Intorno a Topolino
Com'è fatta la redazione, come nasce una storia e molto altro sul settimanale di cui domani esce il numero 3000 (e che esiste, così com'è, soltanto in Italia)
di Giovanni Zagni – @giovannizagni - Foto di Giulia Ticozzi – @giutico
Una delle prime cose di cui ci si accorge entrando nella redazione di Topolino – un open space in cui lavorano una quindicina di persone, con il soffitto basso e le scrivanie ingombre, a poca distanza dalla Stazione Centrale di Milano – è che l’agitazione per l’uscita del numero 3000, che sarà in edicola mercoledì 22 maggio, non si sente o quasi: la programmazione dei numeri viene fatta con molti mesi di anticipo. In questi giorni in redazione si comincia a pensare ai numeri di Natale.
Un’altra cosa che si impara presto, chiacchierando con redattori e sceneggiatori, è quanto Topolino sia legato specificamente all’Italia: molto più di quanto lascerebbe immaginare il fatto che la Disney sia notoriamente una società americana. Non solo Topolino è un prodotto interamente italiano: è un prodotto solamente italiano. In nessun paese del mondo, Stati Uniti compresi, si produce una pubblicazione che ogni settimana propone storie originali dei cosiddetti standard characters: Paperino, Topolino, Zio Paperone, Qui Quo Qua e tutti i personaggi canonici dell’universo Disney.
Il numero 3000 del settimanale, che sarà in edicola da mercoledì 22 maggio (costa 2 euro e 40), è dedicato proprio ai personaggi: molti dei quali sono nati in Italia, inventati da grandi nomi della scuola disneyana italiana come Romano Scarpa. Qualche esempio di personaggi “italiani”: Brigitta, l’aspirante fidanzata di Zio Paperone; il cugino esploratore di Pippo, Indiana Pipps; il maggiordomo di Zio Paperone, Battista; il supereroe e alter ego di Paperino, Paperinik; la fidanzata di Gambadilegno, Trudy (una lista completa è stata curata nel grosso volume, uscito pochi mesi fa, I Disney italiani).
Altri personaggi non sono nati in Italia, ma la creazione della loro storia e delle loro caratteristiche principali è avvenuta qui. Per esempio Rockerduck, che è nato negli Stati Uniti – è tra i molti personaggi creati dal fumettista americano Carl Barks – ed è poi diventato l’antagonista principale di Zio Paperone.
La redazione di Milano – un posto in cui capita di sentire frasi tipo «dobbiamo far imbizzarrire un cavallo!» o «togli quell’astronave», ad esempio quando si parla di copertine – è uno dei due poli creativi dei personaggi Disney in Europa, e certamente il principale. L’altro è a Copenhagen, in Danimarca e si rivolge soprattutto al mercato dei paesi nordici, con alcune differenze nel disegno e nelle storie dei personaggi. Secondo la direttrice Valentina De Poli, il 60-70 per cento della produzione italiana circola nel mondo, dal resto dell’Europa alla Cina e al Brasile.
Topolino, in Italia, è nato come un settimanale: uscì per la prima volta a Natale del 1932, stampato dall’editore fiorentino Giuseppe Nerbini, ma pochi anni dopo, nel 1935, la testata passò alla Mondadori. La sua storia moderna è cominciata nel 1949, quando la pubblicazione riprese dopo la guerra: allora la casa editrice decise di passare al formato libretto, ovvero il piccolo formato che è usato ancora oggi (ma i primi numeri erano senza dorso giallo).
Nel 1988 Topolino passò dalla Arnoldo Mondadori Editore alla Walt Disney Company Italia. Il primo numero della nuova proprietà fu il 1702, uscito il 10 luglio 1988. Il numero più venduto a oggi è uno del 1993, trascinato da uno dei gadget estivi più apprezzati di sempre, il Topowalkie (vendette 1.100.285 copie). Anche il numero 2000, uscito il 27 marzo 1994, vendette intorno al milione di copie. L’originalità della sezione italiana si vide già dai primi numeri – nel numero 7 uscì L’inferno di Topolino, una delle più celebri storie di sempre, che prendeva spunto dall’Inferno di Dante Alighieri – ma quello che contraddistingue il Topolino italiano è la frequenza settimanale delle uscite (ricominciata nel giugno 1960, con il numero 236, perché dal 1949 al 1960 fu prima mensile e poi quindicinale) e il suo carattere di rivista e non solo di albo a fumetti.
Questo significa che oltre alle storie (attualmente cinque storie originali a settimana) Topolino ha una serie di spazi dedicati a giochi, rubriche fisse o interviste. Negli altri paesi, invece, le storie dei personaggi Disney escono normalmente in albi, ovvero in pubblicazioni che raccolgono solo storie senza una parte redazionale. Su questa investì il direttore del settimanale dal 1949 al 1980, Mario Gentilini.
L’attuale direttore responsabile, Valentina De Poli, dice che la parte redazionale, la parte “rivista” di Topolino, è fondamentale per seguire l’evoluzione della società. Uno sforzo che si vede anche nelle storie: soltanto nel numero 3000 di Topolino compaiono un tablet, una videochiamata di Quo e Qua con Qui che è in Alaska per una borsa di studio, una storia in cui si parla di agricoltura a chilometri zero, DVD, musica scaricata da Internet, ed è evidente che il cellulare di Topolino è uno smartphone.
La modernità tecnologica non compare in tutte le storie, ma quando compare viene assorbita senza problemi nella grande tradizione dei personaggi. Topolino e Paperino vivono nel presente. Allo stesso tempo, però, Topolino e Paperino non hanno una storia e non sono inseriti in una continuità temporale come molti dei fumetti seriali americani. Questa è un’altra cosa che distingue i fumetti di Topolino da molti degli altri. Ogni storia è in sé conclusa e si muove all’interno di confini ben definiti: «non leggerete mai di Topolino ubriaco», dice De Poli, così come, aggiungiamo noi, la sfera sessuale e della morte sono completamente rimosse. Nelle storie di Topolino – fatto che è stato notato in diversi studi – vengono messe in scena sempre relazioni zio-nipote o tra fidanzati e mai genitori-figli o coppie sposate.
Alcuni hanno provato a scrivere una storia dei personaggi, a creare loro un passato: il tentativo più famoso è quello di Don Rosa, un fumettista americano che negli anni Novanta dedicò un ciclo di dodici storie a Zio Paperone, dalla nascita a “oggi”, raffigurandone addirittura, in un imprecisato futuro, la tomba. Don Rosa esibiva un rispetto filologico per il lavoro di Carl Barks, il fumettista che creò Zio Paperone e molti altri abitanti di Paperopoli, e per questo ha esercitato su molti un fascino straordinario – compreso su di me, cresciuto tra Topolino e molti altri albi nati in quella redazione, da Paperinik a PK all’umoristico RidiTopolino (“Baldo l’allegro castoro” è ancora una battuta ricorrente tra i miei amici) alle raccolte come Zio Paperone e i Grandi Classici, fino a TopoMistery con la sua bellissima selezione di storie degli anni Trenta e Quaranta americane, dove si respirava un’altra atmosfera, a volte più cupa e “adulta”.
Don Rosa però non è amato da molti, nella redazione di Topolino. Il motivo è comprensibile e coerente: un eccessivo interesse per la storia dei personaggi e la coerenza delle scelte narrative non fa parte delle storie dei paperi. La continuità temporale, spiega Roberto Gagnor, sceneggiatore per Topolino e blogger del Post, è un’ossessione tipicamente americana. Gli autori e gli sceneggiatori invece sentono di non “possedere” i personaggi – né ne possiedono i diritti, che sono della Disney – e non hanno il diritto di crearne un passato.
Anche perché raccontare i primi anni di un personaggio vuol dire inevitabilmente presentarne anche le scelte esistenziali, ed è un’operazione che incide molto sul suo carattere: la libertà molto ampia di ciascun autore di sviluppare un aspetto o di presentare la sua versione di Zio Paperone, insomma, verrebbe in qualche modo ristretta se si conoscesse troppo di lui. Di questa regola “atemporale” abbiamo già un’eccezione, italiana e recente: nel 2000 è stata lanciata la serie di storie di Paperino Paperotto, in cui Paperino è bambino e abita in campagna, nella fattoria di Nonna Papera (una storia di Paperino Paperotto è presente anche nel numero 3000).
La serie è stata molto apprezzata dal pubblico e si è dunque meritata di durare, a differenza di altri esperimenti di serie o di pubblicazioni che sono finiti dopo pochi numeri (e qui io penso sempre a RidiTopolino, che durò una quindicina di uscite). In redazione arrivano molte centinaia di email ogni settimana e il feedback è molto rapido: ci sono lettori molto attenti che si informano su un nuovo disegnatore a pochi giorni dal debutto della sua prima storia.
Come nasce una storia di Topolino
Ogni storia di Topolino ha una genesi piuttosto lunga: dalla prima idea alla sua realizzazione passano di solito circa cinque mesi. Quasi sempre le proposte arrivano da sceneggiatori o disegnatori (un punto d’arrivo importante, per un fumettista, è arrivare a fare entrambi), che sono sparsi per tutta Italia, sono circa un centinaio e hanno dai 21 anni del disegnatore più giovane agli ottantatré anni di Sergio Asteriti, uno dei “maestri”, insieme a nomi storici che ancora collaborano con Topolino, tra tutti Giorgio Cavazzano.
Il procedimento ha qualche somiglianza con quello cinematografico, almeno nelle prime fasi. Si parte da un soggetto: un riassunto di un paio di pagine che espone a grandi linee la trama. Il soggetto è valutato dalla redazione e dai caporedattori – uno di questi è Davide Catenacci, managing editor, a Topolino da 17 anni, sulla cui scrivania ci sono Il birraio di Preston di Andrea Camilleri, la riproduzione di una stampa di Goya e una pila di supplementi domenicali del Sole 24 Ore. Se il soggetto viene approvato, chi lo ha proposto ne fa una sceneggiatura: una descrizione di quanto avviene pagina per pagina, vignetta per vignetta. Per passare dal soggetto alla sceneggiatura ci vuole un tempo che varia da autore ad autore e da storia a storia, ma solitamente si impiegano due-tre settimane.
A questo punto entrano in scena i disegnatori, che prendono la sceneggiatura e la trasferiscono su carta. La sceneggiatura, oltre che scritta come quella di un film, può anche essere già formata da uno schizzo delle vignette in cui è inserito il testo, solitamente quando lo sceneggiatore è anche disegnatore. Il salto tra la sceneggiatura – anche quella “per immagini” – e il disegno finito è altissimo. Gagnor dice che un lato del suo lavoro è anche quello di farsi stupire dal disegnatore, che realizza la sua sceneggiatura in tutt’altro modo da quello che aveva pensato lui. «E solitamente è meglio», aggiunge. Questo avviene nonostante le battute della sceneggiatura restino più o meno le stesse e nonostante le strette convenzioni grafiche di una pagina di Topolino, che è divisa in sei vignette, con occasionali unioni di due o di quattro spazi.
Anche tra i disegnatori le velocità variano, ma la media è di circa una pagina al giorno. Una storia di una ventina di pagine, quindi, è costata almeno tre settimane di tempo al disegnatore e più o meno altrettanto allo sceneggiatore, prima di arrivare sulla carta. L’ultimo passo prima della colorazione è il lettering, ovvero l’inserimento delle parole indicate dalla sceneggiatura nei balloon. Il lettering può essere fatto a mano o al computer, con un apposito font.
Le tavole di ogni storia, in bianco e nero e ripassate a china – ma ci sono anche autori che disegnano a computer, con una tavoletta grafica – vengono scannerizzate ad altissima definizione e sono poi colorate da un fotolito di Verona che collabora con Topolino da molti anni. I colori possibili su una tavola di Topolino, con rare eccezioni, sono stabiliti con attenzione e limitati a un centinaio: l’oro di Zio Paperone, per esempio, è sempre giallo al cento per cento.
Le scelte linguistiche e culturali
Nel numero 3000 compaiono le parole: “giroscopio” (nella prima vignetta), “lardellati”, “pusillanime”, “annichilente”, “ghiottonerie”, “scriteriato”, “ionosfera”, oltre all’etimologia di “no” (a pagina 58). Parole che possono risultare impegnative per il lettore tipo di Topolino, che malgrado l’ampio e affezionato pubblico adulto è un bambino tra gli otto e i dodici anni. Di questa ricchezza lessicale la redazione va fiera: in una storia recente, Il mago delle parole, compare il comico e scrittore Alessandro Bergonzoni, e un evento centrato sulle parole è stato curato da Topolino al Salone del Libro di Torino dello scorso anno.
D’altra parte i bambini di oggi fanno esperienza quotidiana di molte altre storie narrativamente articolate e per certi versi “adulte”, come i telefilm o i cartoni animati come i Simpson. Anche per questo il direttore De Poli dice che Topolino è oggi, più che in passato, una lettura complessa. «Non bisogna aver paura a tenere alto il livello».