L’omofobia in Russia
L'ultima legge contro i gay è stata approvata con 434 voti a zero, e i sondaggi di opinione sul tema sono impietosi: c'entrano sia la Chiesa ortodossa sia Stalin
Giovedì 11 giugno la Camera bassa della Russia, la Duma, ha approvato una serie di norme molto pesanti che renderanno più difficile la vita delle persone omosessuali: prevedono infatti multe consistenti per chiunque “diffonda informazioni” sull’omosessualità a persone che abbiano meno di 18 anni e organizzi manifestazioni a sostegno delle persone omosessuali. Di fatto, hanno osservato molte associazioni per i diritti umani, la legge vieta di parlare dell’omosessualità.
La legge deve ancora essere approvata dalla camera alta e firmata da Vladimir Putin, ma nessuno di questi passaggi è in discussione: è stato proprio Putin a promuovere il provvedimento insieme alla Chiesa Ortodossa e l’opposizione non ha un grande interesse nel protestare, anzi. La proposta è stata approvata alla Duma con 434 voti favorevoli, un astenuto e nessun voto contrario. Non è la prima volta che si parla della Russia per il suo atteggiamento nei confronti dei gay – praticamente tutti i gay pride non sono autorizzati, e finiscono in violenze da parte della polizia e di manifestanti di destra – e diversi articoli sulla stampa internazionale cercano di capire da dove arrivi questa omofobia.
Secondo un sondaggio svolto di recente in Russia solo il 16 per cento delle persone crede che l’omosessualità debba essere socialmente accettata, e più di metà pensa che debba essere «curata». Molti personaggi pubblici omosessuali sono costretti a nascondere il proprio orientamento sessuale: l’Independent scrive che dichiarare la propria omosessualità in Russia è al giorno d’oggi «inconcepibile». Circolano con frequenza settimanale storie di assassini e violenze ai danni di persone gay.
Anton Krasovsky, un giornalista televisivo molto popolare in Russia, il 25 gennaio ha detto alla tv pubblica di essere gay e di considerarsi «un essere umano, proprio come il presidente Putin e il primo ministro Medvedev». Il giorno successivo Krasovsky è stato licenziato dal canale televisivo per cui lavorava e ogni riferimento a lui è stato tolto dal sito Internet del canale. «Non avevo alcuna intenzione di fare un gesto politico: a un certo punto ho semplicemente realizzato che stavo vergognandomi sempre di più di me stesso. Ero un uomo del loro sistema, ma ho creduto e credo ancora che sia più facile cambiare il sistema dall’interno».
Le ragioni di questo problema partono da lontano. Nel 1933 l’allora presidente dell’URSS Iosif Stalin fece inserire nel codice legislativo penale l’articolo 121, che vietava i rapporti omosessuali: probabilmente lo fece per ingraziarsi la Chiesa Ortodossa e rafforzare la legittimità del proprio governo. L’omosessualità in Russia fu illegale per sessant’anni, e fu spesso associata dal governo al fascismo o alla borghesia, a fasi alterne: questo spiega in gran parte perchè ancora oggi molti russi, soprattutto anziani, ne siano così diffidenti. Il 29 aprile 1993 Boris Yeltsin eliminò l’articolo 121 del codice penale, soprattutto a causa delle molte pressioni fatte dall’Unione Europea. La Chiesa Ortodossa continua a considerare l’omosessualità «una piaga sociale».
In un articolo pubblicato sull’Atlantic, Olga Khazan ha scritto che all’apparenza può sembrare strano che in Russia l’omofobia sia ancora così diffusa, a vent’anni dall’abolizione dell’articolo 121: stando a alcuni recenti sondaggi sono pochissimi i cittadini russi che si dichiarano ortodossi praticanti, che cioè partecipano alle funzioni religione della Chiesa cristiana ortodossa. In realtà una percentuale tra l’80 e il 90 per cento dei russi si dichiara ortodosso, ma la maggior parte lo fa «per una questione di tradizione culturale».
Il governo di Putin in questi anni ha guadagnato forza e stabilità dal buon rapporto con la Chiesa Ortodossa, ottenuto anche grazie a misure repressive e toni omofobi e sfruttando inoltre l’indottrinamento ricevuto da molti cittadini russi negli anni precedenti al 1993. Elizabeth Wood, un’esperta di storia russa che insegna al MIT, ha scritto inoltre che «lo Stato comunista ha continuato la tradizione zarista-ortodossa per la quale il governo deve essere la guida morale e tutelare della nazione: l’influenza dello stato nella morale comune non è mai venuta meno. Per questo motivo è piuttosto semplice per uno Stato post-comunista tornare a una legislazione filo-comunista riguardo questi temi. E siccome l’URSS era costruita sull’opposizione ideologica dell'”uno contro l’altro”, è semplice per il governo identificare una “x”, loro, e una “y”, i nemici. Gli omosessuali sono dei nemici molto facili».
foto: ELENA PALM/AFP/Getty Images