L’Inferno di Tommaso Cerno
È una sede distaccata dei gironi danteschi che si trova sotto Montecitorio e ospita politici e altri personaggi dei nostri giorni: Andreotti, Tremonti, Schettino, Ruby e, ovviamente, Berlusconi
di Marco Valchera - Caffeina
Tommaso Cerno come Dante Alighieri. In Inferno. La Commedia del Potere (Rizzoli, Controtempo, 2013, 282 p.) lo scrittore e giornalista dellEspresso, ospite della prossima edizione di Caffeina Cultura – a Viterbo dal 27 giugno al 7 luglio – si trasforma nel padre della poesia e della lingua italiana, aggiornando con ironia il girone dell’Inferno della Commedia, incorniciato dalle tavole di Makkox, alias Marco Dambrosio, collaboratore di Internazionale e del Post. Sette secoli dopo le vicende narrate da Dante, il diavolo è costretto, su richiesta di Minosse, a creare una “sede distaccata” dell’inferno a causa del sovraffollamento dei peccatori. E sceglie di sistemarla sotto di Montecitorio.
Il Poeta – protagonista di questa avventura – percorre nove gironi incontrando personaggi di ogni sorta e con la guida del “poeta della trattativa politica”, Giulio Andreotti, che si presenta nel Vestibolo sotto le sembianze di un giaguaro accompagnato da altre due belve, il mastino (Fanfani) e il felino (Forlani). Ha così inizio il lungo viaggio, interamente narrato in terzine: allegoria disincantata e pungente della nostra politica, ma non solo. Fanno capolino, tra gli altri, alcuni personaggi delle cronache, da Schettino a Maradona, passando per Vanna Marchi, Patrizia D’Addario, Ruby e gli adulatori Emilio Fede e Bruno Vespa.
Ognuno, proprio come nella Commedia, deve patire la pena del contrappasso: dal secessore Bossi, costretto a risalire gli affluenti del «Po infernale», gli unici a dargli ancora ascolto, ai nostalgici del fascismo Fini e La Russa, a Tremonti, costretto a mangiare le pagine dei propri scritti economici da Monti, «per non aver chinato allo straniero, che da Berlino impone la sua legge», fino a Grillo, «non più grillo ma gallo», trascinatore delle folle, costretto a tenere i suoi comizi mentre il pubblico, disperato, si getta a terra e piange.
Un posto d’onore è riservato, ovviamente, a Silvio Berlusconi, il quale è raffigurato nel girone più profondo, quello dei traditori di popoli, nudo, su un trono di pietra grezza, sovrano di un regno esistente solo nella sua mente, circondato dai suoi fedelissimi (veline, ministri, avvocati), condannato a subire il fascino che le parole di Stalin, che aleggia sulla sua testa, generano nelle masse.
Nel finale, dopo il disgusto provato dal protagonista di fronte a questa scena, la domanda è una sola: ci saranno mai un Purgatorio e un Paradiso per la politica italiana? Mah.