-review/my-selfie-myself.html?_r=0&amp;gwh=E1A9B77F84AB90B5630330EC89D1C147">come spiega Jenna Wortham sul <em>New York Times</em></a>, mostrano il piacere senza tempo di documentare la propria vita direttamente ma anche quello di lasciare agli altri una traccia di noi. &#8220;C&#8217;è un bisogno umano primario di stare al di fuori di noi stessi e guardare a noi stessi&#8221; ha dichiarato Clive Thompson (esperto di tecnologia e autore del libro <em>Smarter Than You Think: How Technology Is Changing Our Minds for the Better</em>), &#8220;Le persone si preoccupano del modo in cui appaiono al resto del mondo. Scattare una fotografia è un modo per cercare di capire come le persone ci vedono, per capire chi siamo e a chi assomigliamo, e non c&#8217;è niente di sbagliato in questo&#8221;.</p>
<p>La diffusione del <em>selfie</em> mostra anche un cambiamento molto profondo nella comunicazione: quella per immagini è molto più forte di quella verbale o scritta, dato che la visione o la ricezione di una foto con la faccia della persona con cui stiamo parlando riporta con forza l&#8217;elemento umano nell&#8217;interazione. Secondo Wortham invece di respingere questa tendenza come un effetto collaterale della cultura digitale o come forma di triste esibizionismo bisognerebbe vedere il<em> selfie</em> per quello che è, ovvero una sorta di diario visivo, un modo per celebrare la nostra breve esistenza e per provare di essere stati qui, da qualche parte.</p>

Brevi

Cultura

Internet

autoscatti

fotografia

selfie

<p>Barack Obama</p>
<p>(Official White House Photo by Pete Souza)</p>


Selfie

<p>Aki Hoshide</p>
<p>(AP Photo/NASA)</p>


<p>Sasha e Malia Obama</p>
<p>(JOE KLAMAR/AFP/Getty Images)</p>


<p>Papa Francesco</p>
<p>(AP Photo/L&#8217;Osservatore Romano, ho, file)</p>


<p>Kevin Rudd e Tony Abbott</p>
<p>(AAP Image/Lukas Coch)</p>


<p>Hillary e Chelsea Clinton</p>
<p>(AP Photo/Chelsea Clinton)</p>


<p>Michelle Rodriguez</p>
<p>(Dan Steinberg/Invision/AP, file)</p>


<p>Brad Pitt</p>
<p>(Evan Agostini/Invision/AP, file)</p>


Come mai abbiamo adottato un nome diverso per gli autoscatti, e come ci cambiano

Parole nuove: “selfie”

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