A San Marino si vota per entrare nell’Unione Europea
Un referendum importante nel piccolo stato, che è nel mezzo di una grave crisi economica e di parecchie inchieste sulle infiltrazioni della criminalità organizzata
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
Domenica 20 ottobre a San Marino si vota un referendum per decidere se formulare o meno una domanda ufficiale per entrare a far parte dell’Unione Europea. È difficile prevedere se il referendum raggiungerà il quorum (circa 10 mila voti, il 32 per cento degli aventi diritto) e anche prevedere chi vincerà. Le forze politiche sono sostanzialmente divise in tre: i partiti di sinistra si sono dichiarati favorevoli, i partiti di centro, come la Democrazia Cristiana, sono neutrali, mentre diverse liste civiche, come il Movimento Rete, sono esplicitamente contrari.
A che punto è l’integrazione di San Marino?
La repubblica di San Marino deve ancora fare domanda ufficiale di ammissione all’Unione Europea e il referendum serve proprio a decidere se il governo deve intraprendere o meno questo primo passo. L’adesione all’Unione della piccola repubblica sembra comunque molto difficile. Nel 2012 la Commissione Europea ha pubblicato una comunicazione indirizzata a tutte le istituzioni europee a proposito dell’integrazione nell’Unione dei micro-stati, cioè Andorra, il principato di Monaco e San Marino. Le conclusioni dell’Unione non sembrano lasciare molte speranze ai promotori del sì al referendum: “Le istituzioni europee al momento non sono adatte all’integrazione di stati così piccoli”. Ma se l’adesione piena all’Unione è molto difficile, San Marino può comunque puntare a un’integrazione economica maggiore. La stessa commissione ha raccomandato che i micro-stati siano ammessi nelle unioni “minori”, come l’EAA e l’EFTA (due accordi sul libero scambio delle merci e sull’integrazione economica di cui è già membro un altro stato, il Liechtenstein).
Di cosa si discute a San Marino
Il principale timore su cui fanno leva i sostenitori del “no” alla domanda di ammissione è che l’entrata nell’Unione Europea e l’adesione ai trattati di libera circolazione causerà nel piccolo stato, appena trentamila abitanti e un territorio di 61 chilometri quadrati, degli squilibri demografici, in primo luogo l’arrivo di moltissimi immigrati. I vari comitati che appoggiano il “sì” hanno cercato di tranquillizzare gli abitanti su questo fronte: il referendum servirà solo a consentire al governo di formulare una domanda ufficiale per entrare nell’Unione, dopo di che il piccolo stato potrà, secondo loro, negoziare eccezioni ai trattati europei per proteggere la sua popolazione da movimenti migratori troppo grandi.
Ma i contrari all’entrata nell’Unione Europea hanno altri argomenti. Per molti anni San Marino è stato un vero e proprio paradiso fiscale, dove non solo era possibile nascondere il proprio denaro grazie a una legislazione che proteggeva il segreto bancario: fiorivano anche le cosiddette “cartiere” – società finte, create solo per fare fatture false e aggirare il fisco – e un’altra serie di pratiche mirate a risparmiare sulle tasse, non proprio ben viste dagli organi di controllo internazionale sul riciclaggio.
Per accettare l’integrazione di San Marino nell’Unione, è probabile infatti che la Commissione Europea chieda al piccolo stato di accelerare la riforma del sistema bancario e di vigilanza della repubblica. Il sistema di San Marino è comunque cambiato molto negli ultimi anni, eliminando alcune delle più evidenti storture e inefficienze. Questo processo di riforma è iniziato poco dopo lo scoppio della crisi economica che ha colpito duramente il paese.
La crisi della repubblica
Fino al 2008 a San Marino c’erano 12 banche e più di sessanta società finanziarie. I depositi ammontavano a più di 14 miliardi di euro, quattordici volte il PIL del paese. L’intero apparato statale si manteneva grazie a una piccola tassa sulle banche. Con questo denaro la classe politica ha comprato per decenni il consenso della popolazione e negli anni passati circa un terzo dell’intera forza lavoro è arrivato ad essere impiegato nella pubblica amministrazione.
Con la crisi economica, il governo italiano ha cominciato a tollerare sempre meno l’evasione fiscale che dalla riviera romagnola e da altre parti d’Italia finiva a finanziare il sistema bancario della repubblica. A partire dal 2008 la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate hanno intensificato i controlli verso San Marino. Ai controlli italiani si sono aggiunte le ingiunzioni degli organismi internazionali che hanno chiesto alla repubblica di adeguarsi agli standard internazionali per quanto riguarda il controllo del riciclaggio e dei movimenti di capitali.
Queste due pressioni, insieme allo scudo fiscale voluto dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel 2009, hanno portato in pochi mesi a una vera e propria fuga di capitali da San Marino. Nel 2009 la metà dei depositi nel sistema bancario di San Marino è sparita, innescando un effetto a catena che ha riempito di buchi il bilancio statale e innescato una lunghissima recessione. La crisi ha colpito gravemente il paese e negli ultimi quattro anni il PIL è continuato sistematicamente a calare (mentre l’Italia, tra 2010 e 2011, ha avuto una breve pausa dalla recessione). Si calcola che San Marino abbia perso in quattro anni un quarto del PIL, mentre la disoccupazione, un tempo praticamente sconosciuta, è quadruplicata in pochi anni.
Nello stesso periodo di tempo numerose inchieste giudiziarie compiute dalla magistratura italiana hanno anche scoperto una cospicua infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni e nel tessuto economico del paese. Direttori di banche e di società finanziarie, a causa della crisi, si sono affidati a personaggi legati alla camorra campana, utilizzando i fondi della criminalità organizzata per riparare ai buchi di bilancio causati dalla fuga di capitali. Alcune di queste inchieste hanno anche trovato indizi di un possibile collegamento tra la criminalità organizzata e alcuni dei più importanti politici del paese.
Alcuni tra i promotori del sì vedono nell’adesione all’Unione Europea un modo per modernizzare il sistema economico della repubblica e abbandonare le vecchie pratiche poco chiare che fino a pochi anni fa hanno permesso a San Marino di essere uno degli stati più ricchi d’Europa. I contrari ritengono che il processo di riforma sia già in corso e più o meno ben avviato, che l’adesione all’Unione Europea non lo renderà più veloce e servirà solo a procurare altri problemi.